L'illuminazione

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Cominciamo dall'inizio. Ci fu un momento della mia vita in cui ebbi la certezza che insegnare fosse un lavoro privilegiato.

P-R-I-V-I-L-E-G-I-A-T-O???

Un lavoro privilegiato sarà fare la mantenuta... O se no la ballerina senza saper ballare, la presentatrice senza sapere l'italiano pur essendo italiana, la dottoressa comprandosi la laurea... se no la stylist, la fashion blogger, la personal shopper, la personal trainer, la personal qualcosa insomma!

Tutto, ma l'insegnante no.

Mucchi di bambini che si scaccolano e ti rendono la vita impossibile chiedendoti quando e se possono fare la cacca, la pipì od ogni altro genere di bisogno impellente.

Greggi di adolescenti che schiamazzano pensando che bigiare, limonare, giocare a carte o alla morra cinese sia molto più utile che ascoltare la lezione.

Schiere di colleghi che ti braccano nei corridoi rendendoti isterica proponendoti problemi inutili e uguali anno dopo anno.

Dirigenti scolastici che non hanno di meglio da fare che convocare collegi docenti, consigli di classe, interclassi, scrutini a casaccio, ricevimento genitori e chi più ne ha più ne metta.

Bidelli che nascondono lo sporco nei cassetti, sotto la cattedra, dietro alla lavagna, e ti confondono le idee facendoti rigorosamente le fotocopie della pagina sbagliata in quantità industriale e poi, per rallegrarti la giornata, ti portano le circolari che annunciano le riunioni di cui sopra!

Ma poi ancor meglio la vita dell'insegnante precaria come me... Che meraviglia non avere mai la certezza di lavorare, che bello cambiare scuola e classe di mese in mese, che gioia superare i concorsi e non riuscire lo stesso ad ottenere il ruolo, che incantevole piacere essere trattati come pezze da piedi!

Ma un attimo di serietà. Vorrei parlarvi del momento in cui effettivamente capii che il mio lavoro era privilegiato e per me indispensabile.

Facciamo un passo indietro.

Una mattina mi trovavo a Vercelli, il prof. Capra stava spiegando all'aperto, in mezzo a piazza Cavour.

Lì riuniti ad ascoltare c'erano liceali, universitari e docenti. Parlò di sé e di come era arrivato a capire che insegnare era quello che voleva. Gli sguardi si incrociavano luccicanti ed era bello vedere là raccolte persone così diverse tra loro.

Bene, io proprio quel giorno ebbi la certezza di voler effettivamente insegnare. Ma ecco quello che pensai.

Non so se avrò ancora occasione di insegnare, il futuro di noi giovani in questo periodo sembra davvero incerto. In ogni modo, anche se non ne avrò più occasione so che voglio insegnare.

Ma a cosa serve sapere esattamente cosa si vuole se non lo si può avere?

Bhè è già un inizio, ti indica la via.

In fondo ho sempre saputo che c'erano solo due cose che sapevo fare bene: insegnare e cantare.

Ma non avevo mai capito prima che non avrei potuto fare a meno dell'una o dell'altra.

Quel giorno lo capii grazie al prof. Capra.

Pensate che prima di quel famoso giorno io non sapevo nemmeno chi fosse e invece fu proprio lui a farmi capire cosa desideravo davvero per il mio futuro. L'illuminazione me la diede grazie alla storia che sto per raccontarvi. Storia che lui raccontò quel giorno a tutti noi.

Venne organizzato un incontro tra una classe di Torino e una di Matera.

All'inizio tutti si guardavano con sospetto, ma piano piano i ragazzi cominciarono a conoscersi e divennero amici tra loro.

L'ultimo giorno tutti si ritrovarono in palestra e il bidello cominciò a suonare con la sua fisarmonica alcune musiche che non appartenevano di certo al bagaglio culturale dei ragazzi presenti in quella palestra.

Tutti sentirono però l'esigenza di ballare e così i maschietti cominciarono ad invitare le ragazze e danzarono.

Enrico è un ragazzo intelligente, ma sta fermo nel suo angolino. Enrico vorrebbe tanto ballare e vorrebbe invitare quella bella morettina dagli occhi color del cielo che ha notato fin dal primo giorno.

Enrico è sordo, non sente quella musica.

Io sono il suo insegnante.

Enrico è intelligente, è sveglio, ha imparato a leggere le labbra in poco tempo, apprende velocemente.

Mi avvicino e gli dico: «Enrico vuoi ballare?»

Lui annuisce.

Io sono il suo insegnante, devo insegnargli a ballare.

Allora lo guardo, ci posizioniamo pronti a danzare e comincio a tenere il tempo con la testa e con il mio braccio sulla sua spalla. Continuiamo un po'.

Enrico è sveglio, piano piano fa suo quel tempo, è motivato, vuole danzare con la bella morettina. Impara a ballare. Lo lascio, va dalla ragazza e la invita. Ballano, ballano, ballano.

E lui danza e gira e ruota e si muove e se ne andrà, chissà dove, chissà come...

Enrico è sordo e anche se sembrava impossibile, io, gli ho insegnato a danzare.

Questo racconto mi ha commossa. Penso riassuma in breve tutto ciò che noi insegnanti facciamo con i nostri allievi.

Gli insegniamo ad andare a tempo.

Non sapremo mai esattamente dove andranno e se arriveranno da qualche parte, avremo paura a lasciarli andare, ma il giorno dell'addio presto o tardi arriverà e li libereremo nel turbinio del mondo fatto di mille danze. Se saremo stati bravi balleranno. Eccome se balleranno.

La storia di Enrico e del suo insegnante parla anche di me. Io mi sento quel tipo di insegnante e mentre Capra racconta, annuisco.

Poi scende una lacrima e un'altra. Mi commuovo e ho la famosa illuminazione.

L'insegnamento è una delle mie priorità perché mi emoziona!

Quel giorno, accoccolata tra i miei pensieri, sapevo che la strada che stavo seguendo era quella giusta.


Storie di classeWhere stories live. Discover now