Poison.

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Stiles non si sentiva affatto bene quella sera. Aveva vomitato già cinque volte, e la nausea non dava cenni di scomparire. Aveva anche dei giramenti di testa che lo facevano cadere a terra se stava camminando. Le gambe gli tremavano e gli occhi gli bruciavano in un modo tremendo. Aveva provato diverse volte a dormire, ma stava talmente male che non riusciva a concentrarsi sul sonno. Dopo altre due corse in bagno e altre dieci cadute sul pavimento della sua camera, Stiles si decise a prendere in mano il cellulare, cercando di non farlo cadere per il tremore alle mani.

«Pronto?» La voce di Scott era allarmata, solo perché quando i due si telefonavano era sempre per qualche problema.

«Scott?» Rispose Stiles, la voce così flebile che si chiese se l'amico l'aveva sentito. «Amico, non mi sento molto bene.»

«Cosa vuoi dire, Stiles? Vuoi che ti accompagni all'ospedale?»

«No... Cioè, non lo so... Forse è meglio che prima vieni qui a dare un'occhiata...» Stiles non aveva voglia di andare all'ospedale. Se poi si fosse rivelato qualcosa di sconosciuto ai dottori? Qualcosa di sovrannaturale?

«D'accordo. Sto arrivando.» E chiuse la chiamata. Stiles lanciò il cellulare sul letto e cadde di nuovo per terra. Stavolta però non si rialzò. Era troppo debole. Stava troppo male anche solo per respirare. I polmoni gli stavano andando in fiamme, e il suo corpo era preda degli spasmi. Si contorceva per terra, e il ragazzo stava perfino piangendo per quanto male faceva. Sentiva le vene gonfiarsi e sgonfiarsi a ritmi sempre più irregolari, il sangue scorrere avanti e indietro come un fulmine, il cuore che batteva sempre più forte. Stiles si trattenne dall'urlare, per non allarmare il padre. Le gambe tremavano e continuavano ad allungarsi e a stendersi senza freni. La porta sbatté. Qualcuno urlò qualcosa. Poi Stiles perse conoscenza, e il buio fu l'unica cosa che vide.

Quando aprì gli occhi, le prime persone che Stiles vide furono Scott e Derek. Stiles non era in grado di parlare, ma gli sarebbe piaciuto molto chiedere a Derek che ci faceva lì. A lui non era mai importato del piccolo e fragile Stilinski. Però, quando trovò finalmente la forza di dire qualcosa, quella non fu la cosa che chiese.

«Che... Che cosa mi... Mi è successo?» Stiles faticava a parlare. Si sentiva le labbra tremanti, come ancora la maggior parte del suo corpo. Scott aprì la bocca per rispondere, ma Derek lo precedette.

«Melissa ha detto che hai inalato del veleno.» Stiles aggrottò le sopracciglia, e Derek si sistemò meglio sulla poltrona.

«Veleno?»

«Sì, veleno. Un tipo particolare di veleno apparentemente molto pericoloso che viene applicato tramite le vie aeree. I medici non l'hanno riconosciuto. Hanno supposto che fosse stato creato apposta. Hanno mandato dei dottori a casa tua, e hanno scoperto che la tua camera ne era piena» spiegò Derek, senza guardare in faccia il ragazzo steso sul letto. Aveva un tono di voce triste.

«E chi è stato a spargerlo?» Domandò Stiles, perplesso. Chi avrebbe voluto vederlo morto?

«Questo non lo sappiamo» stavolta fu Scott a parlare. «Isaac e Allison sono andati in ricognizione nel bosco alla ricerca di possibili colpevoli, ma finora non hanno ancora trovato niente. Io e Derek sospettiamo di altri lupi mannari, ma non ne siamo molto sicuri. Certo, il Nemethon richiama le creature sovrannaturali. Il problema è che non esistono solo licantropi al mondo» disse Scott. L'ultima frase la pronunciò come se stesse parlando a sé stesso.

