VII. La poesia più bella del mondo (è un segreto tenuto nascosto)

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          Casa di Bruno è precisamente come lui: calda, disordinata e ribelle

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          Casa di Bruno è precisamente come lui: calda, disordinata e ribelle.

Ricciardi non c'è stato abbastanza spesso da poter dire di conoscerla bene, ma di certo se la ricorda, e ricorda l'impressione che gli ha lasciato addosso; quella che nella sua, di casa, di rado trova (e, adesso che Rosa non c'è più, probabilmente non troverà in futuro).

È un senso d'accoglienza, di familiarità, che è sorprendente trovare nei pochi metri abitati da un medico scapolo che passa più tempo in ospedale e in Questura che a occupare quegli spazi domestici ristretti, addossati a quelli di altre decine di persone nei caseggiati popolari.

Bruno potrebbe anche permettersela, una casa più grande, più ariosa, al Vomero e non incastonata a ridosso delle viuzze dei Quartieri Spagnoli. Però, quando ha soldi da spendere, li scialacqua in buon cibo e buon vino, o al bordello, o per comprarsi qualche chincaglieria d'antiquariato al mercato delle pulci, o per un libro di medicina d'epoca smangiucchiato dalle tarme e senza rilegatura; non certo per costruirsi attorno una reggia che poi nemmeno si gode appieno.

Quei piccoli vezzi che si concede fanno mostra di sé sui ripiani della libreria, che occupa mezza parete del salotto. Ricciardi adocchia più di un libro che, ne è abbastanza sicuro, è probito dalla censura, e un paio di modellini anatomici umani, con organi e tutto, che farebbero fare il segno della croce a Don Pierino.

«Vuoi rimanere imbacuccato come una comare freddolosa pure qua dentro?» lo riscuote Bruno, indicando col mento il suo cappotto invernale mentre appende all'attaccapanni il proprio assieme al cappello. «Dai, fammi fare l'ospite come si deve, sennò il tuo animo nobile si accorge di stare in un tugurio,» aggiunge, facendoglisi incontro per prendergli il cappotto.

«Quando mai mi hai visto attaccato all'etichetta?» alza le sopracciglia lui, lasciando però di buon grado che gli sfili l'indumento dalle spalle (ne approfitta, stavolta consapevolmente, per averlo vicino anche solo per quegli attimi rubati).

«Lo stai dicendo vestito come un damerino e con addosso un completo che da solo vale quanto casa mia,» lo rimbecca Bruno, lisciandogli i il risvolto della giacca anche se non ce n'è bisogno, solo per punzecchiarlo (e l'avrà fatto migliaia di volte con lo stesso intento, ma stavolta gli sembra di avvertire davvero il suo tocco e non di registrarlo come un qualcosa di passivo).

«E dovrebbe essere un vanto?» sbuffa in risposta, optando per togliersi pure la giacca, vista la temperatura più che accettabile lì dentro. «A me pare solo una cosa molto sciocca.»

«Ecco, è proprio per questo che sei qui e non nella mia lista di aristocratici e borghesi maledetti con cui non voglio avere nulla a che fare,» ridacchia Bruno (e Ricciardi si trattiene dal sorridere troppo platealmente a quello che, per com'è fatto l'amico, è un complimento più che esoso). «Accomodatevi, signor barone, che vado a cercare il vostro rinfresco.»

Gli fa un cenno svolazzante della mano, completo di riverenza, verso il piccolo salotto, per poi allontanarsi oltre il corridoio. Ricciardi si concede quel sorriso che gli era rimasto in punta di labbra e si siede su un lato del divano, mentre Bruno traffica con gli sportelli della credenza in cucina con un tramestio di stoviglie.

La finestra senza soleWhere stories live. Discover now