"Dig"

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Anche Gabri andò via, ed io notai una cosa strana. Ay si era tolto entrambe le scarpe e i calzini, e faceva finta di controllare il loro interno, ma a me pareva ovvio che volesse mostrarmi nuovamante i piedi, più volte mi aveva detto che l'erba gli creava voglie sessuali. Io mi avvicinai e lui rimasi lì immobile, solo respirando affannosamente. Presi uno di quei piedi e me lo misi tutto in bocca, era così piccolo che a momenti lo mangiavo tutto. Lui rise di gusto, in modo molto vivace ma anche felicissimo, capii che stava al gioco.
E mi disse: “Stupido leccapiedi...” io continuai, avevo proprio voglia di quel piedino. So che fa schifo questo discorso a chi non ha tale perversione ma... Fottesega in fondo. Lui continuò, gli dissi: “Ridi ridi, vedi che ti succede dopo”. E cinque minuti dopo  successe... quel che avevo in mente. In mezzo ai papaveri, in mezzo al terriccio abbandonate, c'erano le sue all stars marroni con dentro i calzini, cosi come i suoi jeans con la catena attaccata e la sua maglietta dei nirvana, Aysea era completamente nudo. Io ero un ciccione di merda e quindi non facevo tanto movimento, stavo seduto statico, adagiato al tronco di un albero. Era Aysea, molto piu gracilino e atletico di me, a Saltellare sulle mie gambe come stesse giocando al cavallo a dondolo.
Unica differenza con ciò che la faceva sembrare una cosa infantile, come un gioco fra nipote e nonno, era che stavamo praticando sesso anale, lo stavo inculando.
Il mio cazzo si infilava deciso fra le sue natiche, nel suo sfintere, e saliva su fin dove riusciva ad arrivare, in effetti al massimo direi, perche sentivo il suo buchetto incollarsi alle mie palle.
Ma non era stato cosi semplice, avevamo dovuto lavorarci per ben  venti minuti per arrivare a tale risultato, fra urla e risate. Ay stringeva lo sfintere per paura ed io gli dicevo: “Stupido se stringi il buco come entro?”
Ma una volta entrata la punta, anche se lui sgranò gli occhi impaurito dicendo: “Non ci sta esci!” Io prendendolo deciso per i fianchi lo spinsi giù, misi il mio cazzo a forza dentro di lui. Lui mi urló in faccia, gli vidi le gambe tremare come prese da scariche elettriche, ma poi si abbandonò e rimanemmo li a giocare a cavalluccio per tre minuti, di più non resistetti essendo vergine e troppo eccitato. Iniziai a sborrare in modo assurdo...
Ay sgranò gli occhi, poi si guardo dietro la schiena in direzione del culo,  e disse: “Mi sei venuto in culo!” Fece un sorrisetto e una smorfia come di piacere... Fece per alzarsi da me ma lo tenni ben fermo. “Sento che ne arriva altro" gli spiegai.
“Cazzate!” replico lui “mica sborri a rate”. Ma mentre lo disse senti un bello schizzo entrargli come un fulmine nel condotto anale, risi per l'espressione che fece. Fece per alzarsi e lo tenni ancora giu... “Ne arriva altro?” mi chiese “ma é impossibile!”  aggiunse poi. Detto cio sentì altri due schizzi belli densi partire come missili dentro se.
Non so cosa provocarono in lui questi ultimi due schizzi ma fu lui stavolta a venire, fece partire sua volta schizzi ripetuti e copiosi che mi macchiarono tutta la maglietta, uno di essi mi colpi anche sul mento. Lo vidi pallido, aveva gettato un urlo di piacere. Lì sotto ai papaveri la situazione ci era sfuggita di mano, gli colava sperma dal culo, a me dalla maglietta, e goccioline di  esso si mischiavano nella terra.
L'imbarazzo fu tale che non parlammo per un po'. Fu lui a rompere il silenzio dicendomi che io ero il secondo che lo fotteva. “Chi é stato il primo?” chiesi. “Tony” rispose lui. A questa notizia non seppi se ridere o esserne sconcertato, o geloso.
Poi dato che non copriva quei piedini e anzi sclerava con le piccole dita forse per farmi nuovamente indurire, o dato che passammo troppo tempo nudi e vicini lo rifacemmo. Stavolta però volle che mi muovesse io. “Nonostante sei una ciccia devi fare tu!” Si sdraio pancia in su, io mi insinuai fra le sue gambette e poi nuovamente dentro il suo culo e mi misi a pompare.
Da quella posizione potevo mangiarli bene i piedini e lui ancora: rideva, rideva, ansimava e godeva. “Se continuiamo cosi io mi innamoro”
Gli dissi. La sua risata si perse per chilometri, per quanto fu forte, forse riuscì ad arrivare alla fine del campo di papaveri, alla strada asfaltata.
“Tu non sei affatto bello!” disse. “Ah grazie!” risposi. “Però una scopata fra amici ci sta!” mi disse dopo.
lo gli risposi: “A me sta piu che bene ti trovo carino”. Lui rise, per me era gay ma aveva paura di ammetterlo, non penso fosse bisex perché le sue prove per conquistare mia sorella Carla erano state molto blande e poco convinte. Mi mise un piede sul naso ridendo. “Ti puzzano Troietta!” gli spiegai... vennì per la seconda volta.  Lui fece per uscire ma come prima lo tenni ben fermo. “No! Non ci credo” disse “sborri a rate”. Detto ciò sentì ulteriori tre schizzi riempirli bene bene il sedere. Vidi nuovamente venire anche lui,  non lo so forse lo eccitava il mio sparare a rate, a distanza anche di molti secondi dalla prima serie di schizzi.
Fatto sta che mi riempì ancora la maglietta del suo sperma.
Ci abbracciammo respirando a fatica e ansimando, era l'una e mezza: c'era caldo, c'era dolcezza, c'era afa, ormai era fine maggio, l'estate alle porte, i grilli cantare anche di giorno, i papaveri mossi dal vento, il polline e qualche ape, qualche calabrone.
C'era tutto quello che si cerca in campagna quando si esce a fare una passeggiata.
Un pizzico di malinconia, un pizzico di bellezza, un pizzico di adolescenza, un pizzico di sole, un pizzico di follia giovanile. Il non sentire il bisogno di etichettarsi necessariamente in modo  sessuale, vai con chi ti piace, fai qual che ti piace. Gli insulti per una mente così aperta possono essere tanti, ma a te che cazzo te ne frega in fondo? Non devi perdere nemmeno un secondo a dar peso a cose così ignoranti, la vita è troppo breve per queste stronzate. 

Poi ci fu la volta che il piccolo Atreyu si convinse che il malocchio potesse ucciderlo. Tornai a casa e vidi Carla con gli occhi rossi, doveva aver pianto molto. Erano solo tre le volte che  erano usciti insieme ma lei mi raccontò di quanto fosse stato dolce e caro, di quale cuore tenero avesse. Certo sapendo il vero orientamento sessuale di Aysea mi sentì un po' in difetto con lei. “Pensi che il malocchio lo uccidera?” Feci una fatica immane per non scoppiare a ridere. “Ma voi siete completamente rincoglioniti? Non esiste il malocchio sono tutte stronzate!” Aysea era religioso ma a volte cadeva nel fanatismo e il fanatismo non é mai una cosa buona, in qualsiasi campo. Il giorno prima ero andato con lui in cimitero a fare colazione, pregò un pochino davanti alle tombe dei bambini. Ci sedemmo su un'altra tomba e mangiammo dell'ananas in scatola, una volta finita l'ananas dentro lo stesso piccolo recipiente mettemmo la coca cola: questa si mischiò allo sciroppo dell'ananas e ridemmo per quanto fosse stata stronza la nostra idea, uscì un gusto di merda. Lui allora lanciò tutta la coca cola sopra una madonnina, mi sembrò molto strano da parte sua, a volte diventava davvero contraddittorio. Tornò a casa e lo schermo del computer gli esplose in faccia, si procurò un taglio sul sopracciglio destro. Uscì in motorino e perse la ruota anteriore, cadde e si lussò una spalla. Infine venne quasi investito sulle strisce pedonali. Si presentò a casa mia che era ridotto come un barbone: aveva tutti i vestiti rotti e ferite ovunque. Carla gli si gettò fra le braccia. “Amore!” gli disse. lo gli feci: “Ti sei arruolato negli zingari?” e gli risi in faccia. Notai che nella mano destra stringeva uno straccetto appena comprato. Tornammo in cimitero: pulì la madonnina per bene e le chiese scusa diverse volte, trovai la scena molto carina. I cipressi venivano spinti dal vento leggermente, li accarezzava e c'era un odore di garofani freschi. Poi ci facemmo un giro e cercammo di immaginare il mestiere dei defunti  guardando i loro ritratti. “Questo era un falegname secondo me”. “Questo invece doveva essere un vigile”.
“Beh questo era un carabiniere sicuramente”. “Questo doveva essere un contadino”.
Uscimmo dal cimitero, comprammo un mazzo di fiori e ne mettemmo uno in tutte le tombe dei bambini. Si unì a noi anche Tony, quest'ultimo era ubriaco perso, gli partì un conato di vomito sulla tomba di uno di quei bambini. Ci incazzammo a morte con  lui. “Cazzo! Ma sei impazzito?” tuono Aysea.
“Tony sei sempre peggio cazzo” sbottai io. “Scusate ma non mi ha dato preavviso, é uscito di botto”. Tutti e tre insieme pulimmo per bene la tomba e poi comprammo al piccolo un altro mazzo di fiori, solo per lui. Lo facemmo comprare a Tony, ma capimmo che era davvero stato un incidente, lo vedemmo dispiaciuto. In seguito venimmo a sapere che la notte era entrato da solo al cimitero, per mettere sulla tomba del piccolo il suo pupazzo preferito, quello con cui giocava quando era piccolo. Oras mi telefonò a casa e mi disse che conosceva una donna in grado di togliere il malocchio, mi disse che Aysea ci voleva andare. “Ok” risposi “vengo pure io anche se la ritengo una stronzata madornale”.
La vecchia signora non prendeva soldi, anzi il solo parlare di denaro la faceva infuriare. Entrò nella vecchia cucina con lei solo il Tamburino: Tony, Gabri, io, Oras, Milena e Carla attendemmo fuori. Tempo dopo Aysea mi avrebbe raccontato di quel colloquio.  L'anziana signora gli dette delle precise spiegazioni sul da farsi,  tutto cio che gli disse sembrava avere a che fare più con la fantasia anziché con la realta. Tony osservava le foto che c‘erano nell'andito, tutte foto della Villacidro antica. Il piccolo Atreyu uscì molto sorridente da quel colloquio. L'anziana signora aveva un aspetto gentile, premuroso. Io pensai che fosse una strega, ma in senso buono. lo sono certo che in fondo molte streghe abbiano un animo nobile e buono. In quel corridoio risuonava un pezzo,  diceva: “Nel sole, nel sole mi sento unico”. Mi aveva fatto sentire lo stesso pezzo un ragazzino a scuola, quel giorno ci avevano mandato fuori dall‘aula contemporaneamente e la sua classe stava di fianco alla mia. “Perché ti hanno mandato fuori?” gli chiesi.  “Ho detto alla prof. che avevo un erezione per lei” rispose. Era un ragazzino bellissimo, mi ricordo i suoi lunghi capelli biondi e il suo essere un po’ trascurato nel vestire. Mi chiese:  “Vuoi sentire?” porgendomi uno dei suoi auricolari. Io cosi mi misi ad ascoltare insieme a lui quella canzone. “Ti piacciono?” mi  domandò.
“Si!” risposi.
“Tu che musica ascolti?” mi chiese.
“Non ascolto musica” gli spiegai. Mi fisso come disgustato, ma poi sorrise. “Vivere senza musica rock è come guardare il mondo in bianco e nero”. Trovai bella quella sua frase. “Questi chi sono?” gli domandai.
“I Nirvana”. Era una bella musica, malinconica. Lui mi informò che quella canzone era una delle piu calme della band e che la sua  preferita era “Negative Creep”. La sua professoressa si affacciò nell'andito e lo richiamò dentro l'aula, lui con molta sfacciataggine le fece cenno di attendere, voleva che la canzone finisse. La professoressa sbotto: “Thomas! vieni subito dentro la classe o ti mando dal preside”. Lui attese ancora dieci secondi facendo infuriare la donna, poi come il pezzo finì mi riprese l'auricolare e mi salutò. Entrò nella sua classe e urlo: “NEL SOLE, NEL SOLE MI SENTO UNICO!" Aveva qualcosa di bello attorno a se quel ragazzino. Tornai in quel  corridoio ma la musica non c'era piu, forse l'avevo sognata, non so, forse non era stato un momento reale. “Nel sole mi sento unico” dissi. Aysea sorrise. “Perché canti i Nirvana adesso?” mi domandò. Io risposi solo: “Non lo so, mi é entrata in testa”.
Uscimmo da quella casa e ci dirigemmo al parco, lì parlammo del  più e del meno. Tutte scuse.
...
Un pomeriggio Aysea andò a giocare a videogame da Gabri. Il padre di quest'ultimo era costretto a vivere dentro il cimitero perche dei vandali all'epoca avevano rovinato alcune tombe. Gabri era terrorizzato dall'idea di dormire li dentro. Una sera ci fece l'ennesima proposta: “Rimanete a dormire?” Aysea accetto.
Quella sera si sarebbe svolto il funerale di due sorelle della nostra età, morte a causa di un pirata della strada che le aveva falciate mentre stavano sul loro motorino. Gabri lo guardò quasi commosso, incredulo; era il suo sogno dormire insieme a qualcuno che li facesse compagnia. Il loro alloggio all'interno del cimitero era molto piccolo, c'era la stanza del padre: arredata con una scrivania, un divano, una TV, un letto e un piccolo bagno e la camera di Gabri, quest'ultima molto accogliente. Il padre gliel'aveva arredata nel modo piu allegro possibile, forse proprio per contrastare il fatto che fosse all'interno di un cimitero. Tutti e  quattro i muri erano affrescati con immagini di Topolino, (il fumetto) e il
suo lettino era di un giallo acceso, con un immagine gigante di Paperino che sorrideva. Il pavimento era ricoperto da una moquette a pois, inoltre aveva una Sony PlayStation con tantissimi giochi e un enorme televisore. Passarono il pomeriggio a giocare a “Crash Bandicoot”. In effetti pareva impossibile pensare che fuori ci fossero le tombe, ci fosse la tristezza. La stanza non aveva  nemmeno una finestra e solo la luce del lampadario la illuminava: per Gabri era meglio così. Verso le 16:00 giunse il funerale delle due sorelle, Aysea si affacciò a guardare, c'erano tanti loro compagni di scuola, cugini e amici. Uno spettacolo veramente triste, non poteva essere altrimenti. Il padre di Gabri stava vicino al parroco, dopo la breve benedizione dentro la piccola chiesetta all'entrata del cimitero, fece strada agli uomini dell'agenzia funebre e li porto ai loculi che spettavano alle due ragazze. Aysea  torno dentro la camera di Gabri visibilmente scosso, quest'ultimo gli chiese: “Le conoscevi?” Aysea non rispose, fece solo cenno di no con la testa. “N-non d-devi m-m-mai guardare q-quelle scene” gli spiego Gabri “io m-mi r-rinchiudo s-s-s-sempre qui quando ci sono i-i funerali”. Aysea aveva mentito, in realta le conosceva bene, ad una festa gli era capitato di parlare con una di loro, lei gli chiese persino: “Posso avere il tuo numero?” II Tamburino le rispose: “Quale numero?” Lei lo fissò in modo buffo. “Quello del tuo conto bancario, voglio tutti i tuoi soldi”. Aysea rise, la trovò molto simpatica. “Ok, il mio numero di casa é 9314512”. La ragazza se lo scrisse su un foglietto, felice come una pasqua, poi aggiunse: “So che stai con Carla, infatti mi piacerebbe uscire solo da amici, però ti trovo grazioso!” “Certo, mi fa piacere” rispose il  piccolo Atreyu. Era successo solamente una settimana prima di quell'incidente mortale. Il tamburino si mise a piangere sul letto di Gabri, quest’ultimo si alzo e gli disse: “S-s-si che le conoscevi”.  Aysea Rispose: “Non bene, ci è mancato il tempo”

Andai a trovarlo all'ospedale psichiatrico ma dormiva. Aveva i polsi legati con due cinghie perché la notte precedente aveva avuto una forte crisi, mi fece male vederlo cosi. Lo misero lì dentro perché aveva sparato ad un cane nella strada dell'anfiteatro con la pistola di suo padre, gli dettero un T.S.O. All'inizio fu ricoverato in un comune ospedale, ma fuggì e fece l'autostop in mezzo alla strada con un occhio nero, procuratosi scendendo dal letto dello  stesso ospedale: li mancarono le gambe per via dei sedativi che aveva in circolo e cadde pestando la faccia. Decisi di andare a comprarli delle sigarette. Nelle strade c'erano ragazzi che facevano comunella prima di entrare a scuola, altri che ridevano  parlando del più e del meno: c’era la vita, tutto accadeva mentre lui dormiva profondamente sedato. Per fortuna il povero cagnolino a cui sparò non riporto nessuna ferita. Sentii diverse versioni della vicenda, io presi per buona la versione di Tony: mi racconto che lui era presente e che Aysea sparo in aria, non al cane. I  carabinieri, avvertiti da qualcuno si presentarono a casa del piccolo e l'arrestarono. Lui pero raccontò loro di aver effettivamente sparato al cane e non per aria. “Ma perché?” chiesi io. Tony alzo le spalle come a dire... non lo so. “Forse si voleva far arrestare” concluse.
Tornai da Aysea e gli misi le sigarette nella tasca della camicia. Gli toccai il viso e l'occhio malconcio. “Ma che hai?” gli chiesi, ma non mi udì. Rimasi li fino a sera. Vidi il sole pomeridiano battere fortissimo: le strada deserte, non si sentiva una mosca volare,  niente. Tante persone sicuramente erano a letto a godersi il riposo  pomeridiano. C'é qualcosa di immorale nel dormire il pomeriggio,  mi sa di ospedale, ma forse la verita é che invidio chi ci riesce dato che I'insonnia mi costringe a dormire sempre sotto farmaci. Rimasi all'ombra di un albero a leggere -La piccola vedetta lombarda-, storia tratta dal libro -Cuore-, che presi dal comodino a fianco al letto di Aysea. Alla fine lessi tutto il libro, feci solo qualche pausa ogni tanto. Vidi andar via il pomeriggio, il silenzio e arrivare la sera, più caotica. Per fortuna però il prato verde dell'ospedale era in periferia, quindi non fu tanto caotica la mia sera. Lessi le vicende di Enrico Bottini e dei suoi compagni, passando per le tante piccole storie presenti nel romanzo: mi feci commuovere dal buon cuore di Garrone, dal -Piccolo scrivano fiorentino-, dalla fine che fece Franti, dalla bonta del loro maestro. Sorrisi per la bravura di Stardi in tutte le materie e per i divertenti musi da lepre del Muratorino... e mi rattristai nuovamente per le storie -Dagli Appennini alle Ande- e -Il tamburino sardo-. Come  rialzai lo sguardo c’era il tramonto e tutto piano piano tornava a tacere. Poi fumai una sigaretta e proprio in quel momento un infermiere usci e mi urlò: “Si é svegliato!” Buttai la sigaretta e corsi dentro l'ospedale. Tutto sembrava antico. Arrivai di fronte al suo letto, mi fisso con un espressione davvero intontita: era sicuramente colpa dei farmaci. Misi nuovamente il libro -Cuore- sul comodino vicino a lui. Cerco di tirarsi su per stringermi la mano, come a dirmi: “Ciao amico!” ma dovette rinunciare tanto era stanco. Io gli dissi: “Devono averti sedato come un cavallo per non riuscire nemmeno ad alzarti”. Lui rispose con un filo di voce: “Mi hanno dato del Roipnol”. Li sistemai bene la coperta e mi tolsi il capello, come per porgergli i miei omaggi. Lui lì per lì non capì, ma poi fissando il libro -Cuore- sul suo comodino collegò.  “Ma capitano cosa fa?” mi chiese “per me?” “Io sono solo un capitano” risposi “tu sei un eroe”. Detto questo lo baciai tre volte sul cuore, lui sorrise radiosamente. Tutto era sempre più buio, tutto era sempre piu simile ad un ricordo: sembravamo nel diciannovesimo secolo, almeno questa era la mia impressione. Non gli feci domande riguardanti la faccenda del cane, gli dissi solo: “Come ti riprenderai ti porto da Zia Bea”. “Zia Bea?” mi chiese confuso. “Si, é una mia zia. Vive a soli dieci chilometri da qui e ha una casa non lontana da un bel fiume. Non si è mai sposata, é una specie di hippy, ti piacera!”

