3. It Wasn't Anyone

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  Il giorno dopo, il dolore divenne incontrollabile. Anche dopo ripetute applicazioni della pomata di Luke, la situazione non cambiava, e Frank fu costretto a disdire il suo ultimo appuntamento quando uno spasmo gli fece quasi bucare il cranio a un tizio, durante la routine quotidiana.

«Cristo,» grugnì Frank, incurvato su una sedia nella stanza sul retro, entrambe le mani premute contro il petto. «Cazzo, cazzo, ma che cazzo mi sta succedendo adesso?»

Brian era in piedi in angolo della stanza, fissando Frank con le braccia incrociate e le labbra arricciate come se avesse appena mangiato un cesto pieno di limoni. «Mi stai prendendo per il culo, Frank, vero?»

Frank aprì la bocca, con l'intenzione di mandare Brian a fanculo, ma una nuova ondata di dolore lo investì partendo dai polsi, e tutto quello che gli uscì fu un gemito.

«Non credo stia fingendo, Brian.» Ray era accovacciato vicino alla sedia, sfregando un ginocchia a Frank con la mano. «Credo abbia bisogno di un dottore»

Frank sollevò la testa e l'appoggio allo schienale della sedia. «Amico, non li reggo i luoghi di pubblica sanità»

Brian si accigliò. «Perché non puoi semplicemente-- »

«Gli hanno di nuovo negato il Medicaid (* n/t: assistenza medica finanziata dallo Stato per i meno abