Un'altra volta - Parte prima

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South Carolina,

3 ottobre 1961

Era mattina presto quando Wendy scese dal vecchio furgoncino di famiglia, di fronte l'entrata principale dell'hotel dove alloggiava Justin da qualche giorno. Si sgranchì per bene le gambe e roteò il collo un paio di volte, troppo stanca e affaticata. Non chiudeva occhio oramai da giorni e addirittura, la notte precedente si era presa la briga di starsene da sola sul divano, distante il più possibile da Mark. Non se la sentiva di dormire di fianco a lui; non in quel momento, non dopo l'uragano improvviso di emozioni che aveva portato con sé Bieber.

Era uscita di casa velocemente, senza destare i sospetti di quell'uomo che avrebbe dovuto sposare, nonostante si stesse chiedendo da giorni se in fondo era quello che più desiderava. Scacciò via quel pensiero fuori luogo e trattenne il fiato, avvicinandosi sempre di più all'interno della hall. Il lussuoso lampadario come di consueto catturò la sua attenzione e quando abbassò lo sguardo, notò il cameriere che qualche sera prima era stato tanto gentile e cortese da accompagnarla al tavolo. Ricordava ancora lo sguardo dispiaciuto di lui quando Wendy scappò a gambe levate con il volto coperto di lacrime. 
"Posso aiutarla?" domandò quest'ultimo, come se non sapesse.
Wendy esitò qualche secondo, chinando il capo di lato, lasciandosi trasportare dagli occhi chiari dell'uomo; scosse di poco il capo successivamente costringendosi a chiedere di Justin, ma non ricevette risposta seduta stante. L'uomo di canto suo si guardò per bene intorno e tossì leggermente per schiarire la voce.
"Non posso lasciarla passare" ammise, tornando ad occuparsi delle proprie scartoffie.
La giovane sgranò gli occhi, incredula. La conosceva, -si fa per dire- sapeva chi era e perché si trovasse lì. Era stato lui stesso a leggere il suo nome su quello stupido quaderno due sere precedenti, cosa cambiava?
"Come?" domandò incredula.
L'uomo scattò sull'attenti, avvicinandosi cautamente alla figura di Wendy che si sporse per capire ed ascoltare cos'aveva da dire.
"Senti, non posso davvero questa volta. Mi dispiace" sussurró l'uomo cercando di mantenere la calma.
Dalla sua voce roca si enunciava agitazione e dai suoi occhi traspariva la più sincera preoccupazione.
"È urgente, mi creda" bisbigliò Wendy.
L'uomo la scrutò accuratamente da capo a piedi e dopo qualche secondo di meditazione, sbuffò e scosse di nuovo il volto per negare l'accesso alla giovane.
"Mi dispiace ma gli ordini sono ordini.
Il Signor Bieber ha espressamente ordinato di non voler essere disturbato" continuò sicuro.
Wendy sbuffò di malavoglia e incrociò le braccia al petto, come una bambina il che fece sorridere lievemente l'uomo.
"Sono sicura che se gli dice che sono io, sarà lieto di vedermi" aggiunse cercando in tutti i modi di convincere il moro.
Quest'ultimo riflettette, pesando per bene le parole della giovane, valutando l'ipotesi di lasciarla definitivamente andare, ma perché mettere a rischio il proprio posto di lavoro per una ragazza cocciuta?
Il moro sbuffò, strofinando il volto.
"E va bene, tenterò. Sappi però che se non potrai dovrai andartene"
Wendy annuì non preoccupata; Justin aveva avuto le sue ragioni per richiedere di non essere assolutamente disturbato, ma la giovane era sicura che l'avrebbe lasciata passare.
Quando l'uomo scomparve dietro un angolo, Wendy rimase da sola e aspettò tutto il tempo da tale, poi vide il moro tornare, composto e serio.
"Mi dispiace..." non riuscì a concludere la frase perché un'altra voce maschile fin troppo conosciuta richiamò l'attenzione di entrambi.
"Wendy" l'apostrofò Sebastian, a denti stretti. La giovane distolse lo sguardo dal moro che le era di fronte per concentrarsi sulla figura dell'amico; notò i pugni stretti verticalmente al pavimento, la mascella contratta e lo sguardo ridotto a due fessure.
"Lei è con me" aggiunse rivolgendosi all'uomo che un po' titubante lasciò andare Wendy, la quale oltrepassò la hall seguita a ruota da Sebastian.
"Per motivi di sicurezza a Justin è stato vietato di incontrare estranei...q-questo però non è il tuo caso" si corresse smanettando. Non parve molto convinto delle sue parole, anche perché il cameriere si era gentilmente preso la briga di andare a domandare direttamente a Justin, ma quest'ultimo aveva rifiutato. Che fosse successo qualcosa di grave? Fatto stava che Wendy si sentì profondamente offesa.
"Sei venuta a trovarlo?" domandò di punto in bianco l'amico, richiamandola all'attenzione.
"Vorrei parlargli" disse Wendy. "Urgentemente" aggiunse marcando per bene ogni singola sillaba.
Sebastian passò una mano tra i capelli e si fermò dinanzi al bancone ove una donna elegante porse al giovane una chiave che afferrò sorridente, ringraziandola.
"Non è il momento più adatto, fidati" disse in fine.
La giovane si bloccò prima ancora di poter mettere piede sul primo gradino, cercò di capire il perché di tale affermazione ma le fu alquanto impossibile.
"Che intendi dire?" domandò preoccupata. E se fosse davvero successo qualcosa?
"È solo un tantino occupato" si affrettò a rispondere Sebastian, il quale a confronto dell'amica era già arrivato a destinazione su per la rampa, mentre Wendy fin troppo pensierosa faticò a raggiungerlo.
"Occupato?"
"Esatto, solo occupato. Nulla di grave" esclamò inserendo nella serratura della sua stanza, la 123, la chiave occorrente.
"Sebastian dimmi la verità...è successo qualcosa?" domandò incrociando le braccia al petto.
"Cosa te lo fa pensare? Sta benissimo. Sono io che rischio di essere rinchiuso in un manicomio a causa sua" ammise irrompendo nella stanza.
Wendy corrugò la fronte sempre più titubante e, prima ancora che la porta potesse chiudersi, la bloccò con un piede ed una mano, scrutando la figura di Sebastian intenta ad afferrare la cornetta del telefono. Il giovane imprecò quando dall'altro capo del telefono nessuno rispose e si buttò a peso morto su una nera poltrona, di fianco ad un tavolino in legno colmo di alcolici.
"Entra, non stare lì impalata" bisbigliò massaggiando una tempia, successivamente afferrò il pacchetto di sigarette da dentro i pantaloni e ne portò una sulle labbra.
"Mi ero ripromesso di smettere" disse accendendo sulla punta il piccolo oggetto intrappolato tra le sue rosee labbra e quando tirò dentro, socchiuse gli occhi evidentemente stanco.
Wendy fece come le era stato detto e si appoggiò con la schiena alla porta ormai chiusa, attendendo che l'amico preferisse parola.
"Tra due settimane ha un incontro davvero importante" iniziò stringendo una mano in un pugno.
"Saremmo già dovuti essere tornati a casa da tempo, non può rinunciare i patti sono stati chiari: o da tutto sé stesso oppure addio sponsor e addio carriera" continuò.
Wendy non potrete che sentirsi in colpa: che fosse lei il motivo di questo non voler tornare a New York da parte di Justin?
La mora abbassò lo sguardo e quando sentì gli occhi di Sebastian puntati sulla sua figura, si sentì maggiormente un peso.
"Non è colpa tua se è quello che stai pensando" si affrettò a dire.
La giovane annuì, andandosi a sedere sul bordo del letto dinanzi a Sebastian il quale, dopo interminabili secondi di imbarazzante secondo, si avvicinò con la poltrona.
"Ritrovarti è stata la cosa migliore che gli potesse capitare" cominciò sorridendo. Wendy sentì gli occhi pizzicare e bruciare ma si costrinse a tirare su con il naso, senza piangere, era stufa di farlo.
"Sono contento che ti abbia rivista, che vi siate parlati e chiariti dopo dieci anni" a quanto pareva anche per Sebastian fu difficile trattenersi dal piangere, visto e considerato che tirò su con il naso fin troppe volte. "E lo stesso vale per me, vederti di nuovo è stata una sorpresa" continuó spingendosi e afferrando le mani della giovane che sussultò dall'imbarazzo. Quando lui puntò i suoi occhi chiari in quelli di lei, la giovane rabbrividì, percependo dolore, paura, terrore. Qualcosa non andava, lo capì in quell'istante ma non potette far a meno che attendere Sebastian, sperando che preferisse parola il prima possibile perché quello sguardo le stava bruciando addosso.
"Ha bisogno di te Wendy, più di quanto tu possa immaginare. Non lasciarlo di nuovo, torna con noi a New York, torna da lui" si bloccò.
Wendy socchiuse labbra e si rese conto che quella altro non era che una vera e propria supplica. Le parole strozzate di Sebastian, quegli occhi lucidi e quel tremolio preoccuparono fin troppo Wendy. Perché tanto terrore?
"Sebastian..." lo apostrofò incerta. "Non posso, mi dispiace. È qui la mia vita oramai; qui ho Mark, i miei genitori, la mia casa, il mio futuro. Non posso rimpiangere il passato, anche se..." si bloccò non appena si rese conto di cosa effettivamente stava per dire. Si era ripromessa di non dichiarare nessuno dei sentimenti che provava nei confronti di Justin, sempre e solo per il bene di tutti.
"Anche se cosa Wendy? Anche se non hai mai smesso di pensare a lui? Anche se ti batte ancora oggi il cuore a mille ogni volta che lo vedi? Anche se vorresti baciarlo, abbracciarlo e sentirti protetta fra le sue braccia costantemente? Anche se lo ami?"
Wendy scattò in piedi sentendo una lacrima rigarle il viso, percependo le gambe deboli e il respiro pesante: era vero, era tutto fin troppo e dannatamente vero. Lo amava, non aveva mai smesso di farlo ma erano cambiate troppe cose, era trascorso troppo tempo e non erano più dei ragazzini, non avevano più la possibilità di sognare, di costruire progetti per il futuro. Erano cresciuti e soprattutto, erano costretti a vivere le loro vite per quello che erano. Non era più concesso loro trasgredire le regole e di non dare retta ai pareri altrui: avevano delle responsabilità ed erano tenute e rispettarle, senza mettere di mezzo un amore di dieci anni prima, quello che Wendy aveva sempre definito, scioccamente, una cotta adolescenziale. Lo avrebbe amato sempre, per il resto della sua vita avrebbe ricordato i suoi occhi, i brividi che le percorrevano la spina dorsale quando si univano in uno dei loro indescrivibili baci, ma tutto questo in silenzio, con la distanza di mezzo.
"Non posso Sebastian, non più" passò il palmo di una mano su ambedue le guance e si diresse verso l'uscita. "Convincilo a tornare a New York, è la cosa migliore per tutti. Se ne farà una ragione" detto ciò aprì la porta.
"E tu riuscirai a fartene una ragione?" domandò Sebastian, ancora seduto sulla poltrona.
Wendy si voltò lentamente, sorridente.
"Ti voglio bene Sebastian, è stato un piacere rivederti" concluse, uscendo definitivamente dalla stanza.
Si appoggiò con la schiena alla porta di legno e si lasciò definitivamente andare, premendo una mano sulle labbra per soffocare i gemiti e i singhiozzi. Pianse a diritto e scese le scale facendo attenzione a non cadere per via dello sguardo offuscato, asciugò le guance ma fu tutto inutile, tempo un attimo e altre lacrime erano pronte a rigarle il volto. Quando oltrepassò la hall non potette far a meno che voltarsi verso la figura dell'ormai celebre uomo in divisa che l'avrebbe sicuramente definita una pazza, visto che ogni volta che metteva piede in quel posto, ne usciva con gli occhi gonfi e il volto zuppo.
