Premessa di Cabala City Trilogia

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Alla fine furono la mancanza di igiene intima, la puzza di sudore, il fetore delle scarpe lasciate dovunque in casa e una macchia di troppo sulle lenzuola a convincermi.

Certo, le cose con Michael non andavano bene da molto tempo, ma la decisione di troncare fu la sua scarsa igiene personale.

Per mesi prima del nostro matrimonio avevo cercato di giustificare i suoi cattivi odori abbuonandoli a incidenti di percorso.

La colpa di essermi sposata con lui era da attribuire ai miei genitori che facendomi sentire rispetto a mia sorella, Karen, il brutto anatroccolo della famiglia, mi avevano indotto a sposare il primo uomo che ero riuscita ad avere. E mentre mia sorella continuava a saltare come una cavalletta da un pene a un altro, di nascosto dei nostri genitori ovvio, per loro sempre la santarellina vergine, avevo maturato l'idea di farla finita.

Questa decisione balenava nella mia testa da quando avevo scoperto di essere incinta. Una gravidanza che condizionava le sorti della mia relazione, perché mi privava della speranza, mia consolazione, di poterlo lasciare quando avrei voluto.

E così, avevo trascorso le ultime due settimane dalla notizia a interrogarmi sul da farsi.

Cercavo in tutti modi di non pensarci e continuavo a timbrare il cartellino all'agenzia di moda Nimar & Company nell'attesa di trovare una soluzione.

E mentre il mondo era in preda a una crisi economica globale, vivevo con lui la mia solitudine come un lago d'inverno.

Michael era un medico in pensione con pochi progetti nella vita, a parte il collezionismo numismatico.

Avevo sposato un uomo venticinque anni più grande e che dalle nozze in poi non aveva fatto altro che ingozzarsi di merendine al caramello, raggiungendo i 100 chilogrammi per una statura di 1,72 centimetri.

E come se non bastasse a rendere la mia vita un inferno, arrivò l'ennesima notizia negativa.

All'agenzia di moda avevano iniziato la politica di tagli del personale.

Ero la segretaria più in gamba forte dei miei 40 anni di età, ma anche la più facilmente sostituibile a causa dei miei occhiali quadrati e una dentatura vampiresca che mi rendevano la più racchia delle tre rimaste.

Avevo ottenuto il lavoro grazie al vecchio proprietario dell'azienda amico di Michael, ma da quando i vertici aziendali erano passati nelle mani del Signor Sebastian Della Torre, un uomo cinquantenne, un francese arrogante di origine italiana, era saltata la mia garanzia di mantenerlo.

Se non bastasse come una ciliegina su una torta avariata, ero diventata la sua segretaria personale.

E in tutto questo, ogni volta che rientravo a casa dovevo combattere un'altra battaglia, non più con il mio capo e i suoi modi rudi, ma con la sporcizia di Michael e del suo gatto Billy che mi odiava dalla prima volta in cui avevo messo piede in casa.

Le avevo provate tutte per farmi amare dal micio, ma inutilmente.

Gli compravo i croccantini delle migliori marche, gli davo dei giocattoli, tutte cose ben gradite, ma continuava a considerarmi una estranea.

Non avevamo più una colf da quando lui aveva investito male il suo denaro, e dopo il lavoro mi toccava sistemare ogni cosa perfino togliere i suoi calzini puzzolenti da sopra il divano.

Non usciva neppure per fare la spesa, ordinava tutto in rete.

L'unico motivo che lo trascinava fuori la porta di casa era la Santa Messa.

Ero sposata con un fanatico cattolico e io pur di fargli piacere lo accompagnavo puntualmente seppur una simpatizzante atea.

Probabilmente non era stato così pigro in passato, ma forse con l'età lo era diventato e si rifiutava di avere una vita movimentata come invece avrei voluto.

Avrei desiderato pianificare vacanze, scampagnate, inviti a cena con parenti o colleghi, ma lui non l'aveva mai permesso.

Forse chiedevo troppo.

Con il passare del tempo non potevo più ignorare la difficile convivenza e la nostra incompatibilità.

Come spesso succede, la goccia fece traboccare il vaso un perfetto venerdì sera.

Avevo avuto una giornata terribile a lavoro e quando, dopo aver pulito tutto in casa, arrivò il momento di mettermi a letto, sentii uno strano odore in camera.

La porta del bagno era chiusa, aprendo l'abat-jour e levando il copriletto trovai un alone aragosta al centro del coprimaterasso... a Michael erano tornate le emorroidi.

In quel momento mentre lui era in bagno a sforzarsi di fare pipì presi la mia decisione una volta per tutte: l'avrei fatta finita.

Quella macchia sommata alla gravidanza, a un uomo così, alla mia incapacità di trovare una soluzione, mi portò la mattina seguente ad andare lì.

Raggiunsi i binari della ferrovia più vicina, e improvvisamente sentii trillare due terribili suonerie.

Era una cosa insolita vedere due telefonini tra le rotaie, per giunta accesi nel luogo in cui sarei dovuta diventare un frappè di sangue e ossa.

Ma la cosa più strana era che entrambi suonavano all'unisono.

Cominciai a spazientirmi.

Credevo di essere la solita sfortunata. Forse una coppia di fidanzati aveva deciso di salutare il mondo il mio stesso giorno, alla stessa ora e nello stesso istante.

Non c'erano tracce di corpi, né vivi e né morti, né tantomeno moribondi.

Probabilmente vista la crisi una coppia di poveracci li aveva lanciati sui binari per simulare un furto e lucrare l'assicurazione.

Del resto la mia collega Ludmilla Neve, seppur benestante, era un genio di questi trucchetti. O magari erano della stessa persona.

D'altronde anche Karen aveva due telefoni, un numero lo usava per i suoi colleghi di lavoro, l'altro per amici e parenti.

Non ero abituata a bestemmiare, ma cominciai a farlo e a più non posso.

Avrei voluto lasciare la mia vita sui binari di Cabala City, quel caldo mattino di un 27 luglio del 3113, ma il primo tentativo di suicidio sotto il silenzioso treno di Fast Station Company, era ormai annullato. Visto che i due telefoni non smettevano di squillare decisi di recuperarli. Risposi senza guardare il numero sul telefono azzurro, e rifiutai la chiamata sul telefono rosa.

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CABALA CITYWhere stories live. Discover now