Dieci

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Matt

Liz appoggia la mia seconda birra sul tavolo e si allontana dopo essersi lasciata ringraziare. Non ne bevo subito un sorso, mi rigiro solo il bicchiere fra le mani, osservandone il contenuto ambrato. Sollevo lo sguardo su Danni, sempre seduta di fronte a me, intenta a parlare. Si scosta appena la frangetta e sorride mentre racconta di com'era sembrata, vista da fuori, la meta assurda del mio amico Paul contro la Scozia nello scorso torneo Sei Nazioni. Il suo boccale di birra è ancora mezzo pieno e mi piace che mentre parli, di tanto in tanto, lo sfiori con le sue mani affusolate ma non troppo curate. La sua compagnia si sta rivelando molto più piacevole del previsto. Quando prima le ho chiesto se le andava di venire a bere qualcosa sapevo perfettamente che avrei dovuto fare il possibile per evitare che la conversazione scemasse; in fin dei conti non ci sarebbe stato niente di sconvolgente nella cosa: io e lei non ci conosciamo ancora. Non sono riuscito a rinunciare all'occasione di avere della compagnia con qui trascorrere qualche ora e non è male riuscire ad approfondire, al contempo, la conoscenza con questa ragazza. Al terzo tempo, sabato, Danni mi ha fatto davvero una buona impressione, quindi non ho capito perché lasciarsi scappare l'opportunità di vedere se questa mia prima impressione su di lei fosse giusta o sbagliata.

Al momento sono contento che abbia accettato il mio invito; è socievole, alla mano e ne sa davvero parecchio di rugby. Oltretutto non ha ancora fatto alcun tipo di domanda fuori luogo, ovvero riguardanti i test match di novembre.

Si mette a ridere ricordandosi un aneddoto della sua amica – una certa Jenna – accaduto lo stesso giorno di quella partita. La imito e subito dopo le dico:

«Certo che ne sai davvero parecchie di cose sul rugby. Non che sia una rarità qui da noi, va detto, ma ammetto che le tue conoscenze sono molto approfondite»

Si stringe nelle spalle:

«Sono un'appassionata, tutto qui»

«Da quanto lo segui?»

«Beh, guardavo le partite con mio padre già a cinque anni, perciò direi che sono venti anni che seguo questo sport»

«Questo spiega molte cose» le dico, sorridendo.

Anche lei sorride, ma non replica, così sono nuovamente io a prendere parola:

«Hai mai pensato di giocarci?»

«A rugby?»

Annuisco:

«Sì. Ce ne sono svariati di club femminili qui in giro»

Si sbriga a rispondere; pare quasi che abbia pensato di aver fatto la domanda sbagliata:

«Lo so. Comunque sia, ci giocavo, quando ero piccola. Poi, quando non era più possibile avere le squadre miste, mio padre ha preferito che io non giocassi più. Così mi sono buttata sulla lettura»

«Davvero?»

«Già. Per lui "squadra femminile" era sinonimo di "rugby serio" e non voleva che tornassi a casa con qualche cosa di rotto. Dato che la quota di iscrizione la pagava lui e io ero poco più che una bambina, ho dovuto sottostare alle sue decisioni»

«Capisco. Io invece ho fatto un po' il processo inverso» comincio, dopo aver bevuto un sorso di birra e sentendo il bisogno di renderla partecipe della cosa: «I miei genitori volevano che giocassi a calcio e per un po' l'ho fatto. Ma, personalmente, odiavo quello sport, non faceva per me. Così, a sedici anni, sono riuscito a convincerli a lasciarmi giocare a rugby e, per fortuna, hanno accettato»

«Hai un talento innato per questo sport, allora» dice, alzando le spalle.

«Trovi?» le chiedo.

Cenerentola non lucidava palloni da rugbyOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz