Capitolo 33

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Pareti bianche. Luce bianca. Lenzuola bianche.
Il dolore alla testa sembra un martello pneumatico, i crampi allo stomaco si sono alleviati e la mia pelle è bollente, come se mi avessero infilato in un forno.
Apro e chiudo gli occhi lentamente, cercando di abituarmi alla luce troppo fredda della stanza.
Mi muovo, ma sono bloccata. Non appena alzo il braccio, qualcosa lo trattiene dal polso.

Guardo verso il basso. Sono legata al letto, i miei polsi avvolti da due strette cinture marroni.

<<Ma che cazzo!>> borbotto, con un filo di voce.
Mi guardo intorno, ma accanto a me non c'è nessuno.

<<Dylan?>> lo chiamo, in preda al panico. <<Dylan?>> alzo la voce, ma non c'è nessuno.
Cerco di alzarmi, di sedermi o per lo meno di muovermi.
Nel mio momento di panico, finalmente, la porta della stanza bianca si apre, e ne esce una donna vestita con un lungo camice bianco. È la dottoressa Carrington.

Beh, almeno sono sicura di essere in un ospedale.
Di nuovo.

<<Ciao, Holland.>> mi sorride leggermente.
<<Dottoressa. Perché sono legata? Cosa sta succedendo?>> chiedo, con un tremolio nella voce.

<<Holly, devi stare calma, va bene? È stata una misura di sicurezza, per la tua e per quella dei medici. Adesso te li tolgo, ma tu devi stare calma Holland.>> spiega.

Annuisco. <<Sono calma. Non capisco perché avreste dovuto-?>> la dottoressa mi interrompe, mentre mi slega i due cinturini dai polsi. <<Hai aggredito due infermieri, Holland.>>

Cosa?
<<Io-Ma quand'è successo?>> chiedo. <<Abbiamo dovuto sedarti. Eri fuori controllo.>> spiega.
<<Ma perché?>> chiedo, non capendo assolutamente nulla.

Cerco di darmi una spiegazione, cerco di ricordare il motivo per cui mi trovo qui, il motivo per cui potrei aver aggredito degli infermieri.
E improvvisamente eccola qui, davanti ai miei occhi: la macchia di sangue sul divano di casa, Dylan che mi porta al pronto soccorso in preda al panico, dopo avermi presa in braccio.
La ginecologa, che ora slaccia le cinture legate alle mie caviglie, che mi visita velocemente accanto al ragazzo tatuato in piedi al suo fianco, che mi stringe la mano.

<<Mi dispiace, ragazzi. Mi dispiace tanto. Holland, hai avuto un aborto spontaneo. Non c'è nulla che possiamo fare.>> la voce della dottoressa Carrington mi risuona nella testa come un'eco lontana.
La guardo, allarmata.

<<È vero?>> chiedo, in un sussurro. <<Che cosa?>> chiede lei, non appena finisce di slegarmi.
<<Ho-Ho perso il bambino?>> chiedo, con le lacrime agli occhi.

Il suo sguardo si addolcisce, prima di annuire.
Le lacrime iniziano a scorrermi sulle guance, senza che riesca a fermarle.
<<Ma perché? Com'è possibile?>> chiedo, con voce incrinata dal pianto silenzioso.
<<Holland, purtroppo era inevitabile. Ti ricordi la nostra ultima visita? Il bambino era troppo piccolo, tu avevi preso a malapena due chili ed eri al quinto mese.>> spiega, pazientemente.
<<Ma- Non è possibile, ho aumentato i pasti, ho iniziato a mangiare di più!>> esclamo, tra le lacrime.

<<Holland, tu soffri di anoressia nervosa. Era già improbabile che la gravidanza fosse possibile per te, e se non fai qualcosa per stare bene sarà impossibile qualunque altra gravidanza.>> esordisce, con parole dure, ma vere.

Abbasso lo sguardo, davanti alla realtà.
È vero. Non mi sta mentendo e non mi ha detto niente che non mi avesse già detto in precedenza, l'ha solo ribadito.

<<Mi stavo impegnando, dottoressa.>> mugolo, in preda ai singhiozzi.
<<Holland, posso parlarti chiaramente?>> chiede. Annuisco, accettando il fazzoletto che mi sta porgendo.
<<L'anoressia non è uno scherzo. È una malattia vera e propria e non riguarda solo il peso, devi principalmente fare attenzione al lato psicologico, solo così riuscirai ad affrontarla. Se non combatti, ti trascinerà giù, sempre più giù.>> mi afferra dolcemente la mano, in una stretta materna.

𝐇𝐔𝐑𝐑𝐈𝐂𝐀𝐍𝐄. (IN REVISIONE)Where stories live. Discover now