24. "Hello"

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Dafne, però, si era dimenticata un dettaglio molto importante: Tom lavorava in un pub, non in un bar. Uno di quei locali per giovani, non per Dafne.

Questo, Bill, lo aveva scoperto più tardi, quando la donna aveva menzionato sugli orari di apertura del posto. Lei sembrava completamente a suo agio e sprizzava felicità da tutti i pori.

Si era truccata in modo eccessivo, la differenza tra lei e un clown era veramente minima, se non inesistente. Dimostrava, in questo modo, ancora più anni di quanti in realtà ne avesse.

Il moro, dal canto suo, non era riuscito a farla ragionare. Lei si riteneva pronta per uscire. Anche Bill lo era: aveva indossato la sua maglia nera, effetto vedo non vedo, e gli skinny neri strappati sul ginocchio. La scelta delle scarpe era ricaduta sui suoi stivaletti bassi, inseparabili, ormai da buttare.

Non aveva esagerato col trucco, era rimasto molto naturale. Aveva contornato gli occhi con la matita nera, ma aveva tracciato delle linee molto più sottili e leggere. Una correzione qua e là alla forma delle sopracciglia, un po' di correttore sull'orrendo brufolo che gli era spuntato sulla tempia, e fu in un attimo fuori dal bagno. Pronto, era decisamente pronto.

Il pub era straordinariamente vicino alla casa della zia, distava giusto dieci minuti a passo lento, e Dafne non faceva parte della categoria degli sprinters.

Appena individuata l'entrata, il moro tentò di scostarsi dalla donna il più possibile. Aveva detto lei che era meglio entrare ognuno per conto proprio, perché nei locali si fa così. Una piccola bugia a fin di bene, per entrambi.

Il pub era praticamente un sotterraneo, piuttosto cupo con musica techno sparata a palla. Il dj doveva sentirsi particolarmente in forma quella sera.

Zia Dafne sparì, infiltrata in un gruppo di uomini sulla trentina, dopo una trentina di secondi. Aveva abbandonato il nipote per darsi ad una delle sue imbarazzantissime tattiche di rimorchio. Orrore.

Aveva iniziato così a camminare lungo la parete, per non destare fastidio e non venire in qualche modo trascinato in mezzo alla pista da ballo, o a quella che sembrava la pista. Se quella sera ballare era off limits, rimaneva solo una cosa: alcool. Gioia della vita o di qualunque ragazzo già maggiorenne.

Scansò di lato uno sgabello, non aveva alcuna intenzione di sedersi. Si protese in avanti con il busto e appoggiò i gomiti sul tavolo.

«Una vodka lemon, grazie» disse assicurandosi con lo sguardo che la zia non fosse finita in una qualche stanza, rinchiusa con un uomo.

Il ragazzo dietro al bancone non rispose, si mise subito a preparare il drink. Bill non lo aveva neanche degnato di uno sguardo, pensava ad altro. Che cavolo di lavoro poteva fare Tom in quel posto?

Sentì il rumore del bicchiere sbattere sul bancone, il fastidio lo fece girare, o forse fu solo l'irrefrenabile voglia di cominciare a bere.

Si girò di scatto afferrando il drink con la mano, quando questa entrò in contatto con un'altra, più grande e possente. O almeno all'apparenza. Alzò lo sguardo, stava per chiedergli in modo sgarbato di togliere la mano, ma non riuscì a proferire parola appena realizzato chi si trovava davanti.

«Ciao» disse l'altro, in modo molto tranquillo, fin troppo. Magari aveva bevuto anche lui.

Bill non rispose, non sapeva minimamente che cosa dire.

«Sono sorpreso che tu abbia ordinato la vodka lemon, tu di solito prendi altro» borbottò il moro dietro il bancone.

Si ricordava anche questo dettaglio? Come poteva? Come faceva?

«Avevo voglia di cambiare» rispose in tono secco, forse stava sbagliando approccio.

Girò e rigirò la cannuccia tra le dita. Sentiva gli occhi del ragazzo puntati addosso, che squadravano ogni suo centimentro di pelle. Era lacerante guardarlo e non potergli saltare addosso, nel vero senso della parola. Dopo la conversazione telefonica che avevano avuto, era sicuro che avesse perso ogni sentimento per lui.

«Da quando lavori qui?» chiese Bill.

«Da quando vieni nei pub da solo?» fu la risposta, o meglio la domanda, dell'altro.

Bill fece un cenno al moro come per fargli capire che toccava prima a lui rispondere.

«Il proprietario è mio amico, quando ha saputo che ero in città e cercavo lavoro mi ha subito assunto» smorzò un sorriso a fine frase, forse dovuto allo stress di quella conversazione ravvicinata.

«Non sono solo, c'è mia zia da qualche parte con qualche uomo. Sì, lo so, è imbarazzante. Ma è stata lei a propormi di venire qui» in questo modo entrambi avevano risposto alla domanda che avevano ricevuto.

Una ragazza aveva richiamato l'attenzione del moro chiedendo un drink e si era quindi dovuto allontanare da Bill.

Beh, voleva vedere Tom Kaulitz? C'era riuscito. Chissà perché tutto ciò non bastava, voleva di più.

Ormai Tom era completamente intento nel preparare bicchieri su bicchieri, si diresse quindi verso la pista da ballo. Aveva bisogno di svagarsi un pochino, e poi era in pub, perché stare tutta sera seduto su un qualche divanetto?

Non era un gran ballerino, ma aveva affilato una tattica: fare gesti lenti e di grande presenza scenica, portavano la sua poca bravura nella danza in secondo piano.

Non ci volle molto per ritrovarsi circondato da tre o quattro ragazzi che lo mangiavano letteralmente con gli occhi.

Qualcuno era stato anche sfrontato, aveva allungato una mano sul sedere del moro. Quest'ultimo quindi si spostava sempre di qualche centimetro, per fargli intendere che la sua risposta era negativa.

Si trattava, però, di gente palesemente ubriaca o deficente. Più Bill si spostava, più quelli si avvicinavano. Non proferivano parola, toccavano e basta.

E questo era bastato per mandare in bestia Bill e per farlo innervosire. Anche se non era l'unico ad esserlo.

Dall'altro lato, Tom, appena finito il turno aveva assistito a tutta la scena, mordicchiandosi il labbro inferiore per il fastidio. Nella sua testa pensava a cento diverse torture per quei ragazzi che avevano anche solo osato avvicinarsi al moro.

I suoi piedi avevano cominciato a muoversi velocemente, direzionati verso il centro della pista. Da lì fu un attimo.

Si fece spazio fra quei tipi col sale al posto del cervello e afferrò Bill da dietro. Questo ebbe un sussulto quando si sentì stretto da due braccia, all'altezza della vita. Stava per girarsi e mandare a fanculo chiunque avesse osato toccarlo in quel modo, ma si ritrovò faccia a faccia con qualcuno di già conosciuto.

«Ciao» disse Tom, per la seconda volta in quella serata, rivolto verso Trümper.

Si guardarono per quelli che furono i seguenti due secondi. Nella loro mente furono anni.

Avevano entrambi gli occhi marroni, erano a conoscenza di questa loro caratteristica, ma si resero conto di non averli mai osservato abbastanza.

Uno osservò gli occhi dell'altro, scavando fino alla pupilla.

Tom uscì dallo stato di trance dopo poco, si ricordò del perché era lì e di quei ragazzi che, ora, lo stavano guardando confusi.

Per loro sorpresa, spostò il peso del suo corpo in avanti, finendo contro Bill.

Labbra contro labbra.

Brown Eyes || Twincest.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora