"Ho capito qualcosa in questi giorni di osservazione

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"Ho capito qualcosa in questi giorni di osservazione. Prima di tutto, non hai idea di cosa ci possa essere fuori dalla tua sudicia gabbia. Ora so perché eri così terrorizzato nel vedere la mia mano sul vetro. Da quanto tempo sei rinchiuso lì?

Secondo, quello psicopatico ha ottenuto diversi permessi per i suoi esperimenti, ma pare siano riconosciuti come prove di sostanze sugli animali. Tu, Rovere – chiedo scusa, ma non conosco il tuo nome – non assomigli proprio a un animale.

Odio non poter far nulla, ma sto arrivando."

Quella era la sua lettera più lunga. Ancora anonima, battuta a macchina, ma dalle sue parole non c'era dubbio che mi vedesse. Lui mi vedeva e voleva che sapessi che stava arrivando. Per cosa? Non sapevo nemmeno se fosse stato un bene o se volesse farmi ancor più male. Avevo ricevuto altre lettere, che avevo semplicemente nascosto nella fodera del cuscino, tra le pagine dei miei libri o avevo buttato nello scarico del water. Non le avevo più lette. Il mio cuore non sopportava quella minuscola briciola di speranza venir schiacciata da tante, troppe catastrofi. Lui non conosceva il mio nome, ma nemmeno io lo ricordavo. La sua mano mi spaventava, perché avrebbe potuto mettermi in guai più grandi di qualche frustata. E le sue parole... le sue parole mi agitavano. Erano parole vuote. Nessuno sarebbe venuto a salvarmi. Potevano essere scritte dal Dottore stesso, per farmi impazzire. Per tenermi con sé per sempre.

La porta si aprì, rivelando il soggetto dei miei pensieri. «Ciao, Sedici. Sono venuto a vedere la schiena.»

Sembrava sempre così affabile, quando voleva. Tuttavia avevo visto in che mostro era capace di tramutarsi. Senza esitare, mi alzai dal letto e mi tolsi la maglia bianca. Rabbrividii al suo sguardo e mi voltai, lasciandogli osservare ogni centimetro della mia pelle.

«Anche i pantaloni.» La sua richiesta... il suo ordine mi fece irrigidire ogni muscolo. Ci volle un respiro completo prima di obbedire.

Non mi aveva colpito così in basso, ma durante i suoi "lavori" su di me, aveva tagliuzzato anche le mie cosce. Speravo volesse vedere solo quello. Quasi completamente nudo, scrutai i suoi movimenti dal riflesso nella finestra. Si stava avvicinando ed era solo. Brividi di freddo e terrore scorsero lungo i bulbi piliferi, rizzandoli fino a farmi male l'epidermide.

«Hai freddo?» Il suo tono era basso, ansimante, come se fosse affaticato.

Annuii semplicemente e strinsi i pugni per tentare di tenere a bada le sensazioni che strisciavano sul mio corpo. Nel riflesso, lo vidi alzare una mano e subito dopo sentii un suo dito percorrere la mia spina dorsale. Se prima ero rigido come il legno, in quell'istante il mio corpo si tramutò in marmo. Era raro che mi toccasse all'infuori del laboratorio.

«Sei uno dei miei migliori successi, Sedici. Nessuno è mai sopravvissuto così tanto. Certo, non parli, ma i tuoi ricettori cognitivi sono sempre vigili. Il tuo cervello è forte e così sto cercando di rendere anche il tuo corpo.» Dalla nuca il dito scese di nuovo. Lento. Raccapricciante. «Il mio miglior successo. Non permetterò a nessuno di portarti via da me. Nemmeno te stesso.» Raggiunse l'elastico logoro dei boxer e percorse il confine che segnava sulla pelle. Non servì guardare il vetro per capire che si era avvicinato. «Ho notato dei cambiamenti. Quasi impercettibili per qualcuno di ottuso, ma io ti monitoro da anni. Qui dentro...» mormorò picchiettando piano l'indice sulla mia tempia, mentre mi accarezzava un fianco «qualcosa non va come dovrebbe andare. Il tuo cervello reagisce a tratti più svelto e a tratti più lento. Cosa ti distrae, Sedici?»

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