Il Matto

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Avevo sedici anni quando conobbi il Matto. Un ragazzino buffo, con i capelli rossicci e l'aria di chi se ne frega di quello che gli altri pensano di lui. Viveva in un paesino di mare ed era delizioso, come il costume con le paperelle che a volte indossava.

Io e la Maga lo adoravamo.

Quando usciva con noi si metteva uno strano pareo vagamente ridicolo, lo faceva per indispettirci, ma a noi non importava. Fingevamo di arrabbiarci.


(un gioco)


Non sapevamo mai quando sarebbe arrivato e quando sarebbe andato via, il Matto. Aveva gli occhi allegri e il cuore puro.

Una notte in cui eravamo in spiaggia, ubriachi di rum e risate, ci confessò che, appena conosciuti, si era preso una cotta per la Maga, ma che adesso gli piacevo io. Ad ogni modo continuava a corteggiare entrambe con la sua aria svagata e le sue battute allusive.

Non riuscivamo a prenderlo sul serio e ci divertivamo a stuzzicarlo continuamente.


(solo un gioco)


Quando inizi a giocare e ci prendi la mano smettere diventa difficile.

Ci abbiamo giocato per un po' di estati, col Matto. Lo abbiamo preso in giro, disturbato, provocato, divertito, strapazzato. Se gli chiedevamo cosa pensasse di noi rispondeva, scherzando, che eravamo fuori di testa. Matte anche noi.


(un gioco innocente)


Ma capitava, a volte, che nei suoi occhi leggessi altro. Mi voleva davvero ed io lo sapevo, avevo un potere su di lui.

Lui mi chiedeva qualcosa di più ed io mi rifiutavo, dicendogli che gli volevo troppo bene e che non volevo rovinare il nostro rapporto.


(una scusa)


Una mattina d'estate, sdraiati sotto un ombrellone in spiaggia, ridendo mi disse: "Dai, roviniamola un po' quest'amicizia".

Il cielo era sereno, il mare limpido ed una strana sensazione di pace si impossessò di me. Risi anche io.

Mi faceva ridere, il Matto. Mi faceva sentire bene. Voluta e amata. Per questo continuavo a rifiutarlo, per la paura fottuta di perderlo se avessi ceduto. Di perdere il mio controllo su di lui.

Ma scavando c'era qualcosa di ancora più fastidioso.

Cosa avrebbero pensato gli altri? Cosa avrebbero pensato di me se fossi stata con un tipo così strano? Lui era capace di fregarsene di tutto e tutti, lo ammiravo per questo, ma io no. Non ci riuscivo.

Mi torna alla mente un mio amico di infanzia, un bambino timido e un po' solitario. Mi ricordo l'affetto che provavo per lui. Ho sempre avuto la tendenza ad affezionarmi ai diversi, ai sensibili, ai fragili. Vedo in loro una luce che li rende più belli e veri. Fuori dagli schemi. Matti.

A mia madre il mio amico non piaceva, lei avrebbe voluto che facessi amicizia con quelli forti, inseriti, "normali".

Volevo bene a quel bambino ma mi allontanai pensando che quell'amicizia fosse sbagliata.


(scava di più)


Più giù c'era la mia paura dell'intimità. Del sesso. Il terrore di mostrarmi nuda, in tutti i sensi, a qualcuno.

Sentivo il desiderio di essere toccata dal Matto ma, allo stesso tempo, il fastidio che quel tocco poteva provocarmi.

Lui mi aveva idealizzata, ma sarei stata all'altezza delle sue aspettative?


(un'altra scusa)


La sera in cui il Matto mi legò al polso il laccio di cuoio rotto dei miei sandali alla schiava non capivo ancora di essere legata a lui. Legata con un resistente nodo da mozzo, non da marinaio, dicevo prendendolo in giro.

Non si offendeva mai, il Matto.

Ripetevo fino alla nausea di non volerlo, ma stava diventando un'ossessione.

(un gioco sempre meno innocente)

Mi rivedo insieme a lui e alla Maga sui cavalli di una giostra. Risate in spiaggia di notte. Alcool. La giostra che girava. Le labbra del Matto sul mio ombelico bagnato di Martini. Le labbra della Maga sulle mie, per provocarlo. Ancora un altro giro. Mattine in cui fingevo di non ricordare bene cosa fosse successo o cosa avessi detto la sera precedente, perché mi ero lasciata andare un po' di più. Una mano che mi sfiorava i capelli. La giostra che non si fermava. Il Matto che diceva di amarmi. Io che lo amavo, ma non lo dicevo. La folle gelosia che provavo quando usciva con altre ragazze, e lui che, con aria divertita e vagamente strafottente, mi tranquillizzava dicendomi che io, per lui, ero sempre al primo posto. Ma poco dopo i suoi occhi, di solito allegri, si incupivano.

Il Matto si allontanava. Poi tornava. Ma forse ero io a non lasciarlo andare via.


(un gioco di potere)


Una sera gli concessi un appuntamento io e lui da soli.

Quella sera era felice, il Matto. Gli dissi qualcosa che non ricordo. Lui si girò verso di me.

"Mi fai sorridere", mi disse.

Così, semplicemente, "Mi fai sorridere".

Con i suoi occhi allegri e il suo cuore puro.


Lo amavo, il Matto, ma non ho avuto il coraggio di viverlo.

L'Eremita e la PapessaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora