Ventiduesimo

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«Signor Rogers, deve tornare nella sua stanza.» Disse un'infermiera, prendendo con freddezza la sedia a rotelle su cui era seduto Steve, e portandolo via dalla camera di Bucky, dopo che il loro tempo insieme si era prolungato ad un quarto d'ora.
«Cosa? Aspetti!» La fermò lui, seccato e disgustato da tanta maleducazione.
James si sedette sul letto, con un'espressione minacciosa e fredda, che fece subito mettere sulla difensiva Steve.
«Lui non va da nessuna parte.» Affermò Bucky.
«Bucky...sta calmo.» Steve allungò un braccio, cercando di tranquillizzarlo, con un gesto di contenimento sinceramente impotente.
«Ascolti, mi lasci qui ancora un po', per favore...credo che voglia evitare un attacco da parte di Barnes...» Cap persuase la donna con non curanza, che si convinse a lasciare Rogers in quella stanza, ritornando vicino Bucky.
«Vieni qui.» Il moro fece un segno con le mani, indicando il letto. Steve alzò gli occhi al cielo, forse Bucky non aveva capito che non riusciva a camminare, né tantomeno alzarsi in piedi; ma, senza preavviso, venne afferrato da sotto le braccia dalle forti mani del Soldato D'inverno, e poggiato sul piccolo, ma comodo, lettino dalle lenzuola bianche. Steve arrossì, mentre Bucky sistemò delicatamente le sue gambe lungo il materasso, coprendole; si poggiò sui cuscini e fece sdraiare sul suo petto Steve, girando il braccio metallico dietro la nuca di Cap.
Era come un tuffo nel passato, una scena tremendamente familiare, che il biondo, quasi riuscì a trasportarsi nella camera di casa sua, a Brooklyn, steso fra le coperte e le braccia del moro.
Bucky intrecciò la sua mano 'non di carne' con quella di Steve, che fissò quella strana fusione come ipnotizzato. Bucky alzò un po' il braccio, stendendo la mano, controllando quella morbida e rosea di Steve.
«Sei così perfetto...» Affermò Bucky.
Lui sorrise imbarazzato, permettendo al compagno, di chinare il capo sul viso.
«Quando potremo tornare a casa?» domandò confuso il Soldato D'inverno.
«Non saprei dirtelo con certezza...credo che tu uscirai presto, ma io sono quasi sicuro che dovrò rimanere qui ancora a lungo.»
«Non essere pessimista, perché dovrebbero trattenerti ancora?»
«Per la fisioterapia...finché non accennerò qualche miglioramento dovrò restare in ospedale.»
Bucky guardò le gambe di Steve per pochi secondi, lasciandosi fissare a sua volta dal confuso ragazzo, straniato da quegli occhi così insistenti su di lui, e dall'espressione ridicolmente concentrata di Barnes.
Il maggiore si alzò un po' barcollante dal letto, tolse le lenzuola da dosso a Steve, ed iniziò a massaggiargli velocemente i polpacci.
«Che stai facendo?» Domandò confuso Cap.
«Ricordi che durante la guerra, quando un compagno aveva difficoltà a camminare, praticavamo questa manovra?» Disse Bucky, mentre continuava a muovere con forza su e giù le mani lungo le gambe di Steve.
«Si... Ma non è esattamente la stessa cosa...» Disse stupito Steve; Bucky aveva ricordato da solo un evento passato, e la cosa lo aveva spiazzato parecchio.
«Bene, adesso cerca di sollevare il piede.» Bucky lo incoraggiò soddisfatto, osservando il suo lavoro terminato, e tenendo ferma una mano, alzata a pochi centimetri dal piede di Steve.
«Non essere ridicolo...»
«Suvvia, almeno provaci.»
«Per favore Buck...» Stavolta Steve si lamentò, arrabbiato e demotivato; perché non riusciva a capire? Lui non poteva muoversi, non ci riusciva, il suo cervello non glielo permetteva. Ed essere spronato da Bucky non lo faceva di certo sentire meglio, al contrario, gli faceva pensare di più a quel gesto ormai negatogli dal suo stesso corpo.
«Punk, fallo per me.» Gli disse dolcemente Bucky guardandolo negli occhi.
Punk, un altro ricordo venuto a galla. Quel nomignolo che da tanto non sentiva, fece accapponare la pelle a Steve.
Come quando il piccolo James, dopo l'incidente dei suoi genitori, era scappato e si era rifugiato in strada, dove un barbone gli aveva spiegato il significato di quello pseudonimo;
Un uomo che ama un altro uomo.
Da quel momento in poi, aveva preso l'abitudine di affibbiare quella definizione a Steve, che non era entusiasta di quel nome, ma anche se faceva tanto il duro, adorava il tono che la voce di Bucky prendeva quando lo chiamava in quel modo.
Doveva tentare.
Doveva farcela.
Prese un sospiro, strinse con i pugni le lenzuola, e si sforzò con tutto se stesso a seguire le istruzioni del moro.
Era talmente incredibile che un suo normale movimento naturale, non rispettasse il comando inviato dal cervello.
«Bucky, non ce la faccio...» Si lamentò sofferente, continuando a tentare.
«Si che ce la fai! Coraggio!»
Steve cercò di tenere duro, strizzando gli occhi, improvvisamente, toccando qualcosa con la punta del suo piede.
Aveva poggiato le dita sul palmo della mano di Bucky. Aveva mosso le sue gambe.
Forse non sapeva dare una spiegazione logica a quello straordinario risultato, forse era solamente un fattore psicologico, o un puro caso dei miglioramenti della terapia, ma ci era riuscito.
Guardò con un sorriso incredulo ciò che era riuscito a fare, posando i suoi occhi carichi di gioia su quelli di Bucky, che lo guardò sorridendo dolcemente.
Lentamente poggiò il piede sul materasso, un po' dolorante dopo quello sforzo intenso, mentre Bucky gli si avvicinò, abbracciandolo caldamente.
«Ottimo lavoro soldato, bravo.» Sussurrò commosso Bucky, mentre Steve stringeva i suoi lunghi capelli castani far le dita, prendo la testa contro la sua spalla, bisognoso di quel respiro sulla sua pelle.
Poteva farcela.
Spostò il moro difronte a lui, ancora con il camice ospedaliero indosso, ed i capelli arruffati ma ormai asciutti. Bucky era abbastanza dolorante, ma non lo dava a vedere, soprattutto davanti a Cap. E poi, in fin dei conti, il dolore non era più nulla che lo abbattesse, ne aveva provato così tanto sotto il controllo dell'HYDRA, che ogni sensazione sgradevole non lo turbava più di tanto.
Steve gli strinse una spalla con una mano, muovendolo con una debole spinta affettuosa.
«Ripeti quel nome.»
Bucky sorrise ingenuamente, aggrottando la fronte confuso: «Quale?»
«Punk.»
Bucky lo guardò stranito; quella richiesta era insolita, in quel momento, per la sua memoria, per i suoi fantasmi, per ogni parte di lui, Steve c'era sempre stato, e quel soprannome lo aveva sempre avuto.
«Perché dovrei ripeterlo? Io ti chiamo sempre così...» sorrise lievemente, scrollando le spalle.
«Fallo e basta.» Steve sentiva il disperato bisogno di sentirselo ripetere, ancora e ancora, non si sarebbe mai stancato di quel nome.
Troppo sicuro di aver perso per sempre il privilegio di essere chiamato in quel modo, che adesso avrebbe ucciso per sentirlo ancora, fino alla fine.
James continuò a sorridere, sereno;
«Punk.»
«Ti prego, dillo ancora.» gli occhi azzurri di Steve si fecero lucidi, e la sua voce vacillò dall'emozione.
«Il mio Punk.»

Take me to Brooklyn ||Stucky|| ✔Where stories live. Discover now