Uscì di corsa senza destare ulteriori sospetti e si intrufolò nel suo furgoncino, battendo le mani bruscamente sul manubrio. Si stava odiando come non mai: morse il labbro cercando di trattenersi dal gridare a pieni polmoni, poi guardò la sua figura attraverso lo specchietto retrovisore: era un disastro. Mise in moto e tornò in tutta fretta a casa con migliaia di pensieri che le torturavamo la mante, con mille paranoie e decine di lacrime. Fu costretta a rallentare di tanto in tanto a causa delle vista per niente lucida ma quando fermò dinanzi la sua abitazione avviò tutto d'un tratto: una piccola auto blu era parcheggiata proprio dinanzi al garage, incrociò le braccia al petto sperando che non fossero proprio coloro che non avrebbe voluto vedere per nessuna ragione al mondo in quel momento. Uscì dal furgoncino e chiuse bruscamente lo sportello, roteando gli occhi al cielo non appena la voce squillante di una donna le perforò i timpani. Non poteva crederci, Mark era stato davvero tanto menefreghista da non farne parola con lei? Sospirò amaramente entrando in casa, sentendo l'ansia salire alle stelle e la rabbia ribollire nei confronti di Mark.
Quando irruppe nella sala da pranzo, tre paia di occhi le si puntarono contro, facendola maledire mentalmente.
"Buongiorno" disse cercando di forzare un sorriso.
Il padre di Mark si alzò dalla poltrona, diretta in direzione della giovane che lo salutò con due baci casti sulle guance.
"Eccola qui la nostra sposina" aggiunse accarezzandole le spalle, scrutando per bene il volto di Wendy da dietro gli spessi occhiali da vista.
La giovane sorrise come risposta, sentendo lo sguardo di Sarah, la madre di Mark e soprattutto suo peggior incubo bruciarle addosso. Se gli sguardi potessero uccidere, Wendy sarebbe già morta e invece no, sarebbe stata costretta anche quel giorno a subire stupidi discorsi su quanto sia importante la scelta dei confetti. Una donna tanto amichevole che neanche si permise in quel momento di salutare a dovere Wendy, ma tanto quest'ultima non ci fece più di tanto caso, era abituata a sopportare la sua arroganza.
La donna aveva odiato la giovane dal primo momento e la cosa era pertanto reciproca; Wendy non sopportava quel suo credersi superiore, quella sua tendenza a doversi trovare al centro dell'attenzione, sempre e comunque. Il padre di Mark invece, il signor Jason, lui sì che lo adorava; come può un uomo tanto dolce e premuroso, convivere con un'arpia del genere? Se lo chiedeva spesso Wendy. In tal caso è proprio vero che gli opposti si attraggono.
Mark si alzò dal divano non appena notò lo sguardo furioso della giovane che dovette trattenersi dall'imprecare dinanzi a tutti una volta udita la stridula voce di Sarah.
"Dove eri finita?" domandò la donna, sventolando a mezz'aria un ventaglio nero. Wendy non rispose alla provocazione e indicò la porta, facendo intendere a Mark di doverla seguire. Jason corrugò la fronte non capendo e grattò la nuova calva.
"C'è qualcosa che non va?" domandò andandosi a sedere di fianco alla moglie dove pochi secondi prima era accomodato Mark.
"Nulla di cui preoccuparsi" sorrise falsamente la giovane, cercando di non incontrare le chiare iridi di Sarah. Era più forte di lei, proprio non riusciva ad andarle a genio. Aveva ragione Harry quando diceva alla sua adorata figlia di lasciar stare quella vecchia arpia, che le avrebbe solo complicato la vita.
Mark era l'opposto della madre per fortuna, per tanto non avrebbe mai dato retta al padre, neanche quando sul punto di morte le chiese se sposare quell'uomo con addosso uno dei tanti gilet, era davvero quello che più desiderava.
Mark seguì Wendy a ruota, rassicurando i genitori e chiudendosi la porta della cucina dietro.
"Quando avevi intenzione di dirmelo?" chiese Wendy incrociando le braccia al petto, furiosa.
"Non ne ho avuto occasione, questa mattina avrei voluto parlartene ma sei uscita senza neanche avvisarmi" si giustificò l'uomo, poggiando le mani sul tavolo e respirando pesantemente.
"Avresti dovuto dirmelo prima di questa mattina! Sai che tua madre non mi sopporta, mi sarei almeno preparata psicologicamente ad affrontare le sue stupide critiche sul mio modo di sedere o di cucinare!" esclamò la giovane al limite.
Mark puntò il suo sguardo penetrante in quello della donna che avrebbe dovuto sposare e cercò di mantenere la calma stringendo le mani in due pugni sul tavolo.
"E quando avrei dovuto dirtelo? Questi ultimi giorni non ci sei stata per niente a casa. Ieri sera hai addirittura dormito sul divano! Ho fatto qualcosa di sbagliato? Dimmelo perché io davvero non riesco a capire" sbraitò saturo.
Wendy cercò di replicare ma si zittì, sentendo l'ormai conosciuto senso di colpa perforarle il petto: Mark non aveva fatto niente di sbagliato, anzi a commettere errori di continuo era stata sempre e solo lei. Non era colpa di Mark se ogni volta, in quegli ultimi anni trascorsi in sua compagnia, Wendy immaginava due iridi caramellate al posto del nero pesto, immaginava ciuffi dorati al posto di capelli scuri, immaginava Justin al posto di Mark.
Ciò che aveva cercato di evitare stava accedendo e purtroppo nessuno avrebbe potuto mettere fine a tutto ciò; si era ripromessa di non far soffrire Mark per nessuna ragione al mondo ma quelle parole pronunciate da lui con tanta rabbia, fecero capire a Wendy che purtroppo non ci era riuscita. Mark era quello che stava patendo più di tutti in quel momento, colui che purtroppo si era ritrovato vittima di un amore non corrisposto perché Wendy è vero, lo adorava, lo stimava e gli voleva bene...ma non lo amava.
Si sentì in colpa, si odiò, cercò di rimediare in tutti i modi ma fu inutile; aveva illuso senza scrupoli un uomo che le era stato accanto nei momenti più bui e questo non se lo sarebbe mai perdonata, ma al cuor non si comanda.
Udiva la voce del padre che le diceva di tentare, di vivere, di rischiare ma soprattutto di amare.
Socchiuse gli occhi non riuscendo a sorreggere lo sguardo di Mark e ripetette a mente le parole del padre, raccolse tutto il coraggio e sgranò gli occhi sicura.
"Mi dispiace Mark" disse, abbassando lo sguardo sulle sue vecchie scarpe.
Le dispiaceva davvero, ma rivedere Justin, poterlo rincontrare aveva scatenato in lei tante di quelle emozioni, fin troppe, impossibili da evitare.
Era tornata a credere nell'amore, aveva ricominciato a sperare.
"Non preoccuparti piccola" sussurró l'uomo, avvicinandosi lentamente verso Wendy ma quest'ultima si scansò prima ancora di poter ricevere l'abbraccio.
Abbassò lo sguardo e pensò alle parole pronunciate da Sebastian quella stessa mattina: una settimana prima non avrebbe neanche immaginato di poter tornare a New York, eppure un quel momento sentiva la necessità di ricominciare tra quelle vie, tra migliaia di cartelloni pubblicitari e luci ogni dove, tra una valanga di emozioni. Rock Hill era una bellissima cittadina ma, nonostante lo avesse negato a sé stessa per troppo tempo, niente di quel posto sarebbe riuscito a sostituire la tanto amata New York, la città che non dorme mai.
Stava correndo troppo? Forse. Stava di fatto che in quel momento avrebbe seguito il cuore, piuttosto che dare retta alla ragione.
Desiderava tornare a New York e lo avrebbe fatto, con o senza Justin; c'entrava poco e niente Bieber. Con o senza il biondo sarebbe tornata in quella città e nessuno glielo avrebbe vietato.
Mark chiese spiegazioni con lo sguardo ma Wendy avrebbe preferito sottomettersi, piuttosto che guardarlo dritto negli occhi.
"Mi dispiace Mark, ma io non ce la faccio" disse con voce tremante. "Non riesco più a vivere nella menzogna" a quelle parole, l'uomo indietreggiò d'istinto, lasciando un vuoto incolmabile fra i due.
"Ti sono grata e te ne sarò per sempre. Mark ci tengo a te, più di quanto tu possa immaginare" tirò su con il naso, costringendosi a continuare.
"È per il matrimonio? Se ti sembra tutto troppo affrettato possiamo rimandare e..."
"No!" lo interruppe di punto in bianco. "Non ho mai voluto farti soffrire, ho sempre cercato di farmene una ragione. Ero convinta che vivere qui, lontano da tutti sarebbe stata la cosa migliore ma così non è stato. Ci tengo a te..." afferrò la mano dell'uomo, il quale esitò. "Ma questo non è quello che io desidero e per troppo tempo ho pensato a cosa avrebbero voluto sentirsi dire gli altri, piuttosto che pensare a quello che desidero io realmente. E non è questo quello che voglio" si bloccò, stringendo la mano di Mark.
"Cosa stai insinuando?" chiese il moro con voce strozzata.
Wendy sentì una morsa nello stomaco, accompagnata da scariche di brividi nell'ammirare gli occhi lucidi di Mark.
"Meriti qualcuno che ti ami con tutto il cuore, qualcuno che apprezzi i tuoi sacrifici e il tuo buonismo. Quel qualcuno non sono io" ammise, cercando di non piangere ancora una volta. Mark scioccato ritrasse la mano lentamente.
"Stai dicendo che..." cercò di dire ma si bloccò, evidentemente scosso.
"È meglio intraprendere ognuno il proprio cammino, esaudire i propri desideri, amare qualcuno che merita il nostro amore" concluse la giovane.
L'uomo rimase immobile dinanzi alla figura della donna che avrebbe dovuto sposare, cercando di proferire parola ma gli fu tutto inutile. Ella si avvicinò cautamente, senza risultare invadente e si alzò sulle punte, come faceva ogni volta quando baciava Mark, molto ma molto più alto di lei.
"Abbi cura di te. Sei un uomo speciale, troverai la tua persona speciale" sussurrò la mora nell'orecchio di lui. Senza aggiungere altro sussurro o gesto, scattò fuori dalla cucina e non avendo il coraggio di salutare il signor Jason e la voglia di dire addio a Sarah, scappò via da quella casa che per troppi anni era stata una prigione, un incubo senza fine che finalmente si sarebbe concluso, in un modo o nell'altro. Una volta chiusa violentemente la porta principale, si lasciò andare e pianse, cacciando via tutto quello che si era tenuta dentro fino a pochi secondi prima.
Mark non lo avrebbe mai dimenticato, una persona tanto buona nessuno se la farebbe scappare ma Wendy aveva già conosciuto da tempo il suo unico, grande amore. Mark le era stata accanto, ma lei non era mai stata in grado di immaginarsi all'altare di fianco a lui.
Purtroppo la vita ci regala sempre due grandi amore: l'uomo o la donna che sposeremo, e colui che ameremo per sempre nonostante tutto, quella persona che resterà impressa nella nostra memoria ogni giorno che avremo da vivere. Wendy aveva avuto la fortuna di incontrare Mark lungo il suo lungo e tormentato cammino, le aveva insegnato molto ma la vita le stava regalando la possibilità di poter rivivere il suo grande amore, di coronare il suo sogno con colui che aveva amato più di tutti.
Cominciò a piovere a dirotto, il che non agevolò per niente la giovane che, una volta parcheggiato dinanzi l'hotel, scese in fretta e furia senza preoccuparsi della pioggia.
In un batter d'occhio si ritrovò fracida da capo a piedi, con le braccia conserte a causa del freddo e gli occhi ridotti a due fessure; i capelli le si erano appiattiti in testa e incollati sul volto mentre le gambe tremanti dall'eccitazione si bloccarono davanti l'entrata principale. Fissò a lungo la sua figura sulla porta in vetro, ripercorrendo con la mente quegli ultimi anni, ricordandosi da ragazzina e vedendosi da donna; quante ne aveva passare ma soprattutto quante ne avrebbe passate ancora.
L'avrebbero presa per pazza se non fosse entrata, sentiva lo sguardo dei passanti bruciarle addosso e i bisbigli di coloro che stavano commentando la stramba scena.