Aysea era capace di passare dalla tristezza alla gioia come se niente fosse. Appena lo dimisero dalla clinica psichiatrica, andai a fare un giro in motorino con lui, vide sua mamma in bicicletta e gli urlo in faccia: “Hetterehe”, una parola che aveva inventato per sostituire un semplice ciao. “Dove vai Gilleneuve?” le chiese. La madre gli rispose: “Vai a cagare e piantala di chiamarmi Cosi”.  “Mi compri bobò?” le domando lui. Bobò era un'altra parola che era solito usare, poteva significare diverse cose: caramelle, amaretti, cioccolata. Lei gli rispose amorevolmente: “Ok, mamma ti compra i bobò”. Lui sorrise e la salutò: “Ok, ci vediamo a casa Gilleneuve”. Il suo motorino faceva un casino di fumo, accelerò e  affumico la povera donna, lei li urlò: “Testa di cazzo!” Io ridevo come un coglione rincoglionito o come uno scimpanzé sballato, in modo violento, cosi violento che Aysea mi chiese: “Che cazzo hai le crisi?” Si fermo davanti ad un gruppo di ragazzi seduti su un muretto, fra questi c'era anche quel famoso Thomas... questi lo salutarono entusiasti: “Ciao Aysea!” Lui rispose: “Dopo vi raggiungo che devo dire quattro cazzate”.
“Ok, ti aspettiamo!” risposero loro. Intanto la madre del Tamburino ci superò mostrandoci il dito medio, lui sbotto in modo sarcastico: “Bellina mia madre facendo i gestacci con le mani... tanto ti riprendo Gilleneuve”. La finimmo nel campo di papaveri, questi ci sbattevano sulle gambe mentre il motorino vibrava un casino a causa del terreno sconnesso. Tony ci raggiunse con il suo scooter, un Booster nero, ci affiancò e ci sparò un rutto gutturale nelle orecchie. Aysea gli rispose: “Merda sembri una vacca!” “Riuscirei a ruttare l'alfabeto al contrario” ci spiegò Tony. Anche lui era uno stronzo di prima categoria. Era famoso in paese per i suoi rutti all'ennesima potenza. “Che fai?” gli chiese Aysea. “Nulla, vi ho visti da lontano e cosi ho pensato di ruttarvi nelle orecchie”. Lui studiava al Liceo Piga: il liceo più fighetto del paese e forse di tutto il Medio Campidano. “A che ora uscite di solito dal Piga?” gli domandai. Lui mi rispose: “Non lo so... non sono mai rimasto fino alla fine”. Scoppiammo tutti a ridere. “Tu vendi merda!”  l'informai io. Nel nostro gruppo eravamo soliti pronunciare vagonate di frasi apparentemente senza senso, ma in realta il senso ce l'avevano. Aysea vide un insetto sul suo braccio. “Una  cugurra!” urlò spaventato a morte. Lasciò il manubrio del motorino e cademmo.
“Vi siete fatti male?” ci domandò Tony. Il piccolo Atreyu tuonò: “Quella ti mangia il cervello se ti entra in un orecchio”.
“Ma non é vero, prima dovrebbe mangiarti il timpano” gli spiegai.

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