Thirteen.

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Il pomeriggio seguente Mary mi lasciò davanti a Enzo. Indossavo un vestito giallo scollato, malizioso e professionale allo stesso tempo, ma soprattutto molto più ottimista di quanto mi sentissi io.

Mi fermai davanti alla vetrina per ravviarmi i ricci, che si erano appiattiti dopo averci dormito sopra tutta la notte, ma il gesto risultò legnoso.

Feci un sorriso forzato, quello su cui mi ero allenata per tutto il giorno, ma anche quello risultò rigido e nervoso.

Nel riflesso della vetrina quel sorriso sembrava falso ma, considerando che la nottata precedente l'avevo passata a piangere, era il meglio che potessi a fare.

La sera prima, dopo essere tornata a casa dalla festa di Clare, mi ero buttata sul letto ma non avevo dormito. Avevo passato la notte tormentata da pensieri autodistruttivi. Più rimanevo sveglia, più i pensieri partivano per la tangente. Volevo fare un gesto eclatante e stavo così male che non mi importava quanto drastico potesse essere.

Mi ronzò nella testa un pensiero, il tipo di pensiero che non avrei mai preso in considerazione prima. Se avessi messo fine alla mia vita gli arcangeli se ne sarebbero accorti. Volevo che provassero rimorso. Volevo che mettessero in discussione le loro leggi arcaiche, che fossero ritenuti responsabili di avermi rovinato la vita prima e avermene privata poi.

Quei pensieri mi turbinarono in testa per tutta la notte. Fu un susseguirsi di emozioni: dallo strazio per la perdita al rifiuto alla collera.

A un certo punto, mi pentii di non essere scappata con Zayn. Un po' di felicità, per quanto breve, sembrava meglio della lunga, lenta agonia dello svegliarsi giorno dopo giorno sapendo che Zayn non sarebbe mai stato mio.

Allo spuntar del sole, però, ero arrivata a una decisione. Dovevo andare avanti, altrimenti sarei caduta in una depressione paralizzante. Mi costrinsi a compiere i gesti quotidiani - la doccia, vestirmi - e andai a scuola decisa a non permettere a nessuno di leggermi dentro.

Ero avvolta da una sensazione di intorpidimento, ma mi rifiutavo di autocompatirmi. Non avrei permesso agli arcangeli di vincere. Mi sarei rimessa in piedi, avrei trovato un lavoro, pagato la multa, finito la scuola estiva con il massimo dei voti e mi sarei tenuta così occupata da pensare a Zayn soltanto di notte, quando fossi rimasta sola con i miei pensieri e quindi non avessi potuto farne a meno.

All'ingresso del locale di Enzo si aprivano due balconate semicircolari, a destra e a sinistra, con un'ampia scalinata che scendeva alla sala principale e al bancone.

Le balconate mi ricordavano due passerelle curve che dominavano una platea. I tavoli delle balconate erano pieni, mentre nella sala c'era solo qualche ritardatario che beveva caffè e leggeva i giornali del mattino.

Feci un bel respiro per farmi coraggio, scesi le scale e mi avvicinai al bancone. -Mi scusi, ho sentito che state cercando dei barman.- dissi alla donna alla cassa. Mi accorsi di avere una voce monotona, ma non avevo l'energia per rimediare.

Lei, una rossa di mezz'età che, secondo la targhetta appuntata sul petto, rispondeva al nome di Roberta, alzò lo sguardo. -Vorrei compilare la domanda di assunzione.-

Riuscii a tirar fuori un mezzo sorriso, anche se temevo di non essere credibile neanche un po'.

Roberta si asciugò le mani lentigginose sul grembiule e uscì da dietro la cassa. -Barman? Non serve più.-

La fissai trattenendo il fiato, mentre ogni speranza svaniva.

Il mio piano era tutto: non avevo neanche preso in considerazione la possibilità che anche uno solo dei punti per attuarlo mi fosse strappato via. Avevo bisogno di un piano. Avevo bisogno di quel lavoro. Avevo bisogno di una vita strettamente regolata, in cui ogni minuto fosse pianificato e ogni emozione incasellata.

Let me love you. 》zjm.Where stories live. Discover now