Quando la porta si aprì di colpo e due occhi caramellati, accompagnati da un sorriso a trentadue denti le si piantarono davanti, tutto intorno a Wendy perse di significato e smise di muoversi; dalle auto ai passanti. Vi erano solo lei, lui e le centinaia di goccioline che cadevano a terra. Anche la sua personale guardia del corpo parve essersi smaterializzata, lasciandoli da soli. Justin si fermò sul ciglio della pporta corrugando la fronte a squadrando da cima a fondo il corpo infreddolito della donna.
"Wendy? Entra dentro, prenderai un accidenti!" esclamò, affermando dalle mani dell'uomo che gli era di fianco un ombrello. Si avvicinò a Wendy, la quale si ritrasse, facendo sobbalzare incredulo Justin.
"Wendy che ti prende?" chiese preoccupato, cercando di riparare ancora una volta la giovane dalla pioggia ma fu tutto inutile perché ella si scansò ulteriormente. "Smettila di scherzare!" sbraritò ma fu subito interrotto dalla voce flebile di Wendy.
"Ho passato dieci anni della mia vita a sperare di poter finalmente vivere felice, nella casa dei miei sogni, con l'uomo dei miei sogni e circondata da bambini. I miei bambini" cominciò, facendo sussultare Justin che non se lo sarebbe mai aspettato.
"Parliamone dentro..." cercò di farle cambiare idea ma senza successo.
"Ho trascorso dieci anni della mia vita a cercare di dimenticarti, a ripetermi che il passato deve rimanere tale. Non ci sono mai riuscita, anche quando ho creduto scioccamente di poterti stare lontana" si lasciò sfuggire un sorriso.
Justin socchiuse le labbra, respirando faticosamente e tenendo lo sguardo fisso negli occhi di Wendy; no, non se lo sarebbe davvero mai aspettato.
"Sei l'uomo della mia vita Justin, l'unico che amerò, il ragazzo di venti anni che mi ha cambiata in meglio. Non voglio perderti di nuovo, non adesso che ti ho ritrovato"
Justin fece cadere l'ombrello a terra, lasciando alla pioggia il via libera per bagnarlo da capo a piedi.
"Sei l'uomo che voglio al mio fianco per il resto dei miei giorni, il padre dei miei figli, l'uomo che voglio amare senza sosta" quasi urlò Wendy, richiamando l'attenzione di troppe persone ma poco le importò: finalmente dopo anni era riuscita ad esprimere i suoi più profondi sentimenti, senza dare peso a tutto il resto. Prima ancora di concludere, si avvicinò con uno scatto felino davanti a Justin afferrandogli il volto con entrambe le mani. 
"Amami ancora un'altra volta, come io ho fatto, sto facendo e farò per sempre" sussurrò sulle labbra di lui. Un attimo dopo erano già intenti a baciarsi: Justin esitò qualche secondo preso alla sprovvista, quando però accerchiò i fianchi di Wendy con le mani e premette il suo petto il più possibile con quello di lei, il bacio si intensificò a tal punto da far rabbrividire la giovane ogni qual volta sentiva le loro lingue cercarsi. Wendy accarezzò le guance di Justin facendolo gemere, rendendosi conto di essere tanto dipendente dai baci di lui.
Si baciarono per interi minuti, sotto lo sguardo curioso di tutti, sotto la pioggia, finalmente insieme.

***

Ho scritto l'intero capitolo dal cellulare, mi sto sentendo male sappiatelo. Sono le dieci passate e domani ho scuola ma ho preferito aggiornare, senza perdere altro tempo. Che dire, adoro questo capitolo con tutta me stessa anche se ho dovuto dividerlo in due parti perché altrimenti sarebbe stato tremendamente lungo.

Allora, cosa ne pensate? Avrei tanto voluto aggiornare ieri ma sono rimasta talmente tanto sconvolta dalla morte di Prince che sono stata tutta la sera ad ascoltare la sua discografia e tutt'oggi non posso crederci.

Spero che vi sia piaciuto come capitolo e se pensate che tutto sia rose e fiori beh, vi sbagliate. Non aggiungo altro, solo arrivederci al prossimo capitolo. Mi scuso inoltre per gli errori, se ve ne sono.

Un bacio.

Giulia

Tutto Il Coraggio Del MondoWhere stories live. Discover now