Capitolo 27

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ISAAC'S POV

Quelle iridi verdi erano intrise di un'amarezza straziante che lui non voleva rendere ovvia dinnanzi a me. Un'immediata fitta prese di mira il mio petto e divenne poi un ostinato lamento che ronzava nelle orecchie. Non ebbi il coraggio di guardarlo ancora per qualche secondo in più. Mi sentii uno schifoso bastardo per aver spento lo sfavillio carico di speranza nei suoi occhi in un soffio, facendolo precipitare di nuovo nel buio assoluto. Mi allontanai, mi feci strada tra le persone che occupavano l'ingresso, disgustato dalla loro felicità che suonava come lo stridio  delle unghie contro una lavagna.

Mi ritrovai in mezzo alla sala, riluttante a tornare dagli altri; Lucas, da giorni, mi chiedeva cosa avessi, Milo non mi parlava da un po' e non me ne interessavo, Archie e Tommy erano fin troppo esuberanti quella sera. Avvertii una calda oppressione crescere, un calore soffocante, e poi gli schiamazzi, le persone, le luci forti...Mi infastidiva tutto. Mi allentai il colletto della t-shirt più volte tra l'indice e il pollice, agitai i lembi della camicia aperta che indossavo. Cos'era quel caldo?

Sapevo cosa mi stava succedendo. Eccola, la pulsione che non potevo combattere con due dita di vino che mi concedevo in compagnia o con una serata di sbronza. Avevo bisogno di uno shot dietro altro, senza limiti, senza il tempo di prendere consapevolezza dei primi scalci della nausea che già ne stavo buttando giù un altro. Volevo che l'alcol scivolasse dentro la mia gola in una fiammata torrida, che infuriasse nel petto e sciogliesse quel nodo dritto allo stomaco, perché in grado di annebbiare ogni colpa.

Desideravo bere da giorni per neutralizzare quel nodo. Ingannare la mente tenendomi impegnato risultava inutile e poi non c'era uno straccio da bere a casa mia, Lucas e Denis avevano fatto piazza pulita.

Denis. Perché mi era impossibile avvicinarmi alla persona più importante della mia vita? L'unico a comprendere il mio umore altalenante, l'unico con cui non dovevo fingere, che mi spronava a essere migliore.

Davvero ho parlato di Denis in quel modo? Davanti a mia madre?

Dovevo bere. Il bancone era la cosa più allettante che avessi davanti, il suo richiamo seducente mi accarezzava i lobi e provocava forti brividi lungo il collo. Le mie pupille erano incollate alle labbra delle altre persone premute contro i bicchieri a ingoiare intrugli alcolici; mi sentivo solo, in mezzo a un deserto arido in cerca di una pozzanghera dove dissetarmi.

Nessuno doveva vedermi. La saletta in fondo era un posto più intimo, mi precipitai lì sedendomi tremolante in uno degli ultimi sgabelli al bancone. Solo qualche persona come me e due tavoli occupati alle mie spalle. Il rumore assordante dell'altra sala attenuato. Perfetto.

Ero scosso da un'insolita adrenalina, quasi eccitato per l'atto proibito che stavo per fare ma anche in colpa. Una parte di me voleva resistere ma non riuscivo ad alzarmi, troppo succube di un bisogno impellente. Sentii borbottare due ragazze poco distanti che non avevano smesso di togliermi gli occhi da dosso come fossi carne in vendita. Richiamai un ragazzo dietro al bancone, senza nemmeno guardarlo in faccia, mi concentrai sulla spilla a forma di libellula che aveva sulla bretella del grembiule. Ordinai due shot di tequila. Solo due e basta. Mi imposi quel limite.

La testa mi scoppiava, i pensieri erano un groviglio di fili caotici che non riuscivo a sbrogliare con lucidità. Dal cuore nascevano solo fitte incessanti; me lo volevo staccare dal petto. Ripensai a Denis e buttai giù il primo shot in un colpo solo, trattenendo il respiro, senza una smorfia.

"Cosa sono per te?"

"Ho bisogno di saperlo".

"Vado dentro, dai".

Le mie labbra sfiorarono l'orlo del secondo bicchierino.

Domandai le stesse cose a Noah." Ti vergogni di me?"

Un giorno, tre autunniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora