1. To the bone

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«Ricordati di queste parole, Nina... mai nella trappola della fama: prima o poi ti mangia viva».

Ora più che mai le parole di mia madre vorticano nella mia testa come un disco rotto.

Quando le pronunciò la prima volta – ormai tre mesi fa – avevo pensato che volesse soltanto spaventarmi, ma adesso il significato che si cela dietro quelle parole mi appare chiaro e limpido.

Pelle violacea, sguardo cupo e vuoto, mani tremanti... La dipendenza da farmaci e l'alcolismo le hanno strappato via il sorriso, lo spirito sognante... le cose che amavo di più di lei.

Vederla studiare le scene che doveva poi mettere in atto era una cosa divina. Lei sembrava divina. Era il suo mondo fatato, riusciva ad interpretare i suoi personaggi con tenacia e maestria, quasi come fosse la padrona di quelle personalità inventate.

Solo adesso capisco, però, che anche le cose che sembrano far parte di noi sono in grado di distruggerci.

Ciò che mi trovo a dover affrontare – per il resto di un tempo che si spera essere breve – ne è la conseguenza indiretta.

Vagare per le strade di nuove città, osservando ogni angolo, ogni sua particolarità, era un'abitudine che mi porto avanti da quando ne ho memoria – difatti adoravo seguire mia madre nei set cinematografici e nelle premiere dei suoi lavori – ma adesso l'unica cosa che riesco a fare è studiare vetrine e insegne, alla disperata ricerca di un cavolo di cartello tanto semplice quanto inesistente da queste parti: Cercasi personale.

Possibile che Seoul sia una città – anzi una metropoli – talmente vasta, con negozi, ristoranti e bar ad ogni spazio libero, ma che nessuno di questi cerchi un aiuto in più?

Insomma, che diamine...

Fin quanto c'era mia madre a provvedere per entrambe, quasi tutti i proprietari cercavano di ampliare la loro equipe, ma ora che serve a me un posto di quelli, magicamente sono tutti al completo.

E poi non dovrei dire che il mondo mi sta voltando le spalle?

Posso affermare con certezza che è proprio la sua attuale mansione.

Se continuerò a girare per queste strade multicolori per ancora un'altra ora, senza nessun riscontro positivo, finirò per andare a pregare in ginocchio il sindaco di questo comune...

Hanno un sindaco, giusto? O qui c'è un Re al comando?

Ad ogni modo, farò di tutto pur di avere un lavoro.

La mia bocca tira fuori un verso di soddisfazione a dir poco strambo, appena i miei occhi vengono catturati da quel misero foglietto tanto ricercato.

Senza neanche leggere l'insegna del posto nel quale sto per addentrarmi, entro e raggiungo immediatamente il bancone.

O la va, o la spacca.

In piedi, quasi come una statuina, dall'altra parte del banco c'è un signore di mezza età, la barba lunga tutto il collo e i baffetti grigi tirati all'insù, un paio di occhiali a lenti ampie e uno strano cappellino in testa. Mi squadra da capo a piedi – non capisco se con stupore o ribrezzo – e allarga le sue labbra secche e sottili in un cordiale sorriso.

«Benvenuta, signorina. Ha bisogno di una lucidata alle sue scarpe?» Mi domanda, come se quella fosse una recita.

In preda alla confusione e ad una risata isterica ricca di soggezione, mi guardo intorno, studiando la stanza. Solo adesso realizzo di quanto sia piccolo e malridotto, ma soprattutto vuoto. Ci sono soltanto strane spazzole, inchiostri, e scarpe...

ROYAL HEARTSWhere stories live. Discover now