CAPITOLO 4

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JULIETTE

Era come se mi fossi ritrovata di fronte a me medesima.

In quegli occhi scuri vidi qualcosa di familiare, al tempo stesso però mi erano completamente sconosciuti.

Riconoscevo il suo tormento, il gelido in quei pozzi foschi di un castano plumbeo. Qualcosa lo affliggeva.

Erano proprio coloro che tutti additavano come impassibili che si portavano sulle spalle il peso peggiore, l'orgoglio, l'arroganza di credere che ce la si potesse fare da soli a sostenere quel carico, la sicumera nei confronti della vita che anch'io predileggevo fortemente. Io ero come lui e nemmeno lo conoscevo.

Non mi stava sfiorando minimamente eppure riuscivo a percepire il suo giudizio sulla pelle.

Imperscrutabile, austero, rigoroso.

Non gli avrei dato più di trent'anni, ma la severità e la maturità che si stagliavano nei suoi occhi lo invecchiavano particolarmente.

Indossava i pantaloni grigi di una tuta e una maglia termica che gli fasciava a meraviglia il corpo statuario, i pettorali e i bicipiti scultorei erano disegnati dal tessuto di quella maglia nera, le mani grandi e dalle vene sporgenti invece ricadevano rilassate lungo i fianchi.

Ci guardavamo a vicenda, ci analizzavamo.

Aveva un volto dai tratti affilati, la sottile barbetta che gli impreziosiva le guance assottigliando ancora di più i suoi lineamenti. La fronte accigliata, due bui occhi castani e i capelli di un profondo castano completamente scombinati. Era sudato, si vedeva, doveva aver interrotto un allenamento per raggiungere il padre e lo si notava dalle gocce di sudore che gli rigavano le tempie e i capelli bagnati che gli ricadevano sulla fronte.

Possedeva una bellezza avvolgente, disturbante, virile, selvaggia, mascolina. Era un uomo, un vero uomo.

<<Figliolo lei è la ragazza di cui ti ho parlato.>> Gli porsi la mano per mostrarmi gentile e lui, con fare seccato la accetto. Aveva una presa ferrea, tenace.

<<Wayne Reed.>> Si presentò.

<<Juliette Miller.>> Bastò sentire il mio cognome per farlo tentennare un secondo. Poi quando sciogliemmo la stretta di mano un sorriso strafottente gli increspò le labbra carnose.

<<Miller? La principessina del grande Miller è la depravata di cui mi ha parlato mio padre? Mi sarei aspettato di tutto tranne che questo.>> Depravata. La sua arroganza soffocò ogni mio tentativo bonario di intraprendere un rapporto tranquillo. <<Sono tutto ciò che di più lontano può esistere da una principessina e di certo non sono una depravata.>> Gli feci presente con la sua stessa acidità e quei suoi occhi scuri si assottigliarono in due fessure taglienti, per osservarmi con più attenzione.

<<In effetti una principessina me la immagino vestita un po' diversamente.>> Tanto bello quanto odioso.

<<Wayne non è così che si tratta una signorina.>> Lo richiamò il padre. <<E poi non è per giudicare i suoi indumenti che ti ho chiamato.>> L'attenzione del figlio ritornò a suo padre.

<<Allora dimmi a cosa ti servo, sto allenando la squadra, non posso assentarmi per troppo.>> Non erano passati neppure due minuti dal suo arrivo, ma avevo come l'impressione che fosse un tipo molto severo sul lavoro, glielo si leggeva in faccia. Non perdeva mai tempo.

<<Ti ho chiamato per farti conoscere la nostra nuova apprendista agente.>> Il Signor Reed mi presentò con il sorriso sulle labbra, era contento di avermi assunta, di meno lo era suo figlio che per un secondo tornò a guardarmi attonito. Con un sopracciglio alzato come a chiedersi se il padre fosse serio o meglio

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