Novelty

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Milea's pov

Mi fece solo sprecare tempo che per me era prezioso, in più la dovetti anche aspettare. La odiavo, era ormai quasi un anno che nutrivo odio per lei. Che superbiosa del cazzo che era, lo era sempre stata. Fin dall'asilo. E ora era la piccola cucciola indifesa senza ricordi e incinta. Era ridicola. Come poteva anche supporre di essere mia amica? Quel primo giorno di scuola sperai che scomparisse, che cambiasse città per iniziare da capo. E invece era ancora lì. Quanto odiai mia madre quel momento in cui mi chiamo in ufficio per farle vedere la scuola. Quasi quasi la odiai talmente tanto quando mi riferì di aver chiesto lei al professore di farci fare un progetto insieme. La mia fortuna, in parte, era quella di vivere con mio padre. Non avrei visto mia madre tutti i giorni, era quella la cosa positiva. Quella negativa era che dovevo vedere qualcun'altro abbastanza spesso.
<<Arsen, che ci fai ancora qui?>>
Quella era la parte a mio sfavore, anche se di solito era sempre più assente dalla casa.
<<Ciao anche a te, sorellastra>>
Anche lui era annoiato dalla situazione di convivenza dei nostri genitori. Non eravamo mai d'accordo, su nulla. Eravamo il sole e la luna, due realtà troppo diverse per essere collegate. Ma su una cosa andavamo d'accordo: mio padre e sua madre insieme erano da volta stomaco. Forse non come coppia in sé per sé ma per la obbligatoria convivenza che ci fu imposta. Più che imposta, era una scelta senza vie di uscita. Mio padre mi propose "O stai qui con noi o vai a vivere con tua madre", e la scelta di stare con loro mi sembrò più che ragionevole. La stessa proposta fu fatta ad Arsen, che ovviamente scelse di vivere con la madre. Anche se stava sempre a casa di Noah, ormai ci viveva. Quella era la prima sera dopo nove giorni che alle diciannove lui fosse ancora lì. Andava via sempre per le diciassette, tornava poi alle sei del mattino e spesso era fatto, prendeva le sue cose e andava a scuola con Noah per poi tornare alle sedici. Fumava fin troppo spesso e vederlo distrutto faceva star male la madre. Di certo, veder il proprio figlio star male per una ragazza del genere portava alla propria distruzione. Perché io la vedevo, mentre Arsen si autodistruggeva lei perdeva i suoi pezzi per raccogliere quelli del figlio. Era sempre lì a prendere ogni pezzo del figlio che cadeva, anche se si fosse fatta male. Glieli stava conservando, li metteva da parte aspettando che il figlio fosse pronto a riprenderli e tornare a star bene. Lei era convinta che lui, prima o poi, si sarebbe ripreso.
<<Non chiamarmi cosi>>
Varchi la soglia d'ingresso e tolsi le scarpe, provando un sollievo al solo tocco del piede al pavimento fresco. Faceva fin troppo caldo quella sera ma la notte avrebbe fatto del fresco, come ogni notte di una giornata di Giugno.
<<E va bene>>
Alzò le mani, e io lanciai lo zaino sul pavimento dell'ingresso. Iniziò a seguirmi in cucina, mentre presi la bottiglia di succo alla pera dal frigo e lo versai nel bicchiere. I suoi occhi erano fissi su di me, voleva sapere. Voleva capire come stava, cosa faceva, se lo ricordava. Ma se lo poteva scordare, non gli avrei mai fatto da facilitatore della relazione. Me lo giurai quel venti giugno stesso, quando ancora non era nulla in programma.
<<Non ti dirò nulla>
Posai il succo e lavai il bicchiere, pronta a salire al piano di sopra. Non sopportavo la sua presenza, non ci riuscivo.
<<Milea, dimmi solo una cosa. Come stanno?>>
Me lo chiese quando il mio piede toccò il primo gradino della scalinata che portava al corridoio del primo piano. Volevo correre in camera mia e non vederlo per almeno due giorni. Doveva scomparire, come ogni volta. Non ne volevo sentire neanche il respiro. Ma dentro di me sentivo di doverlo dire, dovevo dirglielo. Lo urlava il mio cuore a tutto il mondo.
<<Stanno bene, Arsen>>
Cedetti, il mio debole per lui era rimasto e ciò mi rendeva vulnerabile alle sue richieste. E lui lo sapeva, anche fin troppo bene. Lui imparò a sfruttare la cosa a suo vantaggio, a trarne dei lati positivi dal mio dolore e dalla mia rabbia. Volevo solo strangolarlo, ma anche osservarlo per ore. La testa con lui mi andava in fumo, talmente tanto da farmi diventare contraddittoria con il mondo intero. Era quello che sentivo sempre, ogni volta, che era lì. La mia fortuna fu quell'incidente, da lì lo vidi sempre di meno fino ad arrivare alle quattro ore al giorno, al massimo. Prima invece passava tutto il tempo con lei, sempre in quella casa come se io non avessi importanza e come se i miei sentimenti potessero essere rotti, calpestati, stracciati. La verità era che io provavo qualcosa per lui, ma il legame che ci univa non era amoroso, era fraterno. Un legame costretto, quasi di convenienza da parte sua. Da parte mia, io non traevo vantaggi dalle sue azioni.
<<Arsen>>
Mi girai nuovamente verso di lui, ormai ero in cima alle scale pronta per correre sul letto e stare sola per respirare unicamente la mia aria e non più la sua. Ero pronta ad avvisarlo per un pò. Solo così sarei tornata a pensare correttamente, solo la lucidità me lo rendeva possibile. E la lucidità la recuperavo solo lontana da lui.
<<Non tornare domattina alle sei con più erba che acqua in corpo>>
Lo vidi mordersi la guancia internamente, e abbassare lo sguardo incrociando le braccia al petto. Così era ancora più bello.
<<Tua mamma ne soffre>>
<<Lo so>>
Gli uscì quella risposta così spontanea che quasi quasi mi confuse per la velocità con cui fu data.
<<Ma non posso farci niente, lo sai>>
No, non lo sapevo. Io non sapevo nulla di lui. Era sempre lei a sapere di lui. Era sempre lei ad essere la sua ascoltatrice. Era sempre lei ad amarlo in pubblico. Mentre a me toccava amarlo in silenzio. Un silenzio che faceva della mia anima carta straccia, un silenzio travolgente. Un vulcano di emozioni, ecco cosa ero dentro di me.
<<Solo chi non vuole provarci può dire queste cose>>
E me ne andai lasciandolo li di stucco, si aspettava che me ne fossi stata zitta. E invece gli andò male, in un modo che non credeva fosse possibile per me. Lui credeva che io fossi la stupida sorellastra buon annulla. Aveva sbagliato persona, io avevo fin troppo da tenere dentro. Ed ero pronta a farlo fuori uscire.
<<E poi, toglila quella collana. Ti rende solo più stupido>>
Probabilmente lo ferii, si portò le mani sul ciondolo con l'onda. Quella che aveva dedicato a lei. L'onda, che simbolo stupido che avevano scelto.
<<Non capisci nulla, non puoi siccome non hai mai amato. Perciò fatti i cazzi tuoi>>
E li, in quel momento, su due piedi, il mio cuore venne ferito. Certo, lui era quello che aveva l'amore rosa e fiori. Io invece di amore non ne avevo mai dato o ricevuto. Era come se la lama con il quale l'avevo ferito fosse stata girata verso di me per coprirmi. Avrei solo voluto fargli scoppiare la testa.

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