Capitolo Secondo

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Distesa sul letto, con la testa penzoloni... Mary sosteneva che aiutasse a pensare. Soprattutto se si trattava di riflessioni che avevano a che fare con cancelli che si aprivano, soffitte e spiriti.
«Un po' di radio?» chiese lei, distesa accanto a me nella medesima posizione. Il sangue mi stava andando alla testa.
«Perché no...» risposi io col collo dolorante, scrutando le librerie disordinate che da quaggiù sembravano sottosopra, mentre Mary si alzava per raggiungere la radio.
Mi aveva trascinata a casa sua in occasione del weekend e rispetto alle altre stanze, semplici, accoglienti, ordinate, la camera da letto era un disastro... Così in disordine che non a caso ti saresti chiesta se fosse stata tutta opera sua. Vestiti ammucchiati nei cassetti, scatole piene di gioielli, libri sparsi ovunque. Appena abbandonavi qualcosa lì dentro, anche per un secondo, spariva. Come la mia scarpa sinistra, per esempio. Mi alzai anch'io, con grande difficoltà, stiracchiandomi e fiondandomi davanti alla libreria che per me era come il miele per le api. In questa settimana mi ero resa conto di quanto Mary fosse pazza, strana, singolare proprio come me e trovai in lei una sorta di modello da seguire, rivalutando la mia diversità. Si era appena messa a saltare sul letto a ritmo di musica, non a caso.
Feci scorrere lo sguardo su tutti quei libri, fantasy per la maggior parte, fino a quando uno strano volume non catturò la mia attenzione. Bordi d'oro, carta che profumava di negozio di antiquariato... Chissà se i fantasmi avevano lo stesso odore. Lo presi tra le mani, facendolo scivolare via dalla libreria, mentre Mary si mise a fissare le persone che passavano, affacciandosi alla finestra, sorreggendosi il volto con una mano.
«Storie di spiriti, apparizioni e altri eventi sovrannaturali.» lessi a bassa voce. «Simon Parker»
Mary si voltò, avvicinandosi e guardando un attimo il libro, sporgendosi appena e portandosi un dito proprio sulle labbra. «Quello...» si lasciò sfuggire, lanciandomi uno sguardo d'intesa. «Interessante direi, adatto anche alla tua situazione...»
Risi. Ormai Mary sapeva quasi tutto o almeno quello che c'era da sapere riguardo a quell'antipatico, noioso e fastidioso fantasma che infestava casa mia (nel caso ce ne fosse stato davvero uno), come lo chiamava lei.
«Sono davvero perseguitata allora?»
«Prendilo, magari lo leggi e vedi se arrivi a qualcosa...» propose riprendendo a camminare proprio sul letto, giocherellando con le maniche della maglietta su cui compariva la scritta I love London, mentre io spostavo di nuovo lo sguardo sul libro. Nonostante i film, le serie tv e tutto il resto che ridicolizzava gli spiriti, l'argomento m'incuriosiva. Magari esistevano davvero. Insomma, chi aveva inventato la figura del fantasma? Qualche precedente doveva pur esserci. Qualcuno doveva averne visto uno. Non poteva finire tutto dopo la morte, doveva esserci qualcosa. Niente oscurità, niente fine, niente paradiso, inferno, solo vita, una nuova vita... Magari esistevano città invisibili popolate da anime. E se poi c'era davvero una presenza? Le prove erano poche, ma... Come sarebbe stato conoscere uno spirito? Mi avrebbe allontanata? Perseguitata? Avremmo potuto architettare scherzi insieme, fare cose da spiriti o semplicemente gli avrei chiesto di prendermi di nascosto i biscotti dalla credenza. Ovviamente era solo una fantasia ma, pensandoci, incontrare uno spirito non sarebbe stato poi così male.
Teorie sugli spiriti, sull'aldilà... Tutto ciò che trovai tra quelle pagine ingiallite. Interessante, okay, ma c'era qualcosa che mancava. Qualcosa che l'autore aveva tralasciato. Qualcosa che faceva al caso mio. Non che potessi aspettarmi di trovare una qualche guida che, passo per passo, mi spiegasse cosa avrei dovuto fare per incontrare uno spirito... Se ci fosse stato un libro del genere nessuno avrebbe più pianto ai funerali, probabilmente. Avrei potuto scriverlo io, se avessi saputo come fare. Siete stufi di piangere su una stupida lapide? Di sfogliare vecchie foto, stringere vecchi vestiti e abbandonarvi ai ricordi? Per tutti i vostri problemi c'è la guida per comunicare con gli spiriti di Elizabeth Winsor, nelle migliori librerie.
Mi rimaneva un'ultima chance: la soffitta. Cos'altro potrebbero fare due sedicenni sole in casa? Magari esistevano passatempi migliori di giocare alle esploratrici.
Armate di torcia e di scala ci piazzammo esattamente sotto la porticina, preparandoci a salire. Le scale non erano mai state il mio forte come tutto ciò che se ne stava in alto; avevo una discreta paura di tutto quello che poteva cadere. Andai per prima, rivestendo il mio buon ruolo di padrona di casa, ritrovandomi davanti esclusivamente oscurità, deglutendo a vuoto intimidita credendo di veder spuntare qualcosa dal nulla, come da bambina, quando la fioca luce disegna strane sagome sulle pareti. Appena accesi la torcia tutto si fece più nitido, come illuminato da un lampo e tutta quell'oscurità andò a rifugiarsi negli angoli della soffitta, come un mantello scuro che viene rimosso da una mano veloce e scattante. Potei vedere meglio ciò che mi circondava e tutte le mie paure caddero a terra, come il mostro nell'armadio che, infine, dimostrava di essere composto esclusivamente da vecchi abiti e cianfrusaglie. Vi erano solo scaffali, bauli tarlati, scatoloni e mobili coperti da grandi teli ingialliti in quella soffitta spaziosa, ma stretta e umida come una grotta. Così stratta da costringerti ad abbassarti, da farti mancare il respiro.
«Hey!»
Sussultai come se mi avessero appena dato una scossa
elettrica, voltandomi di scatto, per incrociare lo sguardo di Mary che, vittoriosa, si ergeva alle mie spalle, con una mano su un fianco.
«Non comparire così alle spalle!» urlai con un tono stridulo quanto il rumore provocato da un gesso sulla lavagna, trattenendomi dall'aggiungere Come un fantasma.
«Scusa, scusa...» protestò lei, alzando le mani al cielo, tenendo la torcia tra l'indice e il medio, rischiando di farla precipitare a terra. «Che ne dici di controllare un po' in giro? »
Annuii iniziando a camminare lentamente, orientandomi con la luce della torcia, per timore di rompere qualcosa, magari il pavimento, e finire catapultata al piano di sotto con qualche frattura. L'idea di trovarmi così in alto mi faceva preoccupare ancora di più, quasi fossi in un luogo inaccessibile ai comuni mortali, abbandonato da tutti, dove avrei potuto urlare con tutta l'aria che avevo nei polmoni e nessuno mi avrebbe sentita. Mary iniziò dagli scatoloni mentre io mi concentrai sui mobili e sugli scaffali, fino a quando un qualcosa di simile a un pianoforte, per quello che potevo scorgere attraverso il velo che ne disegnava i tasti, non catturò la mia attenzione. Mi avvicinai con cautela, scoprendolo appena con il risultato di far sollevare lo strato di polvere che vi si era posato sopra col tempo e che ora mi stava facendo tossire come se stessi per soffocare. Magari avremmo potuto portarlo in salotto e sistemarlo anche se probabilmente un qualche fantasma si sarebbe ribellato. Sfiorai delicatamente i tasti d'avorio, lisci e stranamente caldi, come se qualcuno li avesse già sfiorati, col timore che si frantumassero in meno di un secondo sotto il tocco dei miei polpastrelli. In quel caso il fantasma si sarebbe decisamente infuriato. Provai a suonarne uno, lasciando scivolare il dito con un po' di pressione, per spaventare Mary, notando che il pianoforte era scordato. Improvvisamente uno strano senso di colpa m'invase, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato, toccato qualcosa che non avrei nemmeno dovuto sfiorare. Mi ritrovai a rabbrividire e a storcere il naso per poi ricoprirlo e tornare dalla mia amica che rovistava ancora tra gli scatoloni, ignorando il mio tentativo di terrorizzarla. Ero sempre stata una frana in quel genere di cose, soprattutto se avevo a che fare con Mary che possedeva un sangue freddo invidiabile.
«Trovato niente?» chiese senza incrociare il mio sguardo, troppo impegnata in quello che stava facendo.
«Un pianoforte...»
«Qui solo libri, è meno appassionante di quello che pensavo...» Sbuffai facendole luce con la torcia come se la sua non fosse bastata e avessi potuto aiutarla a cercare meglio.
«Hey guarda cosa ho trovato!» disse improvvisamente, entusiasta, con il tono di voce che era cambiato da un momento all'altro, segno che aveva trovato qualcosa.
