Take your time

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Avevo fatto scalo a Roma e dall'aeroporto di Fiumicino avevo preso un altro volo disponibile per gli Stati Uniti.
Ebbene si! Andavo davvero ad un concerto de Il Volo attraversando l'Oceano, perché non avevo più la pazienza di aspettare Ignazio.
Sarò stata folle, stupida, insensata o senza dignità ma era quello che volevo.
Mi trovavo a Chicago, per la precisione all'aeroporto internazionale O'Hare.
Poco prima dell'atterraggio mi ero persa nella spettacolare visione che mi si era prospettata davanti: mille ed incantevoli luci gialle che circondavano quell'enorme macchia blu del lago Michigan.
Enormi grattacieli che in lontananza parevano piccoli, come la mastodontica Willis Tower che adesso risultava innocua.
Adesso, vista così da lontano, non dava più quella soggezione di incombenza.
Dopo circa dieci ore e quaranta minuti fra le nuvole ad alta quota, mi trovavo di fronte alla più grande città dell'Illinois, la più grande metropoli dell'entroterra statunitense, e la terza per popolazione in tutti gli USA.
C'ero stata spesso in vacanza da bambina con i miei genitori. Conservavo quel ricordo come uno dei più magici della mia vita e tenevo impresse nella mente immagini bellissime.
Chicago per me era il cuore del blues, il centro nevralgico del jazz grazie alla grande migrazione afroamericana degli anni novanta. Chicago per me significava camminare per le strade e sentirsi minuscoli di fronte ai grandi grattacieli, che arrivavano a raggiungere anche fino ai 108 piani.
Significava ammirare estasiata il meraviglioso lago Michigan, con quella soffice e bianchissima sabbia, che emetteva uno scricchiolio ogni qualvolta la calpestavi a causa dell'alto contenuto di quarzo.
Com'era bello osservare il tramonto all'orizzonte di quell'immenso specchio d'acqua dolce.
Ricordavo che me stavo su una tovaglia a quadrettoni rossi con a destra mia madre e a sinistra mio padre, mentre guardavamo il sole farsi di mille colori. Raggiungeva la sfumatura del fucsia e poi spariva sotto quella coperta verde mare e sorgeva alta la luna nel tetto oramai più blu.
Passavo il tempo con la testa all'insù per bearmi di quella città tanto amata da me e dai miei genitori.
In effetti era una metropoli ricca di arte moderna, cucina raffinata, cabaret all'avanguardia, svariati musei, compagnie teatrali e non era mai difficile divertirsi.
Io di solito mi incantavo a guardare i raggi di sole riflessi sulle vetrate dei palazzi, che si specchiavano da una parte all'altra creando giochi di luce.
Bagliori cristallini si sospendevano nell'aria calda ed umida dell'estate.
E chi l'avrebbe detto mai allora che io sarei diventata la Luisana di adesso?
Chi l'avrebbe pensato che io mi sarei ribellata al volere della mia famiglia per divenire una conduttrice televisiva, ma a parte questo, io restavo io.
Fragile ma al contempo testarda.
Razionale anche troppo, ma in certi casi impulsiva con il suo Carpe Diem da realizzare, come per dare la dimostrazione a qualcuno.
Ma adesso non c'era il sole come allora.
Adesso era inverno ed io stavo facendo i conti con la città ventosa.
Così veniva chiamata Chicago per le sue temperature invernali e nevose, che a mio parere erano capaci di far desistere persino l'adattamento all'ambiente di un orso polare, e cosa avrei dato io in quel momento per avere la sua calda pelliccia bianca?
Forse anche i miei preziosi tacchi che nel frattempo sprofondavano nella neve alta.
Sicuramente io non me la ricordavo così Chicago.
Ora nel cielo pallido e scuro c'erano solo nuvole grigie.

Ancora frastornata dal fuso orario mi ero preparata al meglio per raggiungere Chicago Theatre.
Avevo indossato un vestito turchese lungo e sobrio in chiffon, con un leggero spacco e che fasciava bene la vita ma senza esagerare.
Avevo abbinato delle scarpe ovviamente alte, una pochette sulla tonalità dell'antracite e avevo lasciato i capelli fluenti sulle spalle, raccogliendo solo le due ciocche sul davanti.
Aspettavo con ansia il taxi nella hall dell'albergo e il mio telefono vibrava di continuo con messaggi ansiosi di Margherita alla quale non avevo risposto.
Era magico sfrecciare veloce fra le ampie carreggiate dell'Illinois, con mille altre vetture in vernice gialla che passavano accanto, ma soprattutto era magico Chicago Theatre di notte con quell'insegna accesa e vivida.
Nell'aria lussuosa ed elegante faceva da padrone un rosso carminio e l'oro rifiniva i maestosi rilievi novecenteschi.
Le sedie in velluto e la grande tenda che apriva il sipario davano quel gradito sapore antico, che per me non guastava mai.

Se Ritorno Da Te....(#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora