Capitolo 38

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<< Ego nec sine te, nec tecum vivere possum>>

ISAAC'S  POV

Il soffio sul mio collo svanisce, quelle parole che solleticano la mia pelle si trasformano in un esile eco che si dissolve pian piano. Mi sostengo alla parete, le mie gambe stanno per cedere. Sono a pochi centimetri dall'uscio della mia stanza, le voci sommesse vibrano nell'aria rarefatta. Impossibile che fossero allarmati per la mia assenza, avrebbero chiamato Milo al cellulare.

Non so cosa stanno dicendo. È solo rumore di fondo. Piego la testa all'indietro, sull'intonaco bianco. Ombre mi passano davanti, credo pazienti o personale di questo inferno. Non mi importa.

Nella mia testa l'immagine di Milo mi si ripresenta all'infinito, un preciso loop perenne privo di una via di fuga.

Tutto questo è colpa mia.

Fa tutto parte di un sogno, io mi trovo ancora in coma, giusto? Perché è impossibile per un umano sopportare un supplizio più grande di lui.

Chiudo gli occhi.

Non mi avevano detto niente perché spaventati di una mia possibile reazione. Che reazione? Sono in catalessi, né vivo né morto, sospeso in un limbo.

Respiro. Uno. Due.

Conto. La stessa tecnica che mostrai a Denis durante i suoi attacchi di panico.

Apro gli occhi di scatto. La mente si rischiara, acquisto lucidità.

«Milo sta in cortile con Isaac, almeno si distraggono. Mi ha scritto un messaggio poco fa.» È Lucas. La voce cede alla commozione. Da quando si trova qui, piange spesso. Perché mi ha mentito?

«Sta sempre nella 315?» Il timbro spezzato di mio padre.

Sento mia madre reprimere i singhiozzi.

Perché sono tutti qui?

«Sì, sono riuscito a contattare una zia. Accudisce la nonna malata ma è l'unica che ha rapporti con Denis. Il padre non ha voluto saperne nulla e mi è stato impossibile rintracciare la madre.» Questo è il dottore che mi sta monitorando da quando mi trovo qui.

Un colpo contro l'armadietto. Sembra un calcio scagliato con forza contro l'anta.

«Il padre non è mai servito a nulla!» Lucas fatica a trattenere la collera.

Ma la mia famiglia è anche la famiglia di Denis, non ha senso contattare chi lo conosce a malapena.

«Dobbiamo dirlo a Isaac, non restare all'oscuro di tutto ancora a lungo. Ha recuperato le forze, si sente meglio» continua mio fratello.

«Davvero non si può fare più nulla?»

Segue un silenzio dopo la domanda di mia madre.

«Gli darò quello di cui ha bisogno.» Mio padre vuole aiutare la zia di Denis? Non capisco.

Qualcuno mi sfiora. Milo prende le mie mani tra le sue. I suoi insulsi gesti mi disgustano. Lo respingo, il suo sguardo bastonato dà fuoco alla miccia di una rabbia rimasta assopita.

Non riesco a guardarlo per quanto mi sforzi, non ci riesco.

Esco allo scoperto.

Lucas è il primo a vedermi. È seduto a terra, vedo in lui la stessa espressione di Milo, la colpevolezza di aver preso parte a una bugia. I miei genitori sembrano accorgersene perché si voltano verso di me. Il dottore fa lo stesso, balza alla mia vista.

Restano in silenzio. Non sanno che mi stanno uccidendo. E la rabbia cresce, ma non è quella a cui sono stato sempre abituato. È estrema, mi fa odiare chi ho davanti e mi fa provare disprezzo per me stesso. 

Un giorno, tre autunniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora