17- EDEN

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«Il popolo non si fida.» Alec aveva trangugiato sei birre, quella sera.

«No, neanche un po'.» Io ne avevo trangugiate sette.

La locanda pullulava di brutti ceffi. C'era mancato poco che spaccassi la faccia a un tizio per aver tenuto gli occhi incollati al culo di Valerin qualche secondo di troppo.

E ringraziasse il cielo che Jared era di turno al castello. Aureen doveva poter sempre contare su uno di noi.
Non che a Val, comunque, servisse aiuto. Forse, tra tutti noi, era lei la più letale. Con quel pugnale fissato alla coscia e con quella sua bizzarra fissa per i veleni... beh, non era saggio mettersela contro.

«Ma la smettete con queste schifezze?» Val ci tolse i boccali da sotto il naso. «Avete bevuto decisamente troppo.»

«Troppo poco» ribattei, strappandole di mano la mia birra.

Lei sbuffò ma mi lasciò fare.

«Voglio vedere, domani, quando ti butterò giù dal letto. Ti pentirai di non avermi dato retta.» Si alzò e ci lasciò lì.

«Forse dovremmo darci un taglio» disse Alec, mandando giù un altro sorso.

Aureen.

Non facevo che pensare a quella mattina. Perché diavolo si comportava così? Sì, era incazzata e a buon diritto. Ma io ero lì per aiutarla, lo aveva scordato? E poi, anche io stavo rinunciando a tutto.

Ero io che avrei dovuto selezionare per lei i giusti pretendenti. Però, quello, non doveva essere un problema... giusto? Voglio dire, dopo diciannove anni si poteva dire che neanche ci conoscessimo più. Cosa volevo da lei?

Le stavo organizzando un matrimonio e la cosa la mandava in bestia.

Ma quello era il mio cazzo di compito. Non potevo farci niente.

«Che ti passa per la testa?» La voce di Alec mi strappò dai miei pensieri.

«Riflettevo.»

«È per Aureen?»

Sollevai gli occhi e lo guardai male. Le sue sopracciglia nere, dello stesso colore di occhi e capelli, si alzarono in un'espressione sapiente. Come se avesse capito tutto.

«Tu e Val parlate di me alle mie spalle?» Storsi il naso in una smorfia infastidita.

«Amico, guarda che si vede che te la mangi con gli occhi.»

«Spari cazzate» tagliai corto.

«Puoi anche non ammetterlo, ma sai che ho ragione.» Si portò nuovamente il boccale alle labbra. «Se vuoi sapere come la penso, dovresti forzarti ad andare oltre. È un gioco rischioso. Potresti mettere a repentaglio non sono il Regno e le alleanze, ma anche Aureen. E te stesso.»

Non potevo negare che avesse ragione. Non c'era niente tra noi, ma se non mi fossi dato una cazzo di calmata avrei rischiato di accendere qualcosa anche in lei. E non doveva succedere. Lei non poteva permetterselo. E nemmeno io.

«Parli a vuoto. Non provo nulla per lei, non il quel senso.»

«Senti, il popolo non si fida di lei. Non ancora. E se uscisse fuori che se la fa con il suo Gran Cavaliere invece di cercare un alleato negli altri Regni, potrebbe diventare impossibile restaurare la sua reputazione.»

«Alec, ho capito» quasi ringhiai. «Non c'è bisogno che tu mi faccia il discorsetto. Non provo nulla per Aureen.»

Nonostante l'intorpidimento dell'alcool, tenni lo sguardo fisso e serio nel suo. Sapevo che non mi credeva.

«D'accordo» scolò l'ultimo goccio e fece cenno al barista di portargli un'altra birra.

Il cameriere – un bel tipo con delle ciglia da fare invidia a Valerin – lo servì con un sorrisetto malizioso. Alec, com'è ovvio, ricambiò.

La Corona di TenebreWhere stories live. Discover now