34.

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Favola


La mattina mi svegliai, credevo che non sarei riuscita ad addormentarmi, invece, contro ogni aspettativa, l'avevo fatto, nonostante Justin non fosse con me. Quando aprii gli occhi la prima cosa che vidi fu il suo volto, era chinato su di me e i suoi occhi mi scrutavano, stava sorridendo. Giocava con i miei capelli, accarezzandoli e dividendoli in ciocche con le mani. Avevo dormito proprio pesantemente, da non essermi accorta che fosse tornato, in più ero sdraiata sul letto, con la testa sulle sue gambe, ma non ricordavo di essermi messa in quella posizione.
Dopo il primo impatto con quella serenità mattutina, cominciai a ricordare il motivo per cui mi aveva abbandonata il giorno prima, dopo avergli detto la verità.
-Dove sei stato?
Chiesi, lui scosse la testa e continuò ad accarezzarmi i capelli.
-Solo a riflettere.
Spalancai la bocca per lo stupore.
-Tutta la notte?
Justin rise.
-No, sono tornato presto, ma dormivi già.
Rimasi in silenzio, sicuramente stava pensando che non mi importava di lui, se dopo un litigio del genere ero riuscita ad addormentarmi senza nessun problema.
Justin lanciò un'occhiata alla mia pancia, forse di sfuggita, perché poi posò definitivamente lo sguardo sul muro di fronte a lui, nonostante ciò mi sentii accusata.
-Dobbiamo parlare.
Disse comunque. Annuii e mi alzai dalle sue gambe, per sedermi semplicemente sul letto accanto a lui.
-Di cosa? Non possiamo fare niente.
Justin mi afferrò la mano e iniziò ad accarezzarla.
-Ieri sono stato male, ma non ero arrabbiato con te, ho capito che lo hai fatto solo per salvarti la pelle.
-Certo, eri arrabbiato con Daniel, è evidente.

Alzai le spalle. Lui, però, sospirò.
-No, non era rabbia, solo tristezza. Mi ero abituato all'idea di diventare padre, anche se non ho idea di come si faccia e quando hai detto che il bambino potrebbe non essere mio mi sono sentito distrutto.
La sua voce si incrinò e per un momento pensai che si stesse mettendo a piangere di nuovo,ma riuscì a controllarsi e a mostrarsi duro.
-Ma non è comunque detto che sia di Daniel, non perdere le speranze.
Justin ignorò la mia domanda e cominciò a mordersi il labbro.
-Quinn, ho un piano, come già sai.
Inclinai la testa con aria dubbiosa.
-Che c'entra scusa?
Justin mi fece segno di aspettare, stava arrivando al punto con calma.
-Non è detto che riesca e se così fosse, non potrò essere più il capo di questo posto. In quel caso non potremo mai avere un altro figlio. Questo sarà l'unico bambino che avremo o che avrai, se non fosse figlio mio.
Sospirò e chiuse gli occhi.
-Dove vuoi arrivare?
Aveva l'aria di uno che stava per fare una richiesta.
-Daniel è un mostro e se quello fosse suo figlio, io non potrei sopportarlo.
Per qualche secondo rimase in silenzio, alla fine parlò.
-Facciamo il test del DNA.
In quel momento capii tutte le sue intenzioni. Gli lasciai la mano e mi allontanai, sedendomi più lontana da lui sul letto. Le sue intenzioni erano le pggiori, iniziai a tremare. Quello non era il Justin di cui mi ero innamorata, eppure quella sua parte crudele e assassina era sempre presente in lui.
-Quinn, ti prego.
Disse avvicinandosi. Io mi allontanai ancora di più, in preda al panico.
-Assolutamente no.
Justin abbassò la testa.
-Ti prego, devo saperlo.
Non era il fatto di saperlo o meno, lui voleva ucciderlo, ne ero sicura.
-No, se fosse di Daniel mi costringersti ad abortire.
Justin mi guardò dritta negli occhi, i suoi erano lucidi e rossi.
-Così potremmo averne uno tutto nostro. Solo mio e tuo.
Scossi la testa. No, non l'avrei mai fatto. Non mi interessava di chi fosse il bambino, io l'avrei tenuto. Justin non si rendeva conto di ciò che stava dicendo. Era solo accecato dal dolore.
-Non succederà mai.
Justin si avvicinò a me. Avevo paura di lui, per me e per il bambino. Non pensavo che sarebbe mai successo di nuovo dopo tanto tempo, eppure era così. Indietreggiai ancotra di più, senza rendermi conto che il letto era finito. Mi sbilanciai e rischiai di cadere a terra, ma Justin allungò una mano ed evitò che toccassi il pavimento. Mi tirò verso di lui e, con un solo gesto, veloce e contiinuo, mi strinse tra le sue braccia.
-Era solo una richiesta, se non vuoi non importa.
Continuavo a tremare, per la paura che mi aveva fatto provare l'idea del mio bambino morto. Mi iniziai a calmare solo quando Justin cominciò a cullarmi tra le sue braccia, sussurrando al mio orecchio di non preoccuparmi, e di stare tranquilla. Piano piano il mio cuore prese a battere meno forte e ricominciai a vedere Justin come il mio amato fidanzato, non come una minaccia. Lui era buono, come potevo io oon pensare a lui ed essere tanto egoistada non prendere in considerazione la sua proposta neanche per un momento?
-Perché mi chiedi una cosa del genere?
Mi liberai dalla stretta di Justin, lui, però, non volle lasciarmi le mani.
-Perché ho sempre voluto avere un figlio con te e so che questa è la nostra unica opportunità.
Era sincero, potevo capirlo, perché anche io avevo pensato la stessa cosa.
-Ma non è vero, se con il tuo piano conquisti la società potremo averne un altro.
Justin scrollò le spalle e per un momento sembrò malinconico, subito dopo mi sorrise.
-Giusto.
Disse semplicemente. Capii immediatamente che dietro quell'unica parola erano celati milioni di segreti.

**

Non riprendemmo mai più quell'argomento. Justin stava iniziando ad accettare l'idea e parlava del bambino come se quello fosse veramente suo figlio. Se non avessi cercato di ricordarmi quella giornata in cui ne avevamo discusso, avrei pensato che lo fosse veramente senza alcun dubbio, a causa del suo comportamento. I mesi seguenti trascorsero senza problemi, sembravamo una coppia felice, ma soprattutto normale. Dopo tanto tempo, finalmente, avevamo di nuovo raggiunto la serenità. Justin continuava a lavorare e io ad aiutarlo, ma ogni ora trascorsa sui fogli e con le penne in mano non poteva essere considerata un'ora noiosa o faticosa, perché eravamo insieme. Lui, di tanto in tanto, usciva e tornava con un nuovo regalo per me, ovviamente non erano regali costosi, proprio perché non era più ricco come lo era stato in passato,ma a me piacevano ugualmente, anzi di più, perché sapevo che gli costava tanto spendere lo stipendio per me. Tante volte era tornato in camera disperato perché mi aveva comprato "solo" un anello, o un bracciale, ma in realtà per me valevano tantissimo, avevo cercato di spiegarglielo, ma lui rispondeva sempre che non valevano nulla.
Tutto era perfetto, anche Justin non accennava più al suo piano o a Paul. Hari non era più venuto a cercarmi e tutto andava per il meglio. Avevo addirittura quasi dimenticato che stesse tramando qualcosa.
Con il passare del tempo, però, iniziai a sospettare qualcosa. Non era vero che tutto andava per il verso giusto, anzi ebbi l'impressione che fosse a Justin a volere che credessi una cosa del genere. Cercava di farmi vivere in un mondo incantato e paradisiaco, in una favola, cercava in tutti i modi di non farmi preoccupare e di porgermi le cose su un piatto d'argento. Non lo faceva per cattiveria o per nascondermi qualcosa. Voleva semplicemente che vivessi la mia vita al meglio.
-E per oggi ho finito.
Disse Justin lasciandosi cadere con le spalle sulla spalliera della sedia.
-Finalmente.
Disse voltandosi verso di me e sorridendo. Io ero sul letto e giocavo con un pezzo di carta. Cercando di ricordare come costrire una barca di carta, purtroppo senza risultati. Justin si accorse della mia rabbia contro quel foglio e si alzò, raggiungendo il letto.
-Sai che quel pezzo di carta non ti ha fatto nulla, vero?
Scherzò e si sedette accanto a me. Io ero poggiata con le spalle al muro e le gambe sul letto, così anche Justin, per stare accanto a me, fu costretto a poggiare le spalle e tirare su i piedi.
-Sto cercando di ricordarmi una cosa.
Dissi distrattamente, continuavo a rigirare il pezzo di carta nelle mani e a piegarlo, l'unico porblema era che, dopo i primi due passaggi, non riuscivo ad andare avanti. Justin poggiò il mento sulla mia spalla in silenzio e restò a guardarmi per circa due minuti, alla fine mi prese il foglio dalle mani e iniziò a piegarlo e rigirarlo con disinvoltura. Rimasi a fissarlo, era divertito e rilassato, nello stesso tempo, però, i suoi occhi erano concentrati in quello di cui si stavano occupando. Alla fine mi sorrise mostrando i denti e mi passò la barchetta ormai costruita. Imbarazzata la afferrai. Perché lui era riuscitoi a costruirla e io no?
-Sembro tanto stupida in questo momento?
Arrossii. Justin rise.
-Solo un po'.
-Che figura.
Posai la barchetta sul comodino accanto a me.
-Non posso credere che una persona brava con i numeri come te non riesca a costruire una barchetta di carta.
Mi girai verso di lui, stava con il mento alto per darsi un'aria di superiorità.
-Che c'è? Da piccola io avevo dei veri e propri giochi di plastica, non di carta.
Mi chiesi come fosse Justin da bambino, doveva essere dolcissimo.
Justin rise.
-Perché ridi?
-Mi stavo solo chiedendo come fossi da bambina, sicuramente eri cocciuta e capricciosa.
Justin fece una smorfia e io mi sentii in imbarazzo, perché era la stessa cosa che mi stavo chiedendo di lui.
-Io non sono cocciuta e capricciosa.
Ribattei.
-E dimenticavo permalosa.
Mi guardò con sguardo di disapprovazione, un momento dopo però sorrideva di nuovo.
-E tu eri viziato.
Gli puntai un dito contro, credevo che volesse ribattere invece annuì.
-Forse un po'. Mio padre aveva costruito uno scivolo in camera e amavo giocare con le macchinine telecomandate, ricordo che giravo per tutta la società guidandole. E a te cosa piaceva fare da piccola?
Justin era stato frustato dal padre, aveva vissuto senza la madre, credendo di averla uccisa,anche se non era vero, ma paradossalmente la sua infanzia sembrava più divertente della mia.
-Ero quasi sempre sola e giocavo con la baby-sitter o con mia madre, essendo figlia unica.
-E ti piacevano le bambole?
Scossi la testa.
-Preferivo i peluches, come Annie.
Ricominciai a pensare a quella bambina, chissà come se la cavava adesso. Sicuramente si stava divertendo con i miei giocattoli, ero felice che qualcun altro ne potesse usufruire.
-Io non giocherò mai con un peluche o con una bambola, sono noiosi.
Risi per il modo in cui Justin sembrava serio.
-Ma è ovvio. Sei un adulto ormai, perché dovresti giocarci?
Solo in quel momento mi accorsi di quanto quella domanda fosse stupida.
Justin posò una mano sulla mia pancia.
-Deve essere un maschio.
Disse, sembrava convinto. Non era un semplice desiderio, era quasi una necessità. In quel momento, però, non capii perché.
-Digli di nascere maschio.
Disse Justin convinto voltandosi verso di me. Rimasi in silenzio perché quella conversazione iniziava a perdere il filo logico, credevo che fosse serio, invece alla fine rise.
-Vedrò che posso fare.
Dissi. In quel momento Justin tolse la mano dalla mia pancia, velocemente, spinto da qualcosa. Sulla mia pelle si intravedeva un bozzo.
-Il bambino mi tira calci.
Dissi ridendo. Justin sembrò preoccupato, gli presi una mano.
-Ehy, rilassati, guarda che è normale.
Per un momento Justin sembrò pensarci, alla fine gli si dipinse un sorriso sul volto.
-Ha già preso dal papà.
Alzò il mento con aria di superiorità, era chiramente felice e fiero di se stesso. Mi chiesi se si comportasse in quel modo perché lo sentiva veramente o perché cercava di nascondere la tristezza del suo animo, causata dal fatto che non era sicuro che il bambino fosse suo . Probabilmente inizialmente lo faceva per questo motivo, ma adesso era veramente più speranzoso e credeva che fosse suo, del resto erano trascorsi diversi mesi.
-Se ha davvero preso da te siamo rovinati.
Risi e Justin si voltò verso di me, sembrava arrabbiato, per un momento mi intimorì, ma presto capii che stava scherzando, perché mi abbracciò velocemente e io rischiai di cadere all'indietro, sbattendo la testa sul comodino.
-Scusa, ti ho fatto male?
Chiese Justin.
Io lo ignorai sentendo un fruscio provenire dal comodino.
