due: peonia

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due: peonia

peònia: pe|ò|nia, pronuncia: /peˈɔnja/
sostantivo femminile dalla parola greca "paionia" femminile di "paionios" (salutare-soccorritore), detta "rosa senza spine". Secondo il significato tradizionale cinese della complementarità degli opposti, la peonia è di influenza positiva sulla donna e sull'uomo per quanto riguarda il loro vivere insieme in armonia.

«Ti ho cercato in ogni dove,
ma poi ho capito,
che le rose senza spine
fanno male lo stesso».

Certe cose non vanno mai come ti aspetti. Ti colgono alla sprovvista, fino a farti mancare il fiato, o quasi. Ecco, è questo l'effetto che mi faceva
Alice Riccobono: un costante ribollire di emozioni, cose che non avevo mai provato prima di quel momento, cose che non riuscivo ancora a spiegare. Sono sempre stato un tipo pignolo, preciso, attento alle cose. Anche a quelle che nessuno guarda mai. Attento anche alle persone che nessuno guarda mai. Alice Riccobono era una di queste. Una cocciuta ribelle. Direte che era una delle tante ragazze alternative a cui non piaceva uniformarsi e che amava fare la stravagante, oppure che era una di quelle che non sapevi mai se fosse presa a bene oppure no.
In ogni caso, avreste ragione. Alice Riccobono era tante cose ma nessuna cosa, una persona difficile da spiegare a parole, per questo motivo cercherò (per quanto mi è possibile) di spiegarvelo con i fatti. Dopo il nostro incontro a casa sua, non ne seppi più niente. Con il passare del tempo diventai amico di Gino, era bello avere qualcuno con cui parlare, con cui poter giocare tutti i pomeriggi dopo la scuola, con cui poter ridere e scherzare della qualsiasi. Vi sembrerà poco, ma per me, tutto quello, era il paradiso.
Peccato che in paradiso capisci di esserci stato solo quando non ci sei più e ti ritrovi all'inferno, con un armadio pieno zeppo di scheletri. Gino mi prendeva spesso in giro, diceva che dovevo fare più il duro con gli altri, che ero molle, effemminato, che non avrei mai retto il confronto con nessuno se non mi fossi dato una svegliata. Il fatto è che aveva ragione e io, sotto sotto, lo sapevo bene. A volte provavo a nasconderlo, dicevo a me stesso che prima o poi sarei cresciuto e sarei diventato l'uomo grande e robusto che avrebbe conquistato al mondo, quando invece ero soltanto un gracile ragazzino di periferia, uno di quelli che non guarda mai nessuno, un ragazzo da parete. Quegli anni, per me, furono difficilissimi. A casa era dura e il clima che si respirava estenuante. Facevamo fatica ad arrivare a fine mese, papà e mamma discutevano di continuo, a volte litigavano pesantemente, e io restavo lì inerme, senza poter fare nulla, correvo nella mia stanza e stavo lì per ore, con gli indici mi tappavo le orecchie, aspettando che le urla finissero.
Tenevo tutto dentro, non mi sfogavo con nessuno, nemmeno con Gino, che ogni giorno citofonava a casa mia per uscire insieme. Gironzolavamo qua e là per il quartiere, era quella lì la mia distrazione, uno modo per evadere da quel mondo di merda. Giocavamo a nascondino, uno dei miei giochi preferiti. Lo facevamo in due, perché tutti gli altri bambini erano impegnati a giocare a calcio o a derubare qualche tabacchino. Quando potevamo, il campetto, lo evitavamo. Evitavamo tutte le cose che erano pericolose e lì, le cose pericolose, erano tante. Ma erano tanti anche i momenti in cui si poteva ridere e scherzare, sfottere le bambine che si mettevano i rossetti e si truccavano sentendosi adulte. La vita lì, se lo volevamo, poteva essere bella, poteva nascondere tutte le cose brutte che ci circondavano e si rendevano inermi di fronte a un destino che, nella grande maggioranza dei casi, era già scritto.

Ma un giorno qualcosa cambiò. Un tranquillo pomeriggio come gli altri il sole si stagliava alto nel cielo azzurro, irrorando la terra con la sua luce implacabile. Le strade di asfalto, incandescenti sotto i raggi ardenti, emanavano un calore che si poteva quasi percepire attraverso le suole delle scarpe. L'aria immobile sembrava vibrare di calura, avvolgendo ogni cosa in un'atmosfera sospesa e afosa, uscii di casa e lei era già lì: Alice Riccobono se ne stava seduta vicino la porta di una vecchia casa abbandonata. Stava con la testa verso il basso, con i capelli che le coprivano la faccia, accovacciata e silenziosa, con le braccia minute che avvolgevano le gambe più esili che avessi mai visto. Indossava un vestito giallo e arancione, con i ricami sulle spalle e sulle maniche, e decine di fiori che facevano da sfondo e la rendevano ancora più solare. Era la prima volta che la vedevo, dopo tanto tempo. Gino non mi parlava quasi mai di lei, era diventata un argomento tabù, una di quelle cose di cui non si deve parlare. Ma le mie sensazioni su di lei non erano mai cambiate, perché Alice non mi rivolgeva la parola? Perché Gino, suo fratello, non ne parlava mai? Quelle erano tutte domande senza risposta, domande che accendevano la curiosità di un bambino che, della vita, sapeva ancora troppo poco.

Così, a passi lenti, mi avvicinai a lei.

«Che ci fai qui?» le chiesi quasi bisbigliando, con la voce tremante dalla paura, quella voce ancora acerba che solo un bambino di nove anni può avere.

«Sto pensando, non lo vedi?»

«A cosa pensi?»

«Fatti gli affari tuoi, non sono cose che ti riguardano, vai a giocare con mio fratello»

Già lì capii che tipo era, è sempre stata così, scontrosa di primo acchito, poi subito dolce e comprensiva. Al tempo, Alice aveva undici anni, ma era già molto più matura della maggior parte delle ragazze della sua età.

«Gino oggi mi ha detto che non voleva uscire. Non lo sai?»

«No, non lo so quello che vi dite tu e quello stupido di mio fratello»

Era proprio antipatica. Ricordo che mi trattenni dal risponderle male. La verità è che mi piaceva troppo stare con lei, sentivo che c'era qualcosa che ci legava, anche se non sapevo ancora cosa, avevo ormai compreso che in Alice c'era più di quello scudo da ragazza dura e scontrosa che si era costruita.

«Posso sedermi accanto a te?»

«Perché dovresti?» mi chiese quasi sorridendo, come se la mia fosse una battuta «Nessuno ci vuole stare con me»

Alice non era ben vista, lo sapevo bene. Lo avevo sentito dire alle bambine di quinta elementare durante la ricreazione, dicevano che era cattiva e che metteva gli insetti negli zaini delle sue compagne, una volta addirittura nella borsa della maestra. Forse era questo il motivo per il quale volevo stare con lei, perché in fondo lo sapevo che noi due non eravamo tanto diversi, eravamo fatti della stessa pasta, eravamo incompresi, sfottuti, quelli che nessuno voleva.

«Io ci voglio stare» replicai a voce un po' più alta «Io accanto a te ci voglio stare»

Così Alice Riccobono mi lasciò un piccolo spazio accanto a lei in quel vecchio marciapiede logorato dal tempo e io, dentro, mi sentii la persona più fortunata del mondo.

«Cos'è quello?» le domandai dopo aver visto che stringeva qualcosa tra le mani

«È un fiore, non lo vedi?"» bofonchiò Alice

«Non lo avevo mai visto. Che fiore è?»

Era uno dei fiori più belli che avessi mai visto, color corallo, con le foglie verde scuro e un profumo delicato e avvolgente.

«Che fiore è?»

«Mamma dice che si chiama peonia, è tipo una rosa, ma senza le spine»

E da quel momento le peonie non me le scordai più. Alice mi insegnò a guardare la vita con occhi diversi, mi fece capire che un semplice fiore può cambiare il modo di vedere le cose, di vedere le persone, può segnarti indelebilmente.

«Non è una rosa però, le rose sono meglio»

«Questa è più bella della rosa, perché non ti punge» mi ammonì Alice, prima di alzarsi e andarsene senza guardarsi indietro. Mi lasciò lì, immobile, senza salutarmi, senza spiegarmi perché le peonie fossero meglio delle rose.

Tornai a casa affranto e, allo stesso tempo, felice, quella era stata la conversazione più lunga che avessi avuto con Alice, non mi era mai successo di parlare così tanto con lei prima di quel momento. Avevo appena premuto il citofono di casa mia quando la mia attenzione si spostò su un carro funebre pieno zeppo di peonie, c'era scritto anche qualcosa, mi avvicinai per leggere meglio.

"In memoria di Carmela Valenti" recitava.

Era la mamma di Gino e Alice.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 28, 2023 ⏰

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