Capitolo 6 - Cavia.

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Non ci credo...

Tradimento, confusione.
Le prime luci dell'alba risvegliarono d'istinto l'animo e il corpo di quella diciannovenne troppo esausta. Nessuna luce, se non quella nera e oscura di quella maledetta roccia; questa riuscì ad illuminare malamente quel risveglio traumatizzante.
Ivarsen è vivo...
Vivo e vegeto. Sano come un pesce. Spietato.
Le occhiaie scavarono i suoi occhi e gli occhi velati da quella sua oscurità tagliente osservarono con fatica un angolo sopra di lei di quella cella tortuosa.
La sua amata e indomabile bestia, li dentro, non riusciva a risvegliarsi, e se solo l'avesse fatto, quelle sbarre sarebbero già piegate e i suoi artigli attorno al corpo enorme di quel... Bellissimo, eccitante, corpo martoriato dal passato di quel dannatissimo uomo... un Re.
Un Re... è un Re adesso...
Solo i pensieri riuscirono a parlare dentro di lei.
Con la labbra schiuse le labbra secche e pallide, riuscì solo a respirare lentamente... il mostro desiderava il sangue, magari, si... quello del suo Ivar.
Adonis ringhiò, inarcò la schiena e graffiò il pavimento, gettando un urlo, misto ad un ringhio potente da rimbombare fino alle scale sotterranee.
Dove sei... dove sei.
Lo voglio. Lo voglio.
Sbranare, toccare, assaporare, baciare.
Maledetto stronzo senza cuore.

«A cuccia, bestia

Ivarsen ringhiò di rimando, il suono della sua voce non era troppo lontana da lei. Adonis si fermò, con quelle ombre nere che danzavano sopra la sua pelle pallida, con gli occhi accecati dall'oscurità e con un ghigno furbo stampato sulle labbra tremanti.
Ecco cosa voleva sentire, la sua voce.
Accanto a lei, in un angolo, Ivarsen stava poggiato ad osservarla... da un'ora ormai.
Dentro la cella, senza timore.
Con i capelli scompigliati, Adonis girò lentamente la testa verso di lui, con uno sguardo pazzo, violento, con gli occhi pieni di un desiderio ardente di uccidere quell'essere meraviglioso davanti a lei, ma allo stesso tempo, di contemplarlo.
«Mi stavi guardando... ah?» mormorò la corvina, e come risposta ottenne una piccola e subdola risatina da parte dell'uomo, scatenando in lei un altro attacco furioso. Ruggì ancora, qualcosa dentro di lei bruciò dal petto fino al ventre, la schiena si inarcò ancora e le braccia tremarono.
Faceva paura... cazzo se era orribile.
Ma per Ivarsen era esilarante... eccitante.
Vederla in quelle condizioni, rabbiosa, frustrata, debole, forte... più forte di lui.
Ne era consapevole e ciò lo terrorizzava...

Cazzate.
Lo eccitava da morire.

La fissò, con una falsa... falsissima impassibilità da far innervosire persino se stesso. Mosse il corpo, dirigendosi finalmente verso di lei, la bestia non poteva uscire lì dentro, ma quegli occhi lo terrorizzavano da morire. Si chinò per guardarla meglio, afferrandola di colpo dalla gola solo per tenerla ferma, sentendosi strano nel stringerla in quel modo. Qualcosa bruciò sotto i pantaloni.
«Rispondi alle mie domande, Adonis, e non ti farò niente.» ... Forse.
La ragazzina lo fissò, pietrificandosi a quella stretta così confidenziale. Fissò i suoi occhioni verdi e serrò i pugni, bruciando di rabbia.
«Va a farti fottere.» ringhiò lei, riportando in mente all'uomo quel gergo così dispregiativo e sgarbato che solo lei aveva. Il biondo serrò la mascella e tirò su col naso di rabbia, cercando di controllarsi, ma la stretta sul collo iniziò a farsi pesante. «Dimmi per chi fai il mandante. Dimmi chi ti ha mandata di nuovo quì e no... no. Tu non fuggirai di nuovo.» la voce di Ivarsen quasi tremò, ripensando all'inganno passato.
«Io sono il mandante di me stessa. Nessuno mi comanda.» rispose lei, «Tu, sei una maledizione vivente. Ti sei impossessata di tutto, e ora...voglio spiegazioni.» replicò subito, lui, stringendo ancora il collo piccolo della corvina. A quelle parole, Adonis sgranò gli occhi di rabbia e le sopracciglia si piegarono in un'espressione di disprezzo.
Mi sta offendendo. Io non sono una maledizione.
Ringhiò e con tutta la forza possibile rimasta, gli mollò uno schiaffo e gli sputò in faccia, iniziando a dimenarsi e graffiare l'avambraccio fasciato da muscoli duri come la pietra di Ivar.
Il biondo rimase trasecolato, con gli occhi sgranati e col volto leggermente girato di lato, ma ghignò.
Debole.
Strinse forse quel dannato collo, la sollevò di poco e la sbatté contro il pavimento duro e gelido, gettandosi sopra quel corpicino come un orso sopra una lepre. Afferrò entrambi i polsi della corvina, controvoglia... stava amando quei graffi. Bloccò ogni sua mossa, stringendo quella manine contro il pavimento, stritolando i polsi.
Adonis sgranò gli occhi, tremò, sentì quel corpo enorme e pesante premere con rabbia contro il proprio, schiacciandola e lasciandola senza fiato.
Mi sta uccidendo... mi sta uccidendo.
Il naso definito di Ivarsen sfiorò quello tremolante e piccolo della corvina, i suoi occhioni verdi fissarono quelli felini e tenebrosi di quella maledettissima ragazzina ribelle che, nonostante tutto, continuò a muoversi e ringhiare debolmente.
«Apri la bocca.» ordinò Ivar, con un tono grave e rauco, quasi mostruoso. Le viscere di Adonis balzarono, gli organi si piegarono e il cuore le salì in gola.

