Prologo

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Kostantin Ivanov, base della prima cellula della Drakta, Mosca.

Avevo diciassette anni e non mi dispiaceva far parte del circolo di potere che avvolgeva mio zio, a volte era entusiasmante ricevere accessi gratuiti agli eventi mondani della capitale e presenziare alle cene lussuose. Non conoscevo tutti i particolari, sapevo solo che una volta al mese una ventina di uomini si riunivano nella grande ala degli ospiti della nostra casa, intorno ad un lungo tavolo nero in marmo e discorrevano di temi più o meno noiosi.

La dimora di mio zio sorgeva a Ostozhenka, uno dei quartieri più sfarzosi della capitale, ma non di rado lo udivo parlare di New York. Purtroppo per me, al tempo non avevo ancora compreso a pieno il suo disegno, ma fu la notte del venticinque aprile dell'anno successivo, che la mia vita cambiò drasticamente.

Con più precisione: la notte del mio diciottesimo compleanno.

Quella sera l'avevo trascorsa con i miei amici, ci eravamo divertiti, ma a mezzanotte ero dovuto rientrare per ordine dello zio. Non era mai stato una persona gioviale, lo zio era quasi sempre cupo, di cattivo umore, rigido e gli unici ricordi che possiedo, a distanza di circa vent'anni con il mio primogenito Dimitri sulle gambe, sono pressoché due: lo zio che beveva la vodka e lo zio che russava sul divano con la camicia sporca di vodka. Era un uomo panciuto, calvo e di poca grazia, con uno stuzzicadenti incastrato perennemente tra le corone ingiallite, non di certo incline alla grazia, ma a suo favore aveva un bel bottino da parte e molte donne lo abbindolavano solo per rubargli l'eredità.

"Kostantin."

Un ordine secco mi fece avanzare all'interno della biblioteca in cui mi attendeva con in mano il suo solito bicchiere di vodka. Notai con un singulto sorpreso la strana camicia a fiori che indossava; era il declino degli settanta, non mi doveva suonar strana quella moda, ma su di lui... pareva quasi dozzinale. A mio riguardo, non la seguivo per nulla, niente capelli lunghi come quelli che si facevano chiamare "figli dei fiori", quanto più jeans azzurri, golfino bianco, giubbotto di pelle nonostante il clima non molto generoso della Russia e una bella laccata ai capelli con un ciuffo lungo biondo a risaltare i miei occhi azzurri cadente sulla fronte.

"Zio." Inclinai lievemente il capo in segno di rispetto. "Desideravi parlarmi?"

Sorrise sghembo con i suoi denti aguzzi e mangiucchiò lo stuzzicadenti. Repressi un brivido per l'immagine rivoltante che avevo di fronte, questa sera era anche più sudicio e unto del normale.

"Visto che mia sorella con la sua morte ha scaricato il tuo culo lagnoso su di me." Tentai di non farmi vedere coinvolto dall'affronto su mia madre, ma non era stato molto gentile da parte sua, contando che fosse morta di parto e non l'avessi mai conosciuta. "Ti spedisco in America," strabuzzai gli occhi colpito, " sei un giovane fin troppo in gamba per rimanermi qua tra i piedi, ho degli agganci a New York, verrai trasferito lì e frequenterai una scuola russa."

Sgranai ancora di più le pupille.

"Una scuola russa a New York?"

"Brighton Beach." Mosse la mano con noncuranza. "Quartiere che ospita russi e ucraini." Assottigliò lo sguardo. "Ti ho per caso detto di fare domande?"

Strinse le labbra in una lunga linea dura.

"No."

"Bravo il mio nipotino." Trangugiò un altro sorso di vodka e mi guardò negli occhi come un pescecane inchioda la sua preda. "Perché avrai un compito, Kostantin." Un lungo brivido mi corse lungo la schiena e deglutii senza notarlo. "Avrai il compito di creare la prima organizzazione criminale russa in America." Si sollevò dalla poltrona e fece tre passi verso di me, rumorosi come la caduta del mio cuore lungo lo stomaco. "Darai vita alla Drakta."

The Origin: DraktaWhere stories live. Discover now