You fell first but I fell harder

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Noah richiuse la porta della stanza di mio fratello.

Continuò a fissarla per un lungo istante, ignorando i colpi ritmici che continuavano a sbatacchiarla. Io avevo appoggiato la schiena contro al muro di fianco allo stipite, mentre strofinavo la punta del piede sul pavimento in attesa di una sua reazione.

Un urlo.

Una risata.

Qualsiasi cosa che ponesse fine a quell'attesa infinita e soffocante.

«C'è una capra.»

Era una constatazione piuttosto logica e perfettamente in linea con l'idea che mi ero fatto di Noah. Lui osservava le situazioni e le analizzava con professionale lucidità. Sarebbe diventato un bravo avvocato, non avevo dubbi a riguardo.

«Sì» gli sorrisi. «Non è dolcissima?»

Quando aveva accettato di seguirmi dentro casa forse non si aspettava di trovarci dentro una capra. Forse si aspettava tutt'altro, da un invito del genere.

«Robin.» Nonostante la sua immobilità statuaria, sembrava sull'orlo di un attacco di panico. «Prima di portare avanti questa frequentazione devo saperlo: hai rapito Jennifer V?»

Apprezzai il beneficio del dubbio. Chiunque altro mi avrebbe accusato senza alcun indugio, ma lui no. Noah, da bravo membro del club di dibattito, chiedeva e si informava. A lui poco importava dell'evidenza dei fatti: voleva conoscere il punto di vista del suo cliente, così da portare avanti la strategia di vittoria più valida.

Sospirai.

«Lo so, è quello che sembra, ma non è andata così.» Mi diedi una leggera spinta con le mani dietro la schiena e mi staccai dalla parete. «Qualcuno ha voluto farmi un brutto scherzo e l'ha legata sul vialetto.»

Suonava ridicolo perché era ridicolo.

«Qualcuno ha pensato di farti uno scherzo» ripeté lui.

«Olivia.» Non un "qualcuno" qualsiasi. «Ne sono certo.»

Noah finalmente si voltò a guardarmi. Mi accorsi di quanto fosse più alto di me e inclinai il collo per ricambiare il suo sguardo.

«Certo quanto?»

«Al sessantanove percento.»

«Significa che non ne sei affatto certo!» ribatté, prima di fare due passi indietro e dirigersi in direzione delle scale.

Per un attimo temetti che sarebbe andato via e avvertii l'istinto di allungare la mano per afferrarlo, ma lui sedette sul primo gradino, appoggiò i gomiti sulle ginocchia e intrecciò le dita sotto al mento. Mi avvicinai con fare cauto, poi sedetti di fianco a lui e mi chinai quanto bastava per poterlo guardare. Aveva le sopracciglia aggrottate e lo sguardo perso nel vuoto. Stava riflettendo.

Portai un pollice alle labbra e rosicchiai lo smalto.

Quanto è carino, però.

I suoi occhi si mossero verso di me, allora mi tirai indietro con un brusco scatto. Non mi ero reso contro di essermi messo a fissarlo con tanto trasporto.

«Domani parlerò con Olivia e proverò a indagare, va bene?»

Assottigliai lo sguardo.

«Siete amici?»

«Siamo cugini.» Noah sollevò un angolo delle labbra. «Perché mi guardi così?»

«Mi chiedi perché?» Questa, poi! «Ti rendi conto che sei imparentato con l'uranio liquido?»

Sarebbe stato meno rischioso frequentare Jeffrey Dahmer.

Noah scoppiò a ridere, e in quel preciso istante le mie narici vennero stuzzicate da quel delizioso profumo di pulito che avevo già avvertito al bowling, quando mi ero avvicinato per insegnargli a lanciare la palla. 

With love, Robin.Donde viven las historias. Descúbrelo ahora