| Capitolo XIV | - Capoeira e rivelazioni

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Era una bella e spaziosa palestra, dalle pareti bianche. Soffitto e pavimento erano il dominio di differenti toni di azzurro e blu chiaro, donando all'osservatore l'illusione di trovarsi sotto l'abbraccio di un cielo estivo. Le luci erano accese per supplire al tenue chiarore del crepuscolo che filtrava dalle grandi finestre in alto a sinistra.

Adocchiai un paio di suonatori che reggevano strumenti mai visti prima... eppure, per qualche ragione mi aspettavo di trovarli lì. Me ne saltò immediatamente all'occhio uno, composto da un'asta di legno curva, una corda tesa e una cassa di risonanza a forma di zucca. Ne conoscevo il nome... oppure no?

Non ero vestita molto diversamente dalle decine di ragazzi e adulti, maschi e femmine che avevano già iniziato il riscaldamento. Erano già in cerchio e al momento Rafael mi dava le spalle, istruendoli su come sciogliersi le articolazioni delle caviglie.

Non notatemi, non parlatemi, non guardatemi. Please, please, please...

Mi notarono, ovviamente. Ero in leggero ritardo, dal momento che sino a mezz'ora prima non ero neppure certa che avrei accettato l'invito del sensei... maestro di danza - combattimento, o come accidenti si chiamava.

Ero lí in tempo solo perché Claudio, alla cui casa ci eravamo riuniti per lavorare alla ricerca di scienze, viveva dietro l'angolo. L'avevo interpretato come un segno.

Fortunatamente, indossavo già l'attrezzatura consigliata: leggings e maglietta comoda. Mi ero limitata a scalciare le scarpe nello spogliatoio ormai deserto, entrando trafelata.

Già, probabilmente tutti mi fissavano per il ritardo.... O almeno così me la raccontai, finché tre o quattro persone non iniziarono a bisbigliare, sgranando gli occhi.
Come se sapessero tutto di me, cosa probabilmente vera: era sufficiente googlarmi affinché le parole "rigenerazione cerebrale" e "Pompei" apparissero sullo schermo a caratteri cubitali. E quante Naay potevano mai esistere?

Sul serio, perché non potevo essere famosa per aver inventato un nuovo modello di vasetto dello yogurt?

Rafael si volse, adocchiandomi solo in quel momento, e a un suo severo cenno le voci si arrestarono. Dopodiché mi rivolse un sorriso di scuse e mi venne incontro.

"Luca, vai avanti tu per un momento!" ordinò a un ragazzo sui venticinque. "Benvenuta, Naay! Perdonami, non avrei voluto dire a tutti del tuo arrivo, ma la voce è girata da quanto tuo fratello si è presentato qui, così..."

Mi infilai nervosamente le mani in tasca, adocchiando l'uscita. "Non ti preoccupare. Ragazza smemorata che non ricorda di avere appreso un'arte marziale. Insomma, non succede tutti i giorni. Scusa il ritardo, io... mi sono scaldata pedalando, se non altro!"

Rafael sorrise, comprensivo.

"Nessun problema." Studiò la mia mise con approvazione: la sola cosa che mi mancava, rispetto a lui era il logo circolare della palestra sulla maglietta bianca. "Naay, adesso ci scalderemo anche noi, con il ballo di gruppo. Tu fai quello che ti senti e vediamo come va, d'accordo? Se vuoi soltanto guardare..."

"No." mormorai, scacciando il nervosismo "Ecco, magari se mi blocco e fisso il vuoto come se stessi vedendo il fantasma di mia zia... se evitaste di spaccarmi la faccia a ritmo di musica, lo apprezzerei."

Ci mancava solo che tornassi a casa con un occhio nero! La mamma non era affatto felice dell'idea di me che imparavo un'arte marziale. Si era convinta solo nella speranza che ricordassi qualcos'altro... auspicabilmente, il mio cognome.

Non avevo avuto il cuore di rivelarle che non ero del tutto certa di averne uno. Certo, a meno di non contare... come mi avevano chiamata quei mostri? Qualcosa che c'entrava con "Atris"?

Dal profondoWhere stories live. Discover now