Capitolo 27

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Le sirene delle forze dell'ordine e dell'ambulanza rompono la cacofonia di voci della folla formatasi attorno a Mauro e il corpo inerme, ma vivo, dell'ex di Marina.
Quando tra la folla spunta il primo carabiniere, Marina gli si scaglia contro urlando con tutto il fiato che aveva in corpo, scaricando la tensione che aveva accumulato da quando Enea gli aveva afferrato il polso.
"Non è possibile che con tutte le denunce e il divieto di avvicinamento, io devo vivere con la paura di essere picchiata da questo stronzo?
Deve uccidermi per essere arrestato?"
Lo sfogo finisce tra le lacrime, il carabiniere basito che non riesce a trovare una risposta, sa che Marina ha ragione, sa che ogni giorno molte donne sono vittime di abusi e violenze, vorrebbe rispondere che se fosse per lui gli avrebbe già sparato, perché ha una figlia più piccola di Marina e spera sempre che non gli accada nulla del genere, leggo i suoi pensieri e in questo momento non vorrei trovarmi nella sua posizione.
Il sangue sulla ferita alla testa di Enea, mi fa un brutto effetto,  butto giù la saliva che si stava formando sulle mie labbra, il pensiero mi fa girare un po' la testa e sento i miei canini che stridono dalle gengive e vogliono uscire per penetrare la carne di qualcuno, non importa chi, va bene chiunque.
Credevo di resistere più alla sete ma mi viene in mente che da quando mi sono amputato il braccio, non ho più bevuto, probabilmente non ho reintegrato il sangue perso, ed era parecchio.
Cominciavo a sentirmi male, non tanto per il capogiro continuo, avevo paura, avevo il terrore di perdere il controllo.
I battiti del cuore dei presenti, amici compresi, mi bombardava con le immagini di una cascata di sangue che termina su di me, intento a bere come un demone assetato, dovevo andarmene.
Stavo per fare un salto per scappare dalla folla quando per fortuna una mano delicata si appoggia sulla mia schiena, "tutto bene, sembra che stia avendo un attacco di panico", era la volontaria della croce rossa.
Leggo il nome sul cartellino, Barsi, mi viene di fronte e la vedo, ha un bellissimo viso, con una carnagione scura e un nasino perfetto che finisce all'insù, due occhi neri e profondi da cui non si distingue l'iride dalla pupilla con un taglio di capelli corto e biondo.
La sua voce si fa tesa, quasi spaventata, e mi dice una frase che mi stupisce, "questo non è un attacco di panico, è un attacco di fame, aspetta qui e non farti vedere, i tuoi occhi soprattutto!",poi sparisce nel furgone dell'ambulanza.
Mi concentro sulla respirazione e cerco di stare più calmo possibile, nell'uscire dall'ambulanza l'infermiera che mi ha soccorso viene richiamata da una collega," Anna abbiamo bisogno di te", "un'attimo e arrivo", risponde lei.
Adesso sapevo come si chiama il piccolo angelo, Anna Barsi.

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