THAT SHIP HAS SAILED

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Fammi assaggiare le tue tentazioni. Secondo me hanno il gusto dei miei brividi.
(Fabrizio Caramagna)



VICTORIA'S POV


Dicono che la mente non sia in grado di amare. Che il cervello sia il vetro blindato del nostro organo pompante. Il cuore irradia amore ed il cervello cancella il veleno iniettato, come una sorta di antidoto.

Sciocchezze. Avrei potuto confutare io stessa quella assurda teoria degna un famoso, ma a me sconosciuto, psichiatra di fama mondiale.

Erano passati ben cinque anni ed il tempo non aveva curato proprio un bel niente. Avevo iniziato a pensare che nel mio organismo ci fosse qualcosa di malato, di difettoso. Un pò come se le piastrine fossero sotto il minimo consentito e che non avessero la forza di cicatrizzare tutte le ferite che il mio cuore si portava dietro.

Per non parlare della memoria. Quella non fa parte della mente? Cosa mi diresti della memoria signor psichiatra? Quella impudente me lo aveva fatto immaginare talmente tante volte tra le strade di New York, nei caffè che frequentavo, alle feste aziendali, sotto una delle tante querce bianche di Central Park.

Una volta il suo volto mi era apparso su un corpo robusto e tarchiato solo a causa del suo profumo. Quel mix afrodisiaco di velvet e betulla che tormentava i miei sensi. Non ne avevo parlato con nessuno, neanche con la mia psicologa, la signora Brown. Mi avrebbe fatta internare se le avessi parlato di quelle allucinazioni assurde che ogni tanto venivano a trovarmi.
Ma io non riuscivo ad arrendermi, a lasciare andare il ricordo di lui.

Ed è proprio vero che certe sensazioni sono così infime da convincerti a farti andar bene qualsiasi cosa, anche la più tossica. Il problema è che lui per me non era affatto tossico. Lui era il petalo sbocciato su una rosa rinsecchita, che era la mia vita.

 Vulkan mi aveva regalato il suo cuore. Aveva aperto a conca le mie mani e me l'aveva posato lì, quella sera, a casa sua. L'avevo visto nei suoi occhi ingrigiti dalla sofferenza.

"Non azzardarti a lasciarmi solo". 

Era questo che mi aveva supplicato di fare nella sua cucina, mentre mi confessava di non poter lasciare Pinar prima del termine delle riprese.

Io non conoscevo il suo mondo. Quelle assurde e ridicole dinamiche mi erano del tutto sconosciute. Ma non era l'ignoto a spaventarmi, quanto il fatto che una persona pura come Vulkan fosse scesa ad un patto del genere.

Quante altre cose sarebbe stato in grado di fare per aiutare sua sorella?

Leyla. 

Quel nome mi aveva tormentata per giorni. Non sapevo niente di lei, neanche della sua esistenza. Avevo compreso che Vulkan dovesse prendersi cura di sua sorella, ma il perché mi era del tutto sconosciuto e non avrei chiesto, avrei aspettato che fosse lui a parlarmene se ne avesse avuto voglia.

La sua discrezione era stato l'appiglio a cui avevo affidato la mia rinascita anni prima. Non chiedevo di parlarmi di sé, per evitare di dover raccontare di me. C 'era una sorta di patto tacito tra noi. 

Dover parlare della mia famiglia mi rendeva fragile ed insicura, l'avevo imparato a mie spese. Lo evitavo quando potevo, illudendomi di poter sfuggire da quel senso di appartenenza che finiva sempre per ricordarmi di essere una Wilson.

Nell'ultimo periodo i peggiori ricordi erano tornati a farmi compagnia. La ripugnanza di mia madre nei confronti della maternità era palese anche agli sguardi piú disattenti. Si prendeva cura di me solo per vestirmi a bambola di pezza da sfoggiare in società. Anche mentre mi pettinava i capelli a soli 4 anni mi ricordava quanto dovessi essere perfetta per mostrare la mia discendenza dalla famiglia Wilson. Per non parlare di mio padre. Lui mi aveva sempre fatta sentire fuori posto, non desiderata. Come un errore del destino al quale avrebbe dovuto rassegnarsi. Sapevo che avrebbe preferito un figlio maschio a me, si premurava a ricordarmelo. Mancava l' erede, come lo chiamavano i suoi amici del club degli stupidi.

TWICE - Like a stormWhere stories live. Discover now