"Don't Call Me White"

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"C'è di male che non pensavo fossi una puttanella" ci fu una mia sfuriata di gelosia che lo fece fermare per un attimo ad osservarmi. "Ma sei serio?" mi disse. Io sbuffai dicendo solo: "A me piaci molto!" E lui ridendo a crepapelle ribatte "sei carino geloso!" io riuscii a ridere e mi dette l'impressione che ci dette dentro, con piu animo... La scopata si fece piu intensa, detti colpi ben assestati e alla fine venni, mi liberai tutto nel suo culo. Lui fece storcere le sue labbra godendo come un piccolo porco e sfrego i piedi sulle mie cosce, smanettò ancora un minuto sul suo cazzo per poi sborrarmi completamente la maglietta dei metallica. Un vento estivo fresco soffiava, noi ansimando cercavamo
di recuperare fiato, i grilli, i profumi della notte, l'odore di cio che avevamo appena fatto. Qualche cane abbaiare in lontananza, quella freschezza che ti faceva pensare -vorrei morire all'aperto e non in una stanza chiusa quando sara la mia ora-. tutto intorno a noi e solo noi, solo noi, solo noi.
Lo aiutai a rivestirsi e lo accompagnai sino all'entrata del suo palazzo, li lo presi di peso e lo misi sul muretto proprio d'innanzi al cancello. Rise di gusto e gli dissi baciandolo: "Era per te quel ti amo" lui preso da queste parole rispondeva ai miei baci, gli strinsi fortissimo un piedino tramite la sua scarpetta. Passò qualche auto ma non mi interessò di ciò che videro non mi interessò di nulla.
...
Un pomeriggio di giugno del novantotto andammo per le pinete del paese in cerca di qualche fiume nella quale fare il bagno, tutto ci sembrava leggendario. Più che altro era Aysea a vedere le cose cosi e contagiava anche noi. La cosa che mi ha sempre stupito era il suo meravigliarsi di qualsiasi cosa, la sua propensione alla bellezza che ci stava intorno. Una pineta perduta nel silenzio, nel caldo pomeridiano, in cui faticavi quasi a respirare e cercavi più ombra possibile; ci faceva notare queste cose. Si fermò ad osservare degli insetti andare avanti e indietro, quando li toccavi si fingevano morti. Ay li toccava continuamente, trovava divertente quel loro astuto meccanismo di difesa, accarezzò l'insetto con l'indice della mano sinistra e gli disse: "Lo so che non sei morto. Vai ti do salva la vita" L'insetto ricomincio a camminare. "È come se ti abbia sentito" gli dissi. "Gli insetti non sono stronzi" mi rispose "mi ha capito bene". Trovammo in mezzo alla pineta due arrugginiti pezzi di ferro, il piccolo Atreyu però disse che erano due binari. "Portano a qualche tesoro" ci spiegò. Tony gli straccio la bottiglia di vino dalle mani, la mise di fronte ai suoi occhi, scosse un po' il vino che stava al suo interno e lo indicò. "Guarda!" gli disse "è qui che tu vedi il tesoro sepolto, che parli con gli insetti e vedi i toni di leggenda". Ridemmo tutti quanti, Oras cosi intensamente da fare il verso del maiale e scoreggiare e allora, com'era prevedibile, le nostre risate si fecero ancor piu pronunciate. Aysea rispose: "Mi stai dando dell'ubriacone?" Mosse un po' di polvere con la scarpa e ci fece cenno di abbassarci tutti ad osservare. La polvere saliva lentamente, il Tamburino passo una mano in mezzo ad essa. "Vedete la magia?" ci chiese. Tony tornò ad indicargli il vino con un sorriso beffardo. Aysea rise cosi intensamente da sdraiarsi sul tappeto di aghi di pino che stava sotto le nostre scarpe. Ci sdraiammo anche noi, il vino, misto al calore, ci stava creando stanchezza e vertigine, ilarità incontrollata, spensieratezza. Parlammo di come sarebbe stato bello poter volare, vedevamo il cielo tramite i pini: era cosi azzurro da sembrare il mare. Arrivammo nei pressi di un fiume, a fianco ad esso c'era una piscina malconcia, abbandonata. Oras tuono: "Cazzo! io questo posto l'ho gia visto". Dopodiché si mise a cercar qualcosa dentro il suo zaino. Tiro fuori un libro rilegato in modo artigianale con una trasparente copertina verde. Il titolo del libro era: - Alla scoperta di Villacidro-, faceva parte di un progetto scolastico che era stato interamente realizzato dalla sua classe, con l'aiuto della professoressa Gianna Ligas.
S

fogliò le pagine velocemente e urlo: "Ecco!" Ci avvicinammo tutti a guardare, sul libro c'era una vecchia foto della piscina di fronte a noi, la foto era datata millenovecentosettantacinque: ritraeva diversi bambini sorridenti che vi facevano il bagno, dietro la piscina si scorgeva anche il fiume. Rialzammo lo sguardo, stavamo proprio nel punto in cui quella foto, ventitré anni prima, era stata scattata; nel millenovecentonovantotto pero la vista era diversa, tutto era sporco e abbandonato. "Era la piscina comunale Murgia" ci spiegò Oras. "Peccato, era bella!" dissi io, poi aggiunsi "se stiamo zitti possiamo ancora sentire le risate di quei bambini". "Stanno ancora sugli alberi" disse Aysea. "E il fiume ha lo stesso odore di quell'epoca" continuò Oras. Gabri si uni al coro: "I bambini compravano lattine di Coca Cola li..." Ci girammo ad osservare un vecchio distributore arrugginito, Tony stava per indicare nuovamente il vino in modo da prenderci in giro, ma non lo fece. "Era il sogno di tutti quei ragazzini questo posto" disse. "SI!" urlò Aysea, felice nel vederlo collaborare. Tony concluse: "Un sogno vissuto ventitré anni fa". Ay gli riprese il vino e si fece un sorso, ci facemmo un sorso tutti quanti, guardo Tony e gli chiese: "La vedi la magia?" Fu uno di quei momenti in cui capii che la magia non ha niente a che fare con le scope volanti o con le bacchette magiche: era semplicemente intorno a noi e significava essere vivi, respirare l'odore dei pini, stare in compagnia di quattro amici. Mi ricordai di rilassarmi.
C''é gente che vive la propria vita come se il tempo a loro disposizione fosse infinito. Io guardai il sorriso? di Aysea, di Tony, di Oras e di Gabri, la magia era la, in quella piscina abbandonata e ormai in disuso da anni, in quella meravigliosa pineta che tanto sapeva di Sardegna campidanese, lontano dalla frenesia delle citta. La sentii tante emozioni tutte insieme, il vino mi aiutava a viverle ancora più intensamente, in qualche modo mi rendeva capace di poterle quasi toccare. Non trovo affatto strano che molti poeti, romanzieri o musicisti siano stati grandi ubriaconi, se non bevi forse vivi piu a lungo, ma io ne vedevo tante di persone intorno a me: tutte con grandi progetti, tutte sobrie e composte, cosi concentrate su cose che io trovavo stupide. Come diceva John Lennon: "La vita é qualcosa che accade mentre sei impegnato a fare altro". Non dico che avere progetti e farsi carico di responsabilita sia sbagliato, non lo è affatto, semplicemente ogni tanto ricordatevi di rilassarvi. Potete costruire imperi, avere cosi tanti soldi da potervi pulire il culo con essi, ma infine non vi porterete nulla dietro, quando sara la vostra ora; tutto rimarrà qui, quindi la cosa piu importante in fin dei conti é divertirsi. Ci sono persone che in soli trent'anni hanno vissuto più di tante altre che sono arrivate ad avene ottanta. Ma la magia che ci serve é tutta intorno a noi, in ogni secondo, in ogni minuto, bisogna solo saperla afferrare. Noi eravamo come una squadra in cui si lottava per un secondo di magia, in cui eravamo pronti ad ammazzare di fatica noi stessi e gli altri per un secondo di magia. Perché sapevamo che andati a sommare, tutti quei secondi, avrebbero fatto la differenza tra una vita piena ed una priva di essa. E tutto qui: é la vita. Possiamo avere tanta fede, credere che ce ne saranno delle altre, ma intanto prendiamo per buona questa. Mi persi in questi pensieri, nel frattempo i miei amici si erano tuffati nel fiume adiacente alla piscina. Vidi i secondi di magia di fronte a me, mi levai la maglietta e andai loro incontro. L'acqua era gelida, la pineta qui soleggiata e qui no. Io e Aysea salimmo su una roccia che stava a due metri dall'acqua, ci stringemmo la mano. "Andiamo giù come stelle!" mi disse. Ci lanciammo dentro il fiume, nei nostri, solo nostri, secondi di magia.
...
Poi tornò il gelo e ricominciò la scuola, Aysea non uscì piu spesso come aveva fatto in primavera o in estate: era tornato il suo periodo critico. Spesso passavo a trovarlo a casa sua, ricordo un giorno in particolare, non lo vedevo da una settimana: erano stati giormi veramente noiosi, capii quanto lui era importante per noi. Trovavo tutti simpatici nel nostro gruppo ma Aysea era un vero valore aggiunto, come la ciliegina sulla torta. Quella volta stava in cucina: beveva latte da una buffa scodella dell'uomo ragno con una cannuccia. "Ciao" gli dissi. Mi sorrise, notai vicino a lui lo Xanax e il Remeron, quest'ultimo era riuscito ad eliminarlo per un periodo, pensai che ne avesse avuto nuovamente bisogno. "Sei bipolare?" gli domandai, cercando di farlo ridere. Lui mi fissò, provò a sorridere ma non ci riuscì, iniziò a succhiare il latte piu velocemente e improvvisamente scoppio in lacrime. Mi alzai prendendolo per una mano, lo portai vicino al divano e lo feci sedere sulle mie gambe. "Oi..." gli dissi "che c'é? Non fare così, tranquillo!" Riuscii, seppur solo un pochino, a tranquillizzarlo. "Non sto bene!" mi spiegò "ho sempre ansia, difficolta a dormire, paura di stare in mezzo alle persone". "Stai tranquillo!" gli dissi. "Devi farti forte e prendere coscienza che ne verrai fuori". Mi ero informato molto sul bipolarismo, sull'insonnia poi ero proprio ferrato dato che ne soffrivo da anni. "Il Remeron ti aiuta a dormire?"
"Si, misto allo Xanax si" mi rispose, poi aggiunse: "mi sento un pazzo!" Gli accarezzai i capelli. "Non c'é nulla di disonorevole, o di imbarazzante, nel dover ricorrere ai medicinali, non sei pazzo, hai solo dei problemi, anche io prendo medicine per dormire". Mi controllai le tasche e fui felice di avere con me la mia boccetta di Valium, gliela mostrai. "Senza di questa col cazzo che dormirei"
sbottai. Lui la osservo. "Vedi?" continuai "é della famiglia
delle benzodiazepine, come lo Xanax, anzi forse é anche più forte dato che é un ipnotico. Secondo il tuo ragionamento siamo in due ad essere pazzi". Finalmente sentii la sua risatina, in quel momento rientrò sua madre, lei fu felice di vederlo ridere. "Era triste da una settimana" mi spiegò.
"Ci penso io a lui" risposi. Gilla mi guardò come per ringraziarmi. Rimasi a dormire li, prima di andare a letto fece una tazza di latte anche a me, lo bevetti con la cannuccia imitandolo. "È divertente" gli spiegai. "È fico, schizoide e stropiccioso" mi rispose. Mi piacquero quelle sue parole:
sapevano di adolescenza; in camera sua notai una cassetta sopra il videoregistratore: -Live Tonight Sold Out- dei Nirvana. "Nooo, la devo vedere!" sbottai.
Ci addormentammo nel mezzo del documentario: era bellissimo ma avendo gia preso le medicine non riuscimmo a stare svegli. Kurt Cobain parlava, e un po' le sue parole nei
miei sogni riuscivano ad entrare. Sentivo la sua voce malinconica, sentivo lo sporco delle canzoni suonate da vivo, lo sporco più bello che avessi mai udito. Nei miei sogni c'era la consapevolezza che quella stava diventando anche la mia band, quella in cui mi riconoscevo. C'era la notte, cera il silenzio, c'erano le stelle, gli alberi che perdevano le loro foglie. Tutto accadeva mentre dormivamo, mentre Kurt raccontava di sé alla telecamera, mentre Krist suonava energicamente il basso e mentre Dave pestava cosi forte da dimostrarti quanto impegno e anima ci mettesse in quel che faceva. Sicuramente condizionato da quel documentario sognai Cobain: stava seduto sul cemento che copre il Rio Fluminera, mi fermai a parlarci, gli spiegai che per me era stato il più grande artista di sempre. Secondo le informazioni che avevo letto su di lui, Kurt odiava le persone che parlavano di lui in quel modo, pero che cazzo potevo dirgli? Era quello che pensavo realmente. È giusto essere sinceri. Lui non parlò tanto, ma contrariamente a cio che mi aspettavo, gli fece piacere cio che gli dissi, il sogno fini in una piscina, io e tante altre comparse li aiutavamo a realizzare un nuovo video. Peccato fini li, avrei voluto vedere come sarebbe uscito quel video, l'ultimo video della (stringi i denti Kurt perché ora ti faccio incazzare) migliore rock band degli anni novanta, ma trovo riduttivo dire cosi: la migliore di sempre suona meglio.
...
Decisi che era arrivato il momento di andare a trovare zia Bea, come avevo promesso ad Aysea all'ospedale psichiatrico. Invitai anche: Tony, Milena, Oras, Gabri, Emanuele ed Eugenio, dovetti fare due viaggi per portarli tutti, per fortuna zia Bea abitava vicino a Villacidro, in un grazioso paesino chiamato San Gavino Monreale. San Gavino sta a soli dieci chilometri, e anche se non ha le bellissime montagne e localita campestri di Villacidro, è comunque un piccolo paradiso, pieno di campagne soleggiate immense. È tutta pianura, e all'epoca potevi vedere molta più gente andare in bicicletta di quanta ne vedessi a Villacidro, molti usavano la mitica Graziella, fra questi pure mia zia Bea. Nel secondo viaggio portai Milena e Aysea, come entrammo a San Gavino quest'ultimo sorrise vivamente nel vedere tutte quelle buffe biciclette. Il giorno fu come se l'estate non volesse morire, era il quindici ottobre, i giorni precedenti erano stati gelidi, ma quel giorno quando davanti a noi si apri la bella San Gavino, l'estate sembrava essere tornata. Un dolce tepore, un sole alto e luminoso, i campi di zafferano e la vecchia fonderia in cui aveva lavorato anche il mio povero nonno. Tirai fuori dal finestrino una mano e dissi: "Patria!" Perché quella era davvero la mia piccola patria, il ricordo di mia nonna. Zia Bea abitava in periferia, lei era una zitella di cinquant'anni, non si era voluta sposare perche diceva che non aveva trovato l'uomo giusto. L'unico suo rammarico fu di non aver avuto figli, le sarebbe piaciuto. Parcheggiai l'auto di fronte al suo garage, le avevo parlato diverse volte di Aysea e dei suoi problemi emotivi: zia Bea era la persona più solare che conoscessi, questo mi spinse a fargli conoscere il mio amico. Lei uscì e mi salutò con un abbraccio, poi prese Aysea e lo strinse forte. "È questa la piccola testa di cazzo?" tuonò. Milena mi guardo come a domandarmi: "Ma é suonata?" "Assolutamente si!" risposi. Era bella la sua cucina, dalla finestra entrava tanto sole, i mobili erano quelli che preferivo, creati nella prima meta degli anni ottanta. Zia Bea ci cucino delle polpette orrende e tutte bruciate. "Cazzo zia... ecco perché non hai trovato l'uomo giusto". Tutti ridemmo e lei mi sparò una polpetta in faccia. "Stronzo!" rispose divertita. Dopo ci offri l'unica cosa veramente commestibile: un pezzo di Viennetta, lei ci mise sopra del whisky, lo feci pure io, gli dava un gusto più intenso, zia Bea pero gliene mise almeno venticinque Cl e si ubriacò. Nel pomeriggio giocammo col frisbee nel salotto, saltavamo sui divani, sui tappeti. Zia Bea, come una pazza, se ne fregava se gli sfondavamo i divani, erano gia tanto pietosi.
Milena era divertitissima, Tony, anche lui sotto l'effetto del whisky urlò: "Vogliamo Bea sindaco di San Gavino". Il sole si faceva largo attraverso le tende gialle e sbatteva in faccia sui sorrisi di tutti. Mi sedetti su una sedia: mi girava la testa per colpa della mia esuberanza e del vino. Aysea urlò: "Zia Bea metti un po' di musica". Lei apri un armadietto e tirò fuori un'infinità di vinili impolverati, tutti si fiondarono a guardarli: Beatles, The Doors, Pink Floyd, Simon & Garfunkel, The Who, The Rolling Stones, Velvet Underground, Jefferson Airplane, Jimi Hendrix, Joe Cocker, Creedence, Grateful Dead, Stooges, c'era davvero di tutto. Vidi i miei amici guardare quei vinili come se fossero la cosa più bella del mondo. "Bea gode forte!" urlai. Era una frase che avevo copiato da uno dei miei film preferiti -Fusi di testa-: in quel contesto voleva significare, Bea s'intende di musica, é una persona interessante. Lei ci spiego che nell'arco di quei tre
giorni in cui avremmo alloggiato da lei, ci avrebbe studiati e alla fine di essi avrebbe regalato un disco a ciascuno, un disco che secondo il suo giudizio avrebbe avuto a che fare con la nostra personalita.
