24. Risveglio.

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Come giorno e notte,
sole e luna
angeli e demoni.

Domenica.

"Ci sono giorni cupi, giorni in cui il mondo sembra voler finire, dove le foglie si rincorrono trasportate via dal vento che le coccola delicatamente fino a farle scivolare per poi posare a terra; ci sono giorni in cui il cielo piange, in cui le nuvole coprono l'azzurro celeste, giorni in cui tuoni e lampi diventano i protagonisti animando la terra con scosse di energia che la rivitalizzano, come un cuore che smette di battere. Sono questi i giorni in cui nascono le storie che non ci vengono raccontate, storie sussurrate in punta di lingua, all'ombra della luce del sole, sotto la tenue e fioca luce della luna, capace di raccontare e celare leggende nascoste. Ci sono momenti che cambiano ogni cosa, persone che ci fottono la vita mandando tutto a fanculo, ci sono istanti che sembrano non voler finire ed attimi che ci sfuggono dalle mani come se fossero un'anguilla.

Nei giorni di pioggia i bisbigli di essa lasciano trasparire parole sussurrate, parole non dette, parole capaci di tagliare affondo una ferita superficiale, capaci di uccidere in un attimo anche il più forte degli Dei; parole che con un suono delicato e tagliente lasciano morti per le strade".

Mi rigiro nel letto, gli occhi serrati e le palpebre ben salde che si stringono le une sulle altre. La poltrona bordeaux, la televisione accesa e l'odore di sigaretta che sembra propagarsi in tutta la casa, accompagnato dal soffice profumo della carne di stufato che sta cuocendo; poi il silenzio, il vuoto, l'abitazione è silenziosa, triste mentre un boato mi frastorna la testa che mi sembra esplodere, grugnisco cercando di dire parole che sembrano bloccate in gola. Spalanco gli occhi mentre il suo viso confuso mi guardo dall'alto al basso e la camera risulta essere illuminata da una luce forte, una luce a tratti fastidiosa.

Mi tiro su portando le mani sul materasso per poggiare la schiena alla testata dal letto imbottito, morbido e accogliente. Luca si sposta allontanandosi lentamente mantenendo il suo sguardo fisso sul mio volto, lo vedo pallido, bianco e sconvolto.

"Cos'hai da guardare!" Brontolo cercando di farmi tornare la voce che, durante la notte, sembra essersi dispersa nell'aria lasciandomi la gola secca. La porta si spalanca ed ecco che i nostri sguardi si fiondano su quella presenza, mia madre ci osserva senza capire, i suoi occhi sono spenti, tristi e spaventati, come se avesse appena sentito il grido di un fantasma.

"Che succede?" Mi si avvicina preoccupata portandomi immediatamente le mani sul viso, posandole sulle guance. Scuoto la testa cercando di distaccarmi da quella sua presa.

"Sto bene!" Ribatto innervosito da tante presenze presenti nella mia camera, come se questa fosse diventato un parco pubblico, non siamo al parco giochi e nemmeno al circo. "Fuori di qua!" Sussurro come un cane rabbioso in preda ad un attaccato di panico. Odio avere le persone vicino a me ed odio quando si addentrano nella mia stanza, nel mio mondo. "Fuori di qua!" Ripeto alzando il tono di voce che diventa più arrogante e roco, graffiato in gola. Nessuno dei due sembra voler dar cenno di allontanarsi; porto le mie mani su quelle di mia madre e le faccio scivolare lentamente via dal mio volto. Prendo un grande respiro ed ecco che la mia rabbia diventa ira e, per un solo secondo, mi trasformo nell'Orlando Furioso. "Fuori!" sbraito mentre la mia voce riecheggia infinite volte nella stanza, ripetendosi finché i loro corpi non spariscono dalla stanza, lasciandomi solo.

Chiudo gli occhi sospirando più volte per cercare di far scivolare via quella furia che, come ogni volta, non sono in grado di gestire. Nella testa mi si ripetono le parole che mi diceva mio fratello, aveva una teoria così assurda sulla nascita delle favole. Affermava che... il lieto fine non è davvero mai un finale, non è una soluzione. Mi sento la testa scoppiare, appesantita da tutte quelle cose.

Kiss me once moreWhere stories live. Discover now