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Gli occhi sanno piangere prima di vedere.
La vita inizia con questo paradosso. Quando tuttavia iniziano a vedere, avrebbero un tale bisogno di lacrime che piangere diviene loro impossibile.
E il paradosso cresce.

Il rumore della pioggia sul vetro e il ticchettio della matita sul mio taccuino trasformano il calore della stanza in un vortice di immobilità.

"e questo come ti fa sentire?" ribatto dopo qualche secondo che sembra eterno.

L'uomo sdraiato sul divano strabuzza gli occhi e si tocca nervoso i capelli, spostandoli da una parte all'altra della testa.
X: "una merda" sbotta.

"è del tutto normale sentirsi in questo modo, purtroppo ci vorrà del tempo per uscire dalla tua situazione" rispondo fredda e composta.
Ribatto: "con impegno, mh?"
X: "si, mi presenterò effettivamente alle sedute" risponde l'uomo sorridendo sincero, ridacchiando appena.

Fisso le luci della città dal grande balcone del mio appartamento, il fumo di una sigaretta esce dalle mie labbra piano.
La percezione del tempo dipende dal grado di decomposizione della nostra carne.

Mi tocco la faccia quasi disperatamente, cercando di capire quando le cose hanno iniziato a precipitare.
Da anni avevo ormai capito che non avrei mai avuto una risposta al mio quesito.

Il sapore forte della vodka mi bagna le labbra, mi brucia la gola.

Il magico senso di follia, dell'amore per la morte, per il dolore; sorriso con una pistola alla tempia.

Probabilmente una seduta psicologica sarebbe servita a me ma nella mia vita ero stata sempre scettica riguardo la professione che io stessa praticavo.
La psicologia è una materia così potente, il ruolo dello psicologo è la similitudine del miglior manipolatore con cui tu ti possa mai relazionare.

Il mio è un mestiere pericoloso.

Tutta la mia vita, tutti i miei respiri, li ho vissuti in un isolamento auto indotto, le persone non sono il mio forte; le relazioni non sono per me.
Accendo un'altra sigaretta nervosa, sperando che possa alleviare le scosse elettriche che partono dal mio cervello ormai marcio.
Non succede.
Fisso il soffitto, il muro, i grandi tappeti arabi che ricoprono il mio salone; guardo le mie dita, la mia frangetta perfettamente dritta, i miei occhi marroni ma che sembrano ormai neri.

Mi verso un altro bicchiere di vodka con ghiaccio.
Mi prendo la testa tra le mani e il peso degli anni si fa sentire.
Ormai ne ho 45.
Una carriera impeccabile, il lusso che volevo.
Una mente sempre in movimento.

I pensieri sono frecce avvelenate che fanno dell'arciere un suicida.
Hai creduto di ferire il mondo con la mente e hai ferito soltanto te stesso.

Nessuno mi cerca, nessuno mi vede davvero e probabilmente è molto meglio così.
Col tempo ho capito che nella vita si ha bisogno solo e davvero di se stessi; precisamente quando avevo 18 anni.

Mi sveglio di soprassalto, un altro incubo.
La sveglia segnala le 4:30 del mattino.
Le mie gambe magre si muovono da sole, come se non potessi controllarne i movimenti.
La città sembra silenziosa, mi sporgo dalla balaustra del terrazzo e chiudo gli occhi.
L'aria è fredda.
È gennaio.
Ma dentro brucio.

Mascara Where stories live. Discover now