Veronica Spell - Alexis and Seth.

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"Allora pensi questo?" disse cauto. "Pensi che io sia solo un'illusione?" 

"Si" dissi, mentre il mio corpo si distendeva sul lettino piccolo che possedevo.

Lo sentì sospirare, come se non sapesse come gestire la cosa e si stesse per arrendere.

"Capita. Ormai sono abituata" dissi senza pensarci.

Lui sospirò di nuovo, mentre si sedeva cauto su una sedia. "Tu non capisci niente" sussurrò.

Io feci quel risolino, quel risolino così snervante anche per me, anche se era bello poter avere qualcosa che mi rendesse me. "Oh, certo, sei innamorato. Dove mi porterai per la luna di miele?"

"Stai zitta!" gridò piano lui.

"Zitto tu" feci più forte io, alzandomi per guardarlo. Mi distesi subito dopo.

"Vedi? Non posso dirti niente. Niente che non vuoi sentirti dire." 

"Non voglio sentirmi dire cavolate, dici?" Ed incominciai a guardarlo, sempre più. 

Lui mi guardò per circa due minuti, come feci pure io, mentre io già cercavo di non ridere da un minuto. Anche lui, lui aveva cominciato a cedere lo stesso momento in cui avevo iniziato io. Era così strano cercare di trattenersi in contemporanea, così strano che il fatto di ridere in contemporanea lo misi un po' a parte. E non ridevamo certo di gioia.

Lui prese quel momento per farmi vedere di nuovo la vecchia foto di noi due. Io diventai seria, tanto seria che il mio sguardo su quella fotografia lo fece rabbrividire. Forse lo voleva nascondere, lo voleva nascondere abbracciandomi, voleva nascondersi in un mio abbraccio.

Io mi spostai, dovevo dirgli quello che pensavo. Lo guardai, e lui fece altrettanto. "I ricordi sono brutti, le fotografie di più. Io ho cancellato tutte le mie fotografie dal computer, bruciato quelle in cui ero bambina, e cerco di non farmene mai fare, quindi ti prego di strappare quella fotografia. Mi fa male vedere che qualcosa è rimasto, che quello che ho cancellato potevo invece tenermelo, almeno un'altro po'." E sentire la mia voce pronunciare quelle parole mi faceva sentire in un sogno, in un mondo parallelo. 

"Piangi" mi sussurrò, mentre le sue braccia si estendevano ancora di più verso di me, mentre lui si stendeva verso di me e mi diceva così di fare lo stesso, ed io non sapevo perché, ma feci come lui mi disse.  Forse in realtà lo sapevo, il perché, ma non era così facile da ammetterlo di quanto mi ero immaginata in passato, non troppo tempo fa, per tutta la vita inconsapevolmente.

"Devi lasciarti andare" disse, il suo viso nell'incavo del mio collo. Respirava, ed io lo sentivo, sentivo il suo cuore battere così tanto che lo sentivo anche se non ero appoggiata ad esso. E so che lo avrei sentito anche se così non fosse stato, se fosse stato solo un minuscolo cuore e battesse a malapena. E io facevo lo stesso, respiravo ed il mio cuore batteva, come se vivessi, e lui sicuramente il cuore ed i suoi battiti accelerati sul suo braccio li sentiva. So che era così.

C'era così silenzio in quella stanza, in quella stanza dove il silenzio regnava sempre al di fuori delle mie cuffie, anche se c'era la TV accesa. Ci sentivamo solo noi, e mi rallegrai di non sentire altro. Altro come la metropolita che passava ogni ora, o come la televisione accesa nella stanza accanto. O nient'altro che non fossimo noi. 

Eravamo in sintonia.

Lui si scostò e mi guardò, ed io lo guardai. E fu così semplice, anche se pieno di emozione, baciarlo per la prima volta in assoluto. Non pensavo lo avrei baciato io per prima, non pensavo mi avrebbe baciato lui per primo, perché forse speravo nel bacio perfetto, ed infatti fu così: ci baciammo in contemporanea.

E non c'era bisogno di dire o pensare come le sue labbra si armonizzassero perfettamente alle mie, o come il suo respiro contro le mie labbra mi sembrava tanto bello, o come la sua testa e il suo mento si allineavano con i miei, perché in realtà fu solamente qualcosa di estremamente bello e solidale. Per entrambi.


Nella foto: Nothing extraordinary ever comes easy. Niente di straordinario viene mai facilmente.


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