The day we tried to live.

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Jared non apre più bocca.

Nel senso che proprio non ci guarda nemmeno più in faccia. Si limita a seguirci fuori dal negozio, con il cappello di nuovo calato sul viso e le mani nascoste nelle tasche dei jeans logori.

Il fatto è che, per quei pochi secondi in cui gli ho visto il volto, non era niente male. Se non fosse per quelle macchie sulla guancia, sarebbe davvero un bel ragazzo, ci scommetto tutto. E se non fosse per quell'aria brusca e scontrosa, ora forse non sarebbe nemmeno qui.

Non è che sia deforme, ecco. Nascosto da quel cappello, sembra quasi un tizio qualunque.

Allora perché è qui?

Perché, nonostante sappia dove si trovano tutti gli altri, non li ha ancora raggiunti?

Mi chiedo quale sia la sua storia. Mi chiedo perché non parli, mentre percorriamo la strada principale di questo paesino abbandonato e ci guardiamo intorno, all'erta.

Mi chiedo se dovremmo dirgli che suo fratello è vivo, e lo sta cercando.

Quando lo chiedo a Kristin, lei si limita a scuotere la testa. –Voglio aspettare. Voglio vedere come si comporta. Cosa gli è successo. Non so come potrebbe reagire ad una notizia del genere, perciò non posso rischiare di dirglielo. Ci serve lucido e pensante, altrimenti non raggiungeremo mai gli altri.

Annuisco, capendo il suo punto di vista. Eppure non posso fare a meno di pensare che magari dovremmo essere onesti con lui, e dirgli la verità.

Decido di avvicinarlo, mettendomi al suo fianco e lanciandogli un sorriso pacifico.

-Ehi.

Non risponde. Mi squadra da capo a piedi, infastidito, poi torna a fissare la strada davanti a sé.

-E insomma ti chiami Jared, eh?

Wow. Ottimo inizio per una conversazione, davvero. Mi rimprovero mentalmente, scuotendo la testa.

-A quanto pare – grugnisce lui.

-Da quanto tempo sei qui?

Si blocca, fissandomi dritto negli occhi. –Senti. Non ho intenzione di raccontare la storia della mia vita a nessuno, men che meno a te. Quindi fammi il piacere di non avvicinarti troppo e di tacere.

Sbatto le palpebre, confuso. –Ma...

-Sul serio. – Mi guarda seriamente, senza più nessun accenno di disprezzo. –Se non vuoi ridurti come me, stammi alla larga. Questa roba – si indica quasi rabbiosamente il viso - è contagiosa. E si trasmette con il contatto fisico.

-Ah.

Lancio un'occhiata a Gerard dietro di me, che mi fa un cenno muto indicandomi di tornare indietro. Guardo un'ultima volta Jared, ma lui mi ha già voltato le spalle e ha ripreso a camminare.

Provo la tentazione di raggiungerlo ancora, ma qualcosa mi dice di lasciar perdere.

Posso solo immaginare cosa significhi la solitudine, per una persona costretta a stare alla larga da tutti, costretta a non toccare nessuno, costretta a vivere ai margini della società.

E posso solo immaginare cosa significhi, quando la società ormai è ridotta a un decimo di quella originaria, e tu non puoi comunque farne parte, e puoi soltanto vagare di città in città, vivendo alla giornata.

Ben presto abbandoniamo questa città, e davanti a noi si prospetta una vasta distesa pianeggiante di erba ed alberi e cespugli a vista d'occhio.

-Guardate quella macchia azzurra laggiù – indica Gerard in lontananza.

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