2.7 Grantaire; l'alliée

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Il pomeriggio passò, tranquillo e lento come capita sempre in primavera, e lentamente, uno dopo l'altro, tutti tornarono a casa, come navi in un porto di mare.
   Enjolras e Courfeyrac tornarono dopo il tramonto; erano stati in ospedale per controllare le condizioni di Soubise, cercando di passare il più inosservati possibile per quanto la struttura fosse assediata da giornalisti.

Quando varcarono la porta, Jehan e Grantaire erano ancora lì sul divano a raccontarsela, il più piccolo con entrambe le gambe mollemente poggiate su quelle di Grantaire che se ne stava sgarbatamente a gambe aperte, occupando quanto più spazio possibile.
   Courfeyrac si affacciò dall'ingresso giusto il tempo di rivolgere un sorriso cordiale a entrambi. Uno di quei sorrisi alla "Courfeyrac" che facevano tanto sospirare Jehan nel sonno, e che gli arrotolavano gli zigomi rosati sotto gli occhi e gli sollevavano la punta del naso.
   Courf Indugiò con sguardo apparentemente casuale su Jehan, che lo ricambiò sbattendo le ciglia e continuando a mordicchiarsi l'unghia del mignolo. Sembrava quasi sul punto di dirgli qualcosa, qualcosa detto dal cuore e con naturalezza, come "ti aspetto di sopra" o "ti amo".
Ma ovviamente non disse niente, e semplicemente sparì lungo le scale.
   Jehan sembrò ricominciare a respirare solo in quel momento.

   «Perché non provi a dirgli che effetto ti fa?» gli domandò il moro accanto a lui, poggiando la nuca sul bordo dello schienale.
Non si preoccupò di abbassare il tono di voce, nonostante la presenza di Enjolras, che ora aveva infilato la testa nel frigo analizzando la situazione. Il fatto che Jehan non gli disse niente a riguardo gli confermò che neanche lui considerava il biondo una minaccia; Enjolras si faceva sempre i fatti suoi.
   Jehan perse lo sguardo davanti a sé, poi sulle pellicine del suo pollice, e scosse la testa in un "no" per niente convinto o sincero.
   «Complicherebbe tutto.»
   «Lo stai complicando tu», sospirò Grantaire, infilando la mano fasciata tra i suoi capelli per dargli una grattatina, «al  massimo tornerete a come state adesso, ma potrebbe solo fargli piacere sapere di provocare dei sentimenti così in qualcuno.»
   Enjolras estrasse la testa dal frigo e la infilò nella credenza posta sopra al lavello.
   «Pensi potrebbe fargli piacere?»
Grantaire si accigliò, come se Jehan avesse appena detto la cosa più assurda dell'universo, quindi tornò dritto sul suo posto e gli chiuse il viso fra le mani: «Penso che chiunque dovrebbe ritenersi fortunato di far provare sentimenti simili a qualcuno come te.».
Lo sguardo del ragazzino si sciolse e non riuscì a sostenere quello di Grantaire.
   Era una delle cose più belle che gli avessero mai detto.
Pensò che, se fossero stati da soli, sarebbe stato quello il momento più cinematografico per infilargli la lingua in bocca.

   Jehan si alzò in piedi e si piazzò fra le sue gambe per poterlo abbracciare meglio, immergendo il naso tra quei capelli profumati che sapevano di casa. Poi si allontanò anche lui verso le scale, tenendo salda la mano di Grantaire nella sua fino all'ultimo secondo, finché i polpastrelli non si staccarono, come in una strana versione di Romeo e Giulietta.

   Ora, rimasto solo con 'Ras, quel divano sembrava fatto di carboni ardenti e si sbrigò a sparire in camera sua anche Grantaire, come se sapesse che Enjolras avrebbe rivendicato quel territorio soltanto per lui.

Non ci mise troppo tempo a crollare sul letto; ogni volta che si ritrovava disteso, il suo corpo gli ricordava quanto fosse stata estenuante l'orribile esperienza vissuta poco tempo prima.
La mano ferita non si faceva sentire, durante il giorno, ma adesso stava urlando tutto il suo dolore, esplodendo in fitte brucianti e intense.
   Dopo un lungo rigirarsi, finalmente il suo cervello sembrò accogliere l'idea di dormire.

Quella notte, però, accadde qualcosa che definire strano sarebbe un eufemismo.
   Vuoi per i contatti elettrici andati in corto di un cervello bruciato dagli alcaloidi delle droghe, i fumi dell'alcol e il dolore, vuoi per la necessità di una fuga in una realtà che fosse completamente diversa dal piccolo universo di quella casetta, vuoi per la frenesia inconscia di realizzare un contatto con una creatura che sembrava tanto lontana da risultargli inafferrabile, ma il mondo dei sogni, quella notte, gli riservò un'esperienza tanto drammatica quanto tangibile.
Con tutti e cinque i sensi.

Apollo Anni 20Where stories live. Discover now