...Cosa?

«Apri. Questa. Fottuta. Bocca.» Ivarsen strinse i denti nel dirlo, stringendo così forte il collo di Adonis da lasciarla senza respiro per un attimo. Le labbra della ragazzina si schiusero lentamente, temendo il peggio; era troppo debole per fare qualcosa e lui era troppo... troppo forte.

Ivarsen le sputò in bocca.
Con spregio.
Con dominanza.
Ricambiò di certo il gesto di prima.

Adonis gemette, stranita, sentendo una sottomissione inaudita nei confronti di quell'uomo.
La mano pesante di Ivar si poggiò violentemente sulla guancia pallida della giovane donna, dandole uno schiaffo, per poi stringerla dalle guance per zittirla: «Questo è il MIO regno, questa terra è mia, cazzo. Hai capito? Mh?» Quanta rabbia si celava in quel tono...da brividi. «Tu ora... sei mia. Hai capito? Sei sotto la mia fottuta tortura. Sei fottuta, Adonis. Non avrò nessuna pietà per te. Spregevole demone divora anime.» Quelle parole, dette da lui in quel modo, bloccarono immediatamente ogni singolo movimento e pensiero della giovane. Rimase a fissarlo, sentendosi profondamente sottomessa dal suo potere... aveva ragione.
«Non...sono un demone...» Mormorò Niss.
Con ribrezzo, Ivarsen le sputò di nuovo contro la bocca e gli occhi si piegarono di rabbia.
«Chi è il tuo padrone adesso, ah?» ringhiò: «Gli stregoni non hanno più potere su di te, vero? Perché ora appartieni a me, piccola bestia.»

Adonis impazzì.

Le ultime energie le sprecò per ruggire, fulminandolo con gli occhi intrisi di sangue.
Si alzò col busto ringhiando contro il volto di quel Re furioso, mille ombre nere danzarono attorno al corpo di lei, ma quella reazione scatenò solo una risata di puro divertimento da parte dell'uomo: «Non mi fai paura. Per me rimarrai sempre una dodicenne.» La rimise al suo posto immediatamente, spingendola nuovamente contro il suolo ma allontanandosi da lei per alzarsi e osservarla dall'alto; era così piccola in confronto a lui. «Che ci facevi in quel villaggio... mh? Falsa prostituta.» ridacchiò Ivarsen, camminando attorno a lei. Adonis si mise seduta, reggendosi con le mani contro il suolo e respirando affannosamente.
«Ho ucciso così tanti uomini, Ivar... così tanti.» Rispose lei, con un tono provocatorio. Guardò in basso, con un sorrisetto ammaliante.
Ivarsen si morse l'interno guancia, avvertendo nuovamente quel maledetto bruciore sotto il cavallo dei pantaloni stretti...
«Quanti ne hai uccisi... Niss
«Più degli uomini che hai sterminato, Ivar.»
«Ah si...?»
Adonis scoppiò a ridere, graffiando il pavimento.
«Tu sarai il prossimo.» Mormorò, alzando la testa per guardarlo dal basso. Ivarsen si fermò, fissandola dall'alto... il volto di lei arrivava alle cosce enormi di lui, quella vista scatenò in lui così tanti pensieri proibiti che a momenti avrebbero preso una piega sbagliata.
«Artefice del male...» Ivar si avvicinò pericolosamente e Adonis deglutì distogliendo subito lo sguardo.
«Guardami.» ordinò lui, afferrando i capelli corvini di lei dalla nuca per alzarle la testa con forza. Le gote di Adonis parvero due pomodori e il corpo tremò, il viso era pericolosamente vicino al bacino di quel bestione rabbioso.
«Mhmh... con questo faccino ammaliavi gli uomini? Piccola verginella.» Ridacchiò lui, fissandola dritta negli occhi, saltando da essi alle labbra, tremando a certe visioni assurde che la sua mente proiettò inconsciamente.
Una prostituta... magari, la mia.
L'orgoglio lo assalì all'istante.
«Quì saresti vergognosa come prostituta. Questa mansione non ti appartiene.» La mollò all'istante, seriamente, sentendosi stordito. «Una cavia... ecco a cosa mi servi.» Si voltò all'istante per andare via; quella sensazione lo stava accecando.
«Una cavia?!» Esclamò Adonis.
«Attirerai gli stregoni quì.» Rispose subito lui, apatico, sforzandosi nel non mostrare emozioni.
Chiuse la cella, regalando un ultimo e freddo sguardo accigliato alla fanciulla:

«Sarai la mia trappola... per sterminare quei bastardi distruttori di Araghen.» 

𝐏𝐀𝐈𝐍𝐒𝐇𝐄𝐋𝐓𝐄𝐑Where stories live. Discover now