"Ora tutti al fiume" urlò "a dipingere". Afferro una cartella con dentro fogli, matite e colori. Uscimmo in giardino, lei disse ad Oras: "Prendi il whisky, ho paura di tornare sobria!" Ridemmo come stronzi.
Il fiume stava ad un chilometro dalla vecchia fonderia, si doveva superare un fitto boschetto per arrivarci. In mezzo a quegli alberi stava un vecchio divano scassato, i raggi di sole venivano giù come spade lucenti e ci abbagliavano il cammino. Ay si sedette sul divano e disse: "è comodo". Conoscevo bene quel divano, ci si sedeva sempre mio nonno quando andava a farsi le sue passeggiate. Quel terreno era suo, lo teneva pulito appunto per le sue scampagnate, seduto su quel divano guardava il fiume scorrere in silenzio, fu li che lo trovarono morto un giorno. Io mi sedetti a fianco ad Aysea, ci sedemmo tutti vicini: chi sul divano, chi su alcune rocce. "Ok" disse zia Bea "disegnate, lasciatevi andare, fatevi guidare dall'istinto". Calò un silenzio surreale, in quel silenzio ricordai tante frasi di mio nonno: quel posto era stato per anni il suo piccolo mondo. In mezzo scorreva il fiume, i raggi di sole brillavano. Milena chiese se al posto del disegno poteva scrivere una poesia. "Certo!" rispose zia Bea "sarò curiosa di leggerla". Tony disse: "Ho finito". Ci mostrò il suo disegno: ritraeva uno squadrato bambino che faceva pipi. "Una vera merda!" sbotto Bea "lo so che puoi fare di meglio, testa di cazzo". Tony rispose con una buffa pernacchia che ci fece ridere: fu troppo comico sentirlo ridere in modo cosi felice mentre disegnava, sbavando persino il suo stesso disegno. "Merda secca, ma tu sei ubriaco perso" gli fece presente Bea. Dopo un oretta consegnammo i disegni. Tony dietro il bambino squadrato aveva aggiunto solo un sole sorridente. Il piccolo Atreyu disegnò l'Auryn, Bea lo guardo entusiasta, ricordava bene La storia Infinita.
Io disegnai un vecchio signore su un divano scassato, Bea quasi si commosse. "Papà" disse.
Oras disegnò tutti noi seduti in quel boschetto, non sapevamo fosse cosi bravo, per lui ci fu un grosso applauso. Eugenio disegnò una bottiglia di birra, Emanuele il fiume e Gabri una specie di gatto, ci raccontò che era passato vicino a noi mentre eravamo intenti a disegnare: nessuno lo vide a parte lui. A poco a poco tutto sembrava acquistare significato, Milena lesse la sua poesia, parlava di tutti noi.
"Ride come un coglione e mi contagia, molti dicono che non é più profondo di una pozzanghera ma io so che non é cosi". Tutti urlammo in coro: "TONY, QUESTO E TONY!". Milena continuò: "Riesce a seguire il ritmo delle canzoni scoreggiando e si dimostra sempre un amico simpatico e vero". Dopo una risata urlammo: "ORAS". Nel proseguire della poesia urlammo il nome del dolce balbuziente Gabri, del taciturno Emanuele, dello stravagante Santamaria. Infine quella poesia, che in verita sembrava più uno sgangherato tema, e che fino a quel momento si era dimostrata simpatica, prese una piega diversa: "Ogni tanto mi perdo a fissarlo, ma raramente se ne accorge. Passa il tempo a rifugiarsi in frasi stupide che però riempiono tutti di gioia. Mi accontento di stargli vicino, mi accontento di stare in silenzio, di non farmi vedere da nessuno, nemmeno da lui". Sapevamo tutti che nome dovevamo urlare, ma nessuno lo fece. Ci fu un leggero imbarazzo, Ay si guardava le scarpe, io sorrisi e Bea disse a Milena: "Mi piace brava!" Poi dette uno schiaffetto amorevole alla nuca del Tamburino.

 Ci fu un leggero imbarazzo, Ay si guardava le scarpe, io sorrisi e Bea disse a Milena: "Mi piace brava!" Poi dette uno schiaffetto amorevole alla nuca del Tamburino

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