Chapter 5

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"Non puoi insegnare niente a un uomo, puoi solo aiutarlo a cercare le cose dentro se stesso."

Galileo Galilei



«Su, su, su! Sarà una grande, grande, grande giornata!» trillò Effie, battendo le mani estasiata e percorrendo il corridoio a ritmo del ticchettare dei tacchi sul legno del pavimento. Norman ebbe un brusco risveglio e urlò ad Effie: «Come puoi dire che sarà una bella giornata! Stiamo viaggiando a velocità supersonica verso la morte!» e poi aggiunse in un bisbiglio «.....stronza».


Peeta, quando sentì la voce di Effie strillare dall'altra parte della porta, cadde dal letto per la sorpresa, ma si rialzò di scatto lanciandogli un'occhiata truce. Si lavò la faccia sul grande lavandino del bagno, si vestì con dei jeans ed una felpa e uscì in tutta fretta dal suo scompartimento senza accorgersi che Katherine stava attraversando lo stretto corridoio proprio in quel momento. Andò a sbattere contro la sua schiena marmorea e fu sbilanciato all'indietro, ma si tenne in equilibrio su una parete per non cadere a terra per la seconda volta.

Katherine si voltò lentamente verso di lui, sprezzante: «Guarda dove vai, Cacciatore».

Peeta iniziò a balbettare imbarazzato ma Katherine non stette ad ascoltarlo. Girò sui tacchi e se ne andò con una risata.

I tributi si ritrovarono tutti nel vagone ristorante per la colazione, Effie ed Haymitch erano già seduti al tavolo, lei con un appariscente abito dorato e lui vestito come il giorno prima e probabilmente già un po' ubriaco. Come la sera precedente, il tavolo era imbandito di ogni ben di dio e, emozionato, Norman percorse lo sguardo sulle piramidi di croissant e i vassoi di biscotti appena sfornati. Per Katherine c'era un banco pieno di alcolici e una caraffa di sangue di cui lei non tardò a riempirsene un bicchiere.

I tributi presero posto al tavolo e Katherine, con la mano libera dal bicchiere pieno di sangue, spinse via Peeta che si stava sedendo affianco a Tyler e prese il suo posto vicino al Licantropo che le lanciò un'occhiata bieca e carica di significati.

«Che si fa oggi?» chiese Katherine un po' annoiata.

Effie si limitò a guardarla tentando di non lasciar trasparire emozioni mentre Haymitch la fissò con insistenza prima di rispondere: «tutto quello che ti dirò di fare».

Katherine lo guardò con sfida, ma non ribatté perché sapeva che era la verità. Quel giorno non avrebbero fatto altro che seguire le indicazioni di Haymitch e quelle sporadiche e inquietantemente gioiose di Effie.

Dopo il sangue, Katherine trangugiò senza pause tre bicchierini colmi di whisky, mentre gli altri si erano mangiati tutta la piramide di croissant e ancora sorseggiavano le cioccolate fumanti. Quando finì la colazione il tavolo fu sgomberato e i tributi, guidati da Haymitch, si ritirarono nel salottino dove erano stati anche la sera prima per vedere le Mietiture degli altri Distretti.

«Dunque...» cominciò Haymitch, in piedi di fronte ai quattro seduti sui divani. Ma fu subito interrotto da Tyler che con voce poco sicura disse: «tu sei quello che dovrebbe darci dei consigli».

"Ma che perspicacia!" pensò Katherine con sarcasmo.

«Sì... p-per sopravvivere» aggiunse Peeta, totalmente dubbioso.

"Tu? Te la farai sotto prima ancora che inizi il conto alla rovescia e morirai al suono del gong per un infarto di paura" predisse mentalmente Katherine, faticando a reprimere un sorriso che le era affiorato alle labbra.

«Però... che ragazzi svegli» esclamò con una punta di sarcasmo e sconcerto il mentore.

«Che cosa stavi dicendo prima che questi due deficienti ti interrompessero?» intervenne Katherine con disgusto. Vide con la coda dell'occhio Tyler voltare la testa verso di lei, e si affrettò a girarsi a sua volta verso di lui. Gli inviò un sorriso ammiccante e gli fece l'occhiolino a mo' di scusa.

