4. Muro bianco

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Voce narrante

Il bianco è il colore del tutto, e del niente. Simbolo di purezza, pulizia ed energia rigenerante per lo spirito, assorbe in sé tutti gli altri colori; ma una pagina bianca è vuota e le ossa bianche sono le ossa di un morto.

Il bianco è il colore della mia dimenticanza, la voragine che ha inghiottito tracce mnemoniche di interi giorni, perduti come se non li avessi mai vissuti.

Muraglia innalzata da muratori esperti, è dura da abbattere per un singolo demolitore, non impossibile per una coppia, fattibile per chi lavora in squadra.

E una squadra che piccona per riconquistare il maltolto è una squadra tanto più temibile quanto più è temeraria.

Ma una squadra temeraria sobilla gli intelletti; ogni capo lo sa, e tiene separati tra loro i suoi collaboratori più arguti.


Fermo immagine

Una stanza rettangolare dalle pareti spoglie e senza finestre. Da terra, posti ai quattro angoli, quattro faretti sparano luce artificiale verso l'alto.

L'uomo chiamato Felìpen è sdraiato a pancia in su nell'unico letto presente. Un lenzuolo niveo lo copre fino al collo. Ha la barba lunga e la testa fasciata. Gli occhi sono chiusi.

Sul comodino in legno di mango ci sono: un bicchiere sporco di bevanda stimolante marrone scuro, un libro grande quanto una busta per missive, una scatola di bon bon che rinfrescano l'alito.

Accanto al comodino un uomo di mezza età sta seduto con le mani giunte, come facevano gli antichi per rivolgersi alle Divinità. Il suo abbigliamento è sciatto, ha tolto le scarpe e tiene stretta tra le caviglie la canna di una pistola.


Voce narrante, lente immagini in movimento, dialogo

Aprii gli occhi e d'istinto li richiusi, accecati dal candore sopra e attorno a me. Le mie narici, assuefatte agli odori di cui era impregnata la stanza, non mi diedero informazioni sul luogo in cui mi trovavo. Non avevo freddo né caldo, o fame o sete. Presi consapevolezza dei miei talloni puntellati sopra una superficie dura, e della nuca adagiata su qualcosa di morbido. In posizione supina, avevo le gambe allungate; ne piegai una e poi l'altra. Percepii le mie mani all'altezza dei fianchi. Aprii e chiusi i pugni, piegai i gomiti, mi tastai il viso e incontrai le bende che fasciavano la testa.

«Fai piano.»

La voce era quella di un uomo che trattiene il pianto. Mi voltai nella sua direzione. Aveva perso l'eleganza di vestiario e portamento, e solidità fisica.

«Dove sono?» gli chiesi. «Cosa mi è accaduto?»

«Sei qui con me, e io sono con te. Questi ti basti. Non ti affaticare.»

Mio padre mi aiutò a ritornare alla vita, e ritrovò la sua. Quando i Curatori mi ritennero pronto, si accollò l'ingrato compito di ragguagliarmi circa le mie condizioni.

«Non hai nulla di rotto. Una ferita superficiale taglia il cuoio capelluto da orecchio a orecchio, come se ti avessero inferto un colpo di mannaia, per stordirti.»

Pescò una caramella da una scatoletta posta sul comodino, la scartò e la mise in bocca.

«Per facilitare le cure, ho dovuto acconsentire alla rasatura totale dei tuoi capelli.»

L'UOMO CHE SPEZZAVA I CUORI - RomanzoDonde viven las historias. Descúbrelo ahora