2.6 Éponine; la carte maîtresse

29 5 25
                                    

   'Ponine non volle allontanarsi da Grantaire per il resto della notte; si sistemò per terra, accucciata tra il letto e il mobiletto dove lui aveva lasciato il suo cellulare.
Per tutte quelle ore lo schermo non si era mai illuminato. Né un messaggio, una notifica, niente di niente.
   Tutte le persone che lui aveva erano lì in quella casa, e pensando questo, 'Ponine provò un moto di profonda tristezza.

   Infilò il dito nella mano di 'Taire che sporgeva mollemente dal bordo del letto e vi si appese.
Per un po' dabbasso continuarono a giungerle le voci degli altri, poi una a una si spensero, e prima che se ne accorgesse tutta la casa era piombata in un silenzio quasi imbarazzante. Come se nessuno dei suoi abitanti avesse più il coraggio di uscire dalla propria stanza per primo.

   Stava per chiudere gli occhi quando dalla fessura sotto la porta intravide un flash che tremolava sul pianerottolo, un minuto dopo Jehan si fece avanti, illuminandosi con la torcia del telefono per rendersi riconoscibile. 'Ponine gli sorrise senza dirgli nulla mentre lui lentamente si fece avanti a passi incerti, come quelli di un insetto sull'acqua.
Si mise a sedere leggerissimo sul bordo del letto e si sporse sopra Grantaire per raggiungere la sua fronte con le labbra. Una volta dato il primo bacio a occhi stretti, Jehan non si trattenne dal ricoprirne il viso dell'amico in ogni angolo, ogni spigolo, anche quelli che normalmente gli sarebbero sembrati irraggiungibili. Era così felice di sentire sulle guance il suo respiro, anche se lento.

   Capita assai di rado di toccare qualcuno e sentirne l'anima, calda, a pochi centimetri sotto la pelle. 'Ponine giurò che in quel momento, con il dito ancora appeso alla mano di 'Taire, aveva davvero colto il palpito della sua anima irraggiungibile.

Sentì, e ne era davvero convinta, di aver capito cosa provasse. Proprio in quel momento.
Proprio con quello stupido tocco, collegandolo al telefono che non suonava mai.
Grantaire era solo.
   Non che non lo sapesse, ovviamente, ma forse per la prima volta pensò che Grantaire ne soffrisse.
E tutte le sue miserabili scopate, le esagerate bevute e la necessità della drøga, erano soltanto un palliativo per quel dolore che non riusciva a recuperare, a colmare.
Certo, aveva lei, ma non gli bastava e di questo non si sentiva offesa, ma standogli vicino lei l'aveva vista la mole di amore che Grantaire aveva bisogno di riversare su qualcuno.
   Una persona non poteva assolutamente bastare.

   E adesso se pensava a lui lo ricordava sorridente, allegro, sboccato come sempre. Ma dentro di lui vedeva anche quel bambino che, purtroppo, non aveva conosciuto in tempo per evitargli almeno qualche sofferenza. E lo vedeva rincorrere i suoi genitori per meritarsi il loro consenso, lo vedeva rincorrere gli amici che lo avevano abbandonato perché troppo eccentrico. Lo vedeva correre a perdifiato dietro quella società che lo scansava come un cane sporco, una società che lui odiava e insultava, ma di cui avrebbe tanto voluto sentire il calore.

   In quel momento, quell'anima, era alla mercé di chiunque, ma, con persone come quelle sotto lo stesso tetto, Grantaire non era così sfortunato.
Anche se il suo telefono non si illuminava mai.

   Doveva soltanto far sì che la luce di Enjolras riverberasse su di lui, per poi farlo diventare finalmente una torcia.

Jehan, con ancora il naso infilato tra i capelli di 'Taire, allungò il braccio alla ricerca di 'Ponine e quando la raggiunse la strinse in uno strano abbraccio tra indigenti, come se per tutto quel tempo tutti i suoi pensieri lui li avesse letti.

   «'Fanculo, non è ancora presto per le zanzare?»
'Ponine aprì faticosamente gli occhi, li sentiva annebbiati e pesanti come non fossero i suoi. Chissà quando si erano addormentati, certo era che nessuno dei due si era allontanato da 'Taire.
Davanti a lei Jehan aveva alzato la testa pesante e assonnata verso un Grantaire che cercava goffamente di liberarsi da una zanzara sbattendo le lenzuola a destra e a sinistra.
   Urtò il comodino e quasi lo fece ribaltare per lo scatto che ebbe nel vederlo stare bene.
Si arrampicò sul suo letto a fatica, ancora intontita dal poco sonno, e con quella difficoltà tipica dei lattanti che ancora non controllano gli arti e la loro forza.
Anche Jehan ebbe la stessa idea, e dopo qualche istante entrambi si rotolarono oltre il suo corpo per incastrarsi tra lui e il muro e abbracciarlo, finalmente ricambiati.
   «Dovrei rischiare l'overdose più spesso se poi ricevo questo trattamento.» Entrambi lo guardarono in cagnesco per quella sua uscita, ma prontamente 'Taire li rassicurò che stesse soltanto scherzando. O per meglio dire, li glissò roteando gli occhi al cielo e questo fu abbastanza.

Apollo Anni 20Where stories live. Discover now