«Dunque» riprese Haymitch, «io sarò il vostro mentore e come avete già detto, il mio compito è darvi consigli, nonché procurarvi dei buoni sponsor che vi possano aiutare a non morire dopo tre secondi dal gong» tacque per un istante e abbassò lo sguardo prima di aggiungere: «primo consiglio: restate vivi».

A queste parole calò il silenzio, che fu rotto da Katherine, la quale esclamò con scettica freddezza: «"restate vivi"? Suona molto come sinonimo di "sopravvivete" e non è esattamente quello che tu dovresti insegnarci a fare?».

La risposta di Haymitch fu pronta e quanto mai tagliente: «una Vampira di oltre settecento anni dovrebbe conoscere i trucchi per sopravvivere, altrimenti, sarebbe già morta».

Katherine strinse gli occhi con sfida e ribatté con voce melliflua: «un'incredibile Vampira di oltre settecento anni come me, non solo ha i trucchi per sopravvivere, ma conosce anche il piano per uccidere» sorrise in segno di vittoria e non aggiunse altro.

«Si da il caso che qui non siamo tutti Vampiri di settecento anni!» esclamò Peeta con rabbia.

«Ed ecco che qui intervengo io» prese di nuovo parola Haymitch, «quindi, un consiglio per tutti tranne che per la bella e stronzissima Vampira, è: restate vivi, il più possibile».

Detto questo, si sfregò le mani e lanciato un ultimo sguardo i tributi, uscì dalla stanza a lunghi passi. Tra Norman e Peeta si accese subito un'animata discussione sui modi bruschi e il consiglio del tutto inutile che il loro mentore aveva fornito loro. Tyler invece si avvicinò a Katherine, la quale si era spostata vicino alle vetrate del treno e guardava il paesaggio di fuori sfrecciare via a velocità incredibile. Lui le mise le mani sulle spalle e gliele massaggiò per qualche istante prima di dirle: «l'unica cosa che può salvarci è un piano... restare vivi è la conseguenza».

Katherine di voltò con un sorriso mesto verso di lui e gli disse: «niente di più vero, lupacchiotto».

Rimasero a guardarsi per qualche istante, lei con un sorriso soddisfatto che però non le mutò la freddezza degli occhi, e lui con un'espressione incerta. Era evidente che Tyler non sapeva cosa pensare della Vampira, ma più di tutto, non voleva e non poteva fidarsi di lei.

Katherine si morse il labbro con malizia prima di aggiungere con un sospiro: «ah Tyler, solo uno può vincere. Gli altri, beh...».

«...non possono restare vivi» concluse con amarezza il Licantropo.


Dopo pranzo, stavano attraversando le gallerie costruite sotto le Montagne Rocciose, il che significava che erano quasi arrivati. Dopo le gallerie, Mystic City apparve di fronte agli occhi dei tributi in tutta la sua sfavillante bellezza. I grattacieli di mille colori, le strade trafficate e le persone così diverse e stravaganti. A Mystic City la differenza tra le varie Creature era quanto mai sottolineata dalle vesti e dagli atteggiamenti, per nulla sfuggita, anzi, esaltata alla massima potenza. Streghe con cappelli a punta grandissimi e coloratissimi, Cacciatori armati fino ai denti, muscolosi e teatralmente letali, Vampiri che troneggiavano sulla folla nella loro freddezza e misticità e Licantropi che percorrevano le vie a ranghi serrati, protetti l'uno con l'altro dal vincolo del branco. Eppure era tutto così finto da risultare quasi un'illusione degli occhi.

Il treno rallentò visibilmente fino a fermarsi e i tributi furono invitati a scendere. Le telecamere li aspettavano appena fuori dalle porte del convoglio e una folla vociante era riunita poco lontano, in attesa di vedere i quattro tributi del Dodici varcare le soglie del Purgatorio, dritti dritti verso l'Inferno.


The last challengeWhere stories live. Discover now