Si voltò verso di me, raggiante, mentre dall'alto scrutavo quello che aveva appena trovato: un quadro. Eppure non era un semplice quadro, era qualcosa di meraviglioso, dal tratto sicuro e privo di una qualsiasi imperfezione... Così meraviglioso che a primo impatto avresti dato qualsiasi cosa pur di essere in grado di realizzare qualcosa di simile ricorrendo esclusivamente a una tela immacolata e a dei colori. Qualcuno aveva dedicato chissà quanto impegno a una donna, con le mani in grembo, con un sorriso appena abbozzato, ma carico di tenerezza. I capelli biondi, raccolti in un fiocco azzurro, le ricadevano sulle spalle scoperte mentre negli occhi color del mare si scorgevano esclusivamente gioia e tranquillità, come se quel quadro avesse potuto trasmettere un qualche senso di pace e calma, come se due grandi corsi d'acqua sgorgassero da quegli occhi, levigandoti. Non era austera, statuaria, ma quel quadro lasciava trasparire un qualcosa di vivo, quasi bambinesco, ma mi trattenni dal toccarla per accertarmi che fosse davvero così. Rimasi solo a fissare a bocca aperta quella donna che ogni secondo mi pareva ancora più bella. La rimiravo, rapita, facendo scivolare lo sguardo tra le pieghe del vestito, a cui il pittore aveva prestato particolare attenzione, e poi sugli occhi, le labbra, i capelli, percorrendo lentamente ogni tratto, desiderando improvvisamente di trovarmi tra le sue braccia, lasciandomi accarezzare i capelli, come se fosse stata un angelo. «Ti assomiglia...» affermò Mary spostando gli occhi su di me per poi tornare ad ammirare il quadro.
Sentirmi paragonata a una donna così bella e sicura di sé mi fece sentire ancora più stupida e decisamente poco importante. Soprattutto se una strana sensazione, l'ennesima strana sensazione, si era di nuovo messa a giocare con il mio buon senso e con il mio corpo che reagiva involontariamente a ogni singolo stimolo che riceveva da quel qualcosa, abbandonandosi alla sua mercé e facendosi sempre più debole... Ecco quell'aria fredda che t'investe, come una folata di vento, ancora più forte e gelida della precedente, come una punizione, sostituita quasi immediatamente da uno strano calore che iniziava a espandersi in ogni singola parte del mio corpo. Ero stata messa in guardia, come se quel qualcosa mi avesse lanciato contro tanti pugnali di ghiaccio e poi si fosse addolcito improvvisamente. L'avvertii solo io, come se fosse stato un segreto tra me e quel qualcosa; i miei capelli non si mossero, tutto rimase immobile come una fotografia, incurante, mentre dentro di me si stava scatenando un'esplosione nucleare. Non ero più in grado di respirare, di formulare la più semplice delle parole, di urlare, di compiere un qualsiasi movimento e le gambe sembravano non reggere più il mio peso, come se le pareti della soffitta si stessero avvicinando sempre di più, fino a schiacciarmi. Non avevo proprio voglia di morire in una soffitta buia e antica, dimenticata da tutti.
Caddi a terra in un millesimo di secondo, a rallentatore, ritrovandomi in ginocchio, a contatto con il legno duro e freddo. Nemmeno quello, credevo, avrebbe potuto reggermi dallo sprofondare, come se si stesse sciogliendo sotto il mio peso.
«Che ti succede?» chiese Mary, con una preoccupazione che le si leggeva chiara in volto, avvicinandosi a me e aiutandomi ad alzarmi.
«Per favore, andiamocene via di qui...» risposi appoggiandomi a lei, stupendomi del fatto che riuscissi ancora a proferire parola. «Che è successo?»
«Non ne ho idea, ma niente di buono...» risposi passandomi la mano sulla fronte, mentre mi avviavo verso l'uscita, appoggiata a lei.
In fondo venire in compagnia era stata una buona idea, sarei sicuramente morta lì, divorata da qualche spirito forse... Sempre se gli spiriti avevano quel genere di tendenze.
Eppure le gambe continuavano a tremare con quel senso di colpa che mi divorava dentro, quel timore che s'insinuava maligno, con quella terribile e insensata voglia di piangere. Osservai un'ultima volta il quadro quasi con aria di rimprovero, ma poi mi addolcii anch'io e, per un attimo, mi sembrò che il dipinto si fosse spostato, come se stesse fuggendo da me.

ApparitionWhere stories live. Discover now