Prologo parte 2

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4 anni prima...

Emily

Dopo essermi cambiata, avevo passato almeno 20 minuti a girare l'impianto per trovare gli spalti ma ora arrivava il bello: dovevo trovare le mie amiche.

Stavo perlustrando con lo sguardo tutti i sedili, iniziavo ad avere freddo ai piedi nonostante i calzini con la maestosa coda di Ariel disegnata sopra. Adoravo quel cartone, me l'ero visto almeno un centinaio di volte.

E niente, quella combriccola di pazze che mi ostinavo a chiamare amiche non era lì. Probabilmente erano ancora impegnate a cercare la fine di quel labirinto che erano i corridoi.

Mi sedetti in prima fila sperando che se mi avessero visto mi avrebbero chiamato.

Canticchiavo la canzone che veniva trasmessa dalle casse. Ci misi un po 'a capire di quale canzone si trattasse, dato che era italiana, poi mi venne un'illuminazione, probabilmente divina: La Nuova stella di Broadway risuonava in tutto l'edificio.

Feci vagare lo sguardo per le tribune una seconda volta, le mie amiche non erano ancora arrivate.

Stavo per alzarmi ed andare a cercarle quando mi accorsi di una cosa, o meglio una persona. Una testa bionda a pochi posti da me era china con lo sguardo su una cuffia.

È lui?

Mi alzai e feci qualche passo avanti, mi abbassai e scorsi due occhi azzurri come l'acqua della piscina.
Stava osservando una cuffia strappata in più punti.

Scattai verso il borsone e frugai rovesciando metà roba sul pavimento, se era davvero lui avrei dovuto restituire il favore.

La cuffia arancione era ancora immacolata, ovviamente avevo buttato a terra tutta la mia roba ma la quella era ovviamente in una delle taschine interne.

Portai lo sguardo di nuovo verso quel ragazzo ma non vidi nessuno, il posto era vuoto.

Mi guardai intorno come una forsennata e lo vidi scendere i tre scalini che portavano agli spogliatoi.

Mi misi a correre come una pazza, rischiai di scivolare tre volte e mi bagnai i calzini in una pozza d'acqua non ben identificata ma gli arrivai dietro.

«...Scusa?» Avevo il fiatone, la crocchia che mi ero fatta probabilmente era mezza sfatta e avevo una faccia da esaurita, non potevo essere messa peggio di così.

«Si?» Il biondino mi guardò dall'alto in basso, forse si stava chiedendo se fossi una matta uscita da qualche manicomio.

«E-ecco... tieni.» Gli allungai la cuffia e lui parve capire solo dopo averla presa, fece slittare gli occhi illegali che si ritrovava da me a quella cuffia arancione per qualche secondo.

«Questa in un certo senso è mia ma puoi usarla tu.» Mi decisi a dirlo, forse avevo sbagliato persona e probabilmente stava per chiamare un centro psichiatrico.

E invece mi sorrise, aveva anche i denti perfetti, diamine. Puntò gli occhi nei miei e per un istante mi sembrò di tremare.

-Fulmini e saette lassù
Nel cielo blu, il loro nome.
Argento fra le stelle-

«Ciao... Ariel.» Arrossì fino alla punta delle orecchie, se avessi avuto i capelli rossi come quelli di Ariel non si sarebbe visto la fine della faccia e l'inizio dei capelli.

«Bei calzini.» Mi disse, mentre accennava una risata. Io stavo letteralmente andando a fuoco.

«Mi hai riconosciuta.» Sussurrai guardandomi i calzini zuppi sperando quasi che non mi sentisse, ma lui lo fece senza problemi.

«Emily Bennet.» Sentì dire dall'altoparlante.

Spalancai gli occhi, tutte le mie cose erano ancora sparse a terra.

«È il mio turno!» Corsi verso la mia roba e iniziai a rimetterla a casaccio nella borsa.

Andrew mi raggiunse camminando e si mise a raccogliere con me.

«Wow. Dopo sette anni ho finalmente scoperto il tuo nome.»

Era la seconda volta che arrossivo nel giro di cinque minuti, mi si sarebbero rotti i capillari delle guance di questo passo.

Quando tutte le mie cose non furono più di dominio pubblico sparse sul pavimento, ci alzammo.

«Allora... Ehm... C-ciao.»

«Alla prossima. Buona fortuna Ariel.»

Un anno dopo...

«Parto per New York.»

«Cosa?!»

«Parto per New York, Andrew. Domattina.»

«Non puoi partire! Poi così di punto in bianco?!»

«Mi dispiace ma non è una mia
scelta!»

«No! Era il nostro sogno, ti ricordi?! Saremmo dovuti partire insieme come ci eravamo promessi, Emily!»

«Perché fai così Andrew?! Dovresti essere felice per me! Non dovresti dirmi che mi aspetterai?!»

«Basta...» Sussurrò.

Andrew

Troppo rumore. Emily stava urlando troppo.
Non mi piaceva il rumore, era meglio il silenzio.

Le urla le odiavo, mi ricordavano lei.

«È colpa tua! Se tu non fossi nato lui non sarebbe morto!»

Non volevo pensare a lei anche quando ero con la mia Ariel.

«Non dipende da me, lo capisci?!»

Basta. Non volevo più sentire. Emily stava continuando ad urlare ma non capivo cosa diceva, mi stavo premendo i palmi sulle orecchie. Volevo solo silenzio.

Basta.

Basta.

Basta.

Non ce la faccio più.

Basta.

«Avrei dovuto abortire!»

Basta. Basta. Basta. Basta.

«BASTA!»

Non so cosa mi prese ma ricordo soltanto la faccia incredula di Emily quando si accorse che l'avevo spinta a terra. Poi me ne andai.

Emily

La mattina dopo

L'aereo che dovevamo prendere era gigante. Pieno di gente.

Io, mio padre e mia madre eravamo seduti l'uno a fianco all'altra. Io ero dalla parte del finestrino con un magone che mi gravava sullo stomaco.

Non sapevo se ero arrabbiata, triste o delusa ma avevo solo voglia di rifugiarmi nella musica come facevo sempre.

Presi le cuffiette ed avviai una playlist a caso su spotify ma di certo non mi aspettavo che la riproduzione casuale avviasse l'ultima canzone che volevo sentire in quel momento. Per qualche motivo però la ascoltai. Forse ero masochista.

-New York, New York
È una scommessa d'amore-

Aspettami Andrew.

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Spazio autrici: (frittellaciabattosa)

Eccoci! Abbiamo deciso di fare una parte due del prologo per spiegare meglio la loro infanzia (e ovviamente per dare un po' di suspence🤪).

Comunque abbiamo deciso che pubblicheremo (se tutto va bene) ogni venerdì.

Speriamo che questo capitolo vi sia piaciuto!

Alla prossima!💙

(tik tok: grestoriess)

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