CAPITOLO 19

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JULIETTE


Sentivo il fiato corto e le gambe cedere. Il cuore mi batteva talmente forte nel petto che avevo paura che mi sfuggisse dal corpo, per preservarsi dalle atrocità che mi attendevano e alla quale non potevo scappare. E per qualche motivo avrei preferito che accadesse, che il cuore corresse via con la mia anima per non assistere a ciò che il resto del mio corpo stava diventando, giorno dopo giorno.

Un cumulo di ossa e carne tumefatta che a stento riusciva a tenersi in piedi. Pesavo poco meno di un ramoscello raccolto da terra dopo una nevicata, le cui sembianze erano di certo più gradevoli alla vista, di quella bambina di sette anni a cui si vedevano le ossa tanto era magra e gracile.

Corsi sul mio giaciglio di paglia e stoffa, chiudendomi nel mio riccio di terrore, con le ginocchia tirate fin sotto il mento e le braccia avvolte intorno al corpo. Tremavo, ancora non stava succedendo niente, ma il solo pensiero di ciò che stava per accadere, bastava a farmi fremere dalla paura.

Il gelo mi causava la pelledoca su tutto il corpo ma ci avevo fatto l'abitudine, dormendo ogni notte a da sette lunghi anni in uno squallido capanno, con a disposizione solo una coperta sgualcita formata da pezzi di stoffa cuciti tra loro. Crescendo mi era diventata anche piccola, ogni notte sacrificavo una parte del corpo per coprire l'altra metà. A volte dalla vita in giù ero costretta a patire il freddo, per coprirmi dal ventre alle spalle, scaldando per come mi era possibile le mani, le braccia e la pancia. Altre invece coprivo le gambe e i piedini congelando al di sopra. Fin da quando ero nata la mia vita si aggirava su un continuo loop di sacrifici che però riguardavano solo me stessa.

Più lo sentivo avvicinarsi più entravo nel panico.

00:00

Tutte le notti a quell'ora sapevo che arrivava la mia punizione.

Ogni notte a quell'ora mi appostavo ad un angolo della finestrella di quel rudere, attendendo di vederlo arrivare e come ogni notte, anche quel giorno era uscito di casa alla stessa ora, dirigendosi verso quel capanno a passo spedito. Subito ero corsa sul mio giaciglio, sperando che non entrasse, pregando che cambiasse idea, che stesse semplicemente andando a prendere della legna a fianco al capanno per il camino.

Ma non era così, non era mai stato così.

Quando sentii la chiave girare nella serratura della porta il mio cuore cessò di battere, l'unico rumore che si riusciva a percepire, oltre a quello, era il mio respiro ritmato, che tagliava l'aria con boccate di vapore che svanivano dopo poco. Come avrei voluto fare io, svanire e basta.

Ma non potevo.

La vita non mi concedeva di sparire.

Di sottrarmi a quelle torture.

Era nel mio destino che dovessi patire tutto ciò che mi veniva inflitto, tutte quelle pene per peccati che non conoscevo, che non sapevo di aver fatto perchè ero solo una bambina, una piccola gracile creatura innocente che aveva iniziato a sdebitarsi con la vita fin dalla nascita.

Quando entrò arretrai lesta, fino a sbattere la schiena contro la parete di legno di quel capanno, era inutile che tentassi di scappare, in qualunque modo lui sarebbe riuscito a prendermi e mi avrebbe fatto ancor più male, di quanto non me ne facesse normalmente se avessi tentato di fuggire.

<<Eccoti qui.>> Indossava sempre quei panni sporchi, aveva si e no due pantaloni e sempre la stessa camicia a quadri da boscaiolo, sudicia e puzzolente come lo era tutto in quel posto. Tutto odorava di marcio, di arrugginito.

Double AttractionWhere stories live. Discover now