Storia

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Era quella che era definibile come forse una delle più tranquille giornate di sole che un qualsiasi duno potesse aspettarsi nella mattina di quel torbido Dicembre che, appena arrivato, aveva direttamente staccato il mondo da quella che era considerabile come una sorta di illusione aderente all'esistenza di una sorta di estate estesa che, non volendosi adattare alla fine del suo spettacolo, non aveva che coperto e coperto la presenza dell'autunno finchè non affacciata con l'inevitabile responsabilità di affrontarlo e, a tale pressione ormai inevitabile e con un contrasto mai visto fino a d'ora, si era lasciata trasportare dai gelidi venti e le mattine tremolanti. Ma oggi, che Dio ringrazi e che Dio benedica, sia stato buono il mondo, a presentarci con tale giornata.

I Giovedì sono forse alcuni dei giorni più crudeli che, prendendo le nostre spoglie immemori, le buttano in un dipinto di fatica, trasportando le nostre grevi carcasse, ed esiste e giace forse una delle cose più crudeli dei Giovedì, ed è forse il concetto della sua esistenza e il suo anche innocuo posizionamento. Il Giovedì infatti non reincarna assolutamente niente, ma bensì, al contrario del giorno prima, che dà la soddisfazione di aver completato ormai metà della settimana, e il giorno dopo, che eccita l'anima con l'attesa della prossima settimana, il Giovedì ha il particolarmente crudo potere di non avere nessun potere, ma bensì rappresenta un punto stagnante nel mare, un punto fermo nel viaggio, ed è in questo giorno che non esiste soddisfazione nello svegliarsi, è questo giorno. Perchè nell'oltrepassarlo non si guadagna niente, ed è questo il gioco crudele che esso stesso presenta, il vero e proprio concetto che nell'affrontare la sua esistenza proprio niente si guadagni, perchè domani si avrà lo stesso giorno di oggi, e quindi, inevitabilmente da quanto forte si combatta, è stato inevitabilmente futile trascinarsi per questo Giovedì, ma Dio sa, e Dio fa.

In ogni caso, in questo, spaventosamente sereno, Giovedì del 7 Dicembre, il sole non poteva che, gracile e fragile com'era, presentarsi debole e tranquillo in un cielo che, nella sua crudeltà e nella sua empietà, non pareva in nessun modo accoglierlo come come da aspettativa, tanto che sembrava tralaltro, che egli non dovesse esistere in quel luogo, in quel cielo sparso ancora di stelle, in quell'orbita prematura e in quel tetto di vita nostra che, premuroso com'era, ci faceva da tranquillo guscio ma, nella sua ritrosia, faceva spesso fatica a mostrarsi di proprio volto. E in quello che poteva essere come un qualsiasi classico giorno, ecco che, da letto tranquillo, si svegliava da sogni statici e indeterminabili, Emanuela Pimore.

La sveglia, che ella stessa, come ogni singola altra normale giornata lavorativa, aveva sistemato per svegliarsi alle esatte cinque e trenta, (orario in cui si sarebbe dovuta prontamente svegliare) si era improvvisamente messa a suonare, facendo partire quella tanto ripetitiva quanto melanconica musichetta che ormai per il cervello di ella si era del tutto connessa al primordiale atto di risvegliarsi dal sonno per cominciare le attività lavorative, tanto che ormai la sistemazione della campanella stessa non era che un'abitudine, poichè il cervello di ella era ormai così tanto allenato da essere automaticamente in grado di poter sopportare l'abbandono dei sogni e di potersi immediatamente alzare. Che, dopo anni e anni di stesso ed automatico lavoro, era ormai impensabile che una macchina così avanzata come il corpo umano potesse anche concepire di non aderire ai propri doveri, ed era proprio quello che, nelle continue scariche di nervi che il cervello di ella usava per risvegliarla dal sonno, effettuava proprio bene il suo lavoro. L'intero concetto e il ricordo e l'idea che ai doversi si dovesse aderire, come una sorta di grosso senso di responsabilità, un cartello, un bottone, un figuro che, legato e inchiodato, non ha che come unico dovere quello di mandare la scarica di energia stessa al cervello, stessa scarica che ormai, la musichetta del cellulare, la suona da solo, stessa scarica che ormai il corpo, lo risveglia da solo. In un certo senso, macchine futili come il nostro cellulare, o la sveglia, o qualsiasi delle cose che usiamo per adempiere e per risistemarci ai nostri doveri.. Nient'altro che stupide decorazioni, accessori, ciò che davvero succede è nella nostra mente, nel nostro pensiero, fatemi far un esempio, bello e buono, e forse delizioso ai più ingordi di voi, ma se un uomo si sistema un calendario di diete, e poi la dieta non la segue, ma il calendario rimane lì, e allora che senso ha il calendario? La realtà è che la maggior parte delle cose van proprio dentro di noi, perché in fin di fine siam proprio noi le suddette macchine che dovrebbero fare tutto il lavoro, e, quando la gente si dice che senza tale aggeggio e senza tale strumento, mai avrebbero vetta che miran di raggiungere, e allora non sanno e non sanno di illudersi che non è altro che la propria mente a dettare questi funzionamenti, e che senza la scarica della propria mente, senza quel crocifisso santo che rimane legato nel nostro centro nervoso, che come unico e individuale scopo, dolore e piacere di vita, ha quello di avvertirci delle nostre calunnie, e dei nostri eccessi, noi non saremmo mica in grado di far quello che ci dettiamo di fare, e ciò non è forse sinonimo di nostro personale guadagno?

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