«Quindi ricominciamo da capo?»

«Sì.»

Stiles era in ospedale da settimane ormai, ma i dottori gli avevano detto che per smaltire un veleno come quello che aveva inalato, chiamato da Stilinski il Terremoto, ci volevano almeno quaranta giorni. Il ragazzo aveva voglia di uscire e aiutare i suoi amici nella ricerca del colpevole, ma gli toccava starsene sdraiato ad annoiarsi. Melissa andava e veniva, potandogli la colazione, il pranzo e la cena. Di notte dormiva ancora a fatica, svegliandosi per colpa dei tremiti improvvisi e violenti che lo attaccavano.

Una notte, dopo essersi svegliato per un incubo tremendo, Stiles era di nuovo seduto su quel lettino, le lacrime agli occhi, le immagini dei suoi incubi che gli scorrevano davanti agli occhi una dopo l'altra.

E poi, qualcosa si mosse per davvero.

Esattamente fuori dalla sua porta.

Il ragazzo, curioso come non lo era mai stato, si alzò in piedi, barcollando ai primi passi dopo settimane intere. Quando raggiunse finalmente la maniglia della porta, la abbassò con cautela e lentamente uscì fuori. Il corridoio era deserto, le lampade erano staccate dal soffitto, attaccate al cemento per qualche filo colorato. I tavoli erano rovesciati, insieme a medicine e siringhe. La cosa peggiore era che c'erano molti -troppi- dottori riversi per terra con la gola o con il petto squarciato. La luce di emergenza tremolava, e il soffio del vento gelido che entrava dalla porta spalancata investì Stiles in pieno. Il ragazzo si fece coraggio e si avviò attraverso il corridoio, seguendo uno strano istinto. Più si inoltrava nel corridoio, più i cadaveri si facevano numerosi. Quella scena gli ricordava qualcosa, ma la sua mente si rifiutava di far tornare a galla proprio quell'avvenimento. Ad un certo punto s'imbatté nell'obitorio, le cui porte erano spalancate. All'interno c'erano tre figure nere, che dalla sua posizione Stiles non riusciva a distinguere. Deglutì e fece dei passi avanti, avvicinandosi sempre di più agli intrusi. Qualcosa gli diceva che sarebbe dovuto tornare nella propria stanza, ma Stiles non voleva tornare a sdraiarsi di nuovo. Ne aveva abbastanza.

Quando fu abbastanza vicino alle tre figure, il ragazzo deglutì, terrorizzato. Il ricordo era tornato finalmente a galla, distruggendo le barriere che la sua mente aveva eretto. Le due figure più grosse, poste ai lati di quella centrale, erano degli Oni. Avevano le katane sguainate, insanguinate e macabri. Le maschere erano intatte, lucide e nascoste dal cappuccio dei loro mantelli neri. Stiles, però, non si soffermò su quelle creature orribili e inquietanti. Fissava il ragazzo al centro, che gli sorrideva. I suoi occhi erano pieni di follia, pericolosi, che riflettevano la sua anima disturbata e violenta. Era perfettamente identico al piccolo Stilinski.

«Ciao, Stiles.» Il Nogitsune scoppiò a ridere, e Stiles urlò più forte che poté, implorando sé stesso di svegliarsi.


NOTA DELL'AUTRICE.

Ciaoooo!!

Eccomi qui di nuovo con un nuovo capitolo!! So che è molto corto -e che anche questa nota è molto corta-, ma è tutto quello che il mio piccolo cervello ha tirato fuori. Ho cercato di aggiornare il prima possibile, quindi spero che questo capitolo vi piaccia. Grazie a tutti quelli che leggeranno, voteranno o commenteranno la storia!! Tornerò presto con il secondo capitolo. O almeno spero.

Al prossimo aggiornamento.

H.




Only Human. [Sterek]Where stories live. Discover now