LE NOTTI ISTRIONICHE (ALLUSIONE, ALLUVIONE, ILLUSIONE) | @Niar303

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di Niar303



Margaretha: "Sarà al pascolo?"


Edonia: "Fors'anche che strillan i trilli agresti?"


Margaretha: "Dove c'han violato?"


Edonia: "Pur sia, e se fosse, forse, me ne compiacerei? Sì"


Margaretha: "Oh mio io inattuale, risa e ingegni e facezie francesi, non ricordo di ricordare, se per ricordo ritorno, aspetterai che mi dimentichi (di me, di te, di loro)?"


Margaretha: "No, non può non darsi"


(Colto il fiore al volo, si rialza, dole, cade)


Margaretha: "Sto bene"


Edonia: "Ti scuso, non ha compreso"


Margaretha: "Ieri venni e incontrai l'uomo selvaggio"


((*Esce di scena l'uomo selvaggio*) *lo seguita*)


Edonia: "Codesta è mia propria dimora, finora perlomeno, mirate"



Marik: "V'è una pozzanghera pestata dall'arcuata fronte d'un'evirata civettuola dal capo occupato a curarsi di tutt'altro malanno. Rassomiglia a quella di tutti, ma non accoglie nessuno. Ed empie si satollan dello spettro di Melancholia, come riese elisa d'ogni speranza di passar la gogna, sott'all'albero impedita da un coriaceo grume di parole al suo spiro spezzato da un filo raffinato dal fato e annodato al risolversi d'un trama intrecciata appena"



Acuito quel senso borghese di appartenenza a un ambiente urbano bagnato da le piogge dell'iperproduttività, controproducente, e della civil fiera, a dimostranza che nel sangue è il mondo e che il mondo è di sangue, m'interrogai, con onesta arroganza pari per parvenza al morto che riflette sulla vita, cosa potesse essere la verità, sicché l'epistrofe del dubbio riese rappreso sulle mie laconiche lagrime accese (rapprese e rapprese). Dormi, mi diss'io, sì pur con vile volontà dell'attoruncola nelle notti istrioniche, sopita nella sua impropria dissimile imitazione di quel che si suppone essere realtà. Cos'è adunque la verità? Ed è cercando di farne imposta risposta che mi domandai chi fossi io, come se lo sapessi (e lo so, lo so, lo so ti dico).


Oh l'urna amena, imenica si dimena sotto alle leggerezze coreografiche dello stagno violentato da qualche riflesso genuflesso a pregare la Luna di rischiararsi la voce e gridare sussurrando senza voce "Sono tua", e poi danzare ebbra di disprezzo. Mi rifiuto, ovver'itero l'ovvio per sensoriali indifferenze.


E diffido di te, Claire, sotto ai cocenti lucori del tuo misterico petto, non vedi, non sento, che per dire il detto non penso si possa, almeno...


E vomi-ti-amo, rigurgiti piangendo, stanca che al vento s'arroghino il diritto di, di lanciar il sasso e ingoiarlo, voraci di significanti insignificanti, sovrascrivendoli significati. E dicon io e tu, noi, come fossimo, ma non siamo altro che quello che non siamo. Dov'era il dove, nell'etere d'atone ere amorfe, come un Adone il tempo a farti corona, regina del mio umore. Nevvero, che non ci fossi, nevvero? Con cotanta digressiva malinconia, ubriaca di stupore, intenerita dal tenore dei tepori, nelle notti istrioniche, attori d'attori, mai colti nell'atto, eppur sempre all'azione.



Yoko: "La pavimentazione, le mura, i soffitti, l'altri arredi strutturati, l'altre strutture d'arredo, la mia resa, la ressa della sera, (che sia notte?), il pedale del piano scordato (spero nella mia demenza di dimenticarlo), il brusio della bruma abrasa sulle mie spalle strette in vasca; strette pedantemente, con la persistenza dei tuoi "ti prego non lo fare", dei loro "perché", del mio "invece", e tutti i panni del giorno prima (che fosse notte?) macchiati di vaghezze caudali e caucasiche, sbattute con un principio tanto violento quanto in pace, sulle tue dolci labbra come un semitono a chiusa di quella intima composizione"

Cenerentola ama la notteOnde histórias criam vida. Descubra agora