-Che è caduto?
Chiesi, Justin alzò le spalle.
-Forse la barchetta. La raccoglierò dopo.
Annuii, cercando di sporgermi per controllare se la riuscivo a vedere.
-Che c'è? Eri affezionata? Sai quante ne posso fare di quelle se ti piacciono?
Lo colpii scherzosamente sulla spalla.
-Che sei scemo, stavo solo vedendo se riuscivo a prenderla io.
Mi mise una mano sulla spalla e mi guardò con uno sgurado di comprensione.
-Guarda che se ti piace giocare con i giocattoli di carta come una bambina a me puoi dirlo.
Allontanai la sua mano.
-Non sono una bambina, non mi piacciono i giocattoli.
Gli feci la linguaccia.
-Guarda che se me lo dici manterrò il segreto.
Justin si mise una mano sul cuore, cominciai a ridere e gli tirai una pacca sulla spalla di nuovo.
-Smettila.
Justin si chinò verso di me.
-Di fare cosa? Sei sicura che non vuoi un'altra barchetta, bimba?
Sospirai.
-Aaaah, ti odio.
Justin rise e mi abbracciò, facendomi coricare sulle sue gambe.
-So che non è così.
Mi guardava con sguardo amorevole, sorrideva in modo moderato e sembrava che in quel momento esistessi solo io ai suoi occhi. Io, invece, lo guardavo con sguardo truce.
-Invece sì.
Justin fece un mezzo sorriso e alzò le sopracciglia.
-Se mi odiassi adesso mi staresti baciando?
Quell'affermazione mi confuse. Lo guardai per capire cosa stesse dicendo.
-Ma io non ti sto baciando.
Puntualizzai. A momenti riuscii a terminare la frase che Justin si chinò su stesso e posò le sue labbra calde e morbide sulle mie. Sapevo che con quel gesto gli avrei concesso la vittoria, ma non potevo farne a meno. Risposi al bacio. Justin mi accarezzava la pancia, mentre io lo trattenevo chinato su di me essendo aggrappata al suo collo. Dopo qualche secondo Justin si fermò e il suo naso mi sfiorò la guancia. Lo vidi tirarsi su e ricominciò a gurdarmi in modo amorevole, come prima.
-Visto che mi ami?
Feci una smorfia e incrociai le braccia sul petto. Non sapevo che dire e gli feci una linguaccia.
-Comunque sta di fatto che non sono una bambina, e non prendermi in giro per la barchetta di carta. Non volevo giocarci, stavo solo controllando se potevo raccoglierla io.
Feci finta di mettere il broncio e Justin cominciò ad accarezzarmi i capelli.
-E va bene.
Sospirò e mi alzò delicatamente la testa dalle sue gambe, così si alzò facendo attenzione a reggere la mia nuca finché non la riposai sul letto, dove prima c'erano le sue game.
-Dove vai?
Chiesi un po' presa dal panico. Non volevo che quel momento di scherzi e gioia finisse. Justin senza rispondere si coricò sul letto accanto a me e mi afferrò una mano, stringendola tra le sue. Stava su un fianco, voltato verso di me, come se non mi volesse perdere di vista neanche un momento.
-E' tardi, perché non dormi un po'?
Sapevo che aveva ragione, anche lui aveva bisogno di riposare, aveva lavorato tutto il giorno del resto. Annuii e chiusi gli occhi. Justin allungò la mano e raggiunse l'interruttore, spegnendo la luce. Rimanemmo per qualche secondo in silenzio, forse anche un minuto. Credevo che Justin si fosse già addormentato perché era lui che aveva lavorato tutto quel tempo, io non mi sentivo stanca. Dopo poco Justin mi chiamò.
-Quinn?
-Che c'è?
Aprii gli occhi, ma non riuscivo a vederlo, sapevo che era accanto a me perché mi teneva ancora la mano e sentivo il suo fiato contro di me.
-Guarda che se vuoi so costruire anche gli aeroplanini.
Ancora con quella sopria? Volevo mostrarmi offesa, ma non ce la feci, mi scappò una risata. Subito dopo però, allungai la mano libera, presi il cuscino e lo lanciai dove credevo che ci fosse la sua faccia.
Lui rise e mi baciò la mano che stava tenendo.
-Ok, non ti prendo più in giro, non ti arrabbiare.
Rise e io chiusi gli occhi con il sorriso stampato in faccia, anche se lui non poteva vederlo.
-Buonanotte.
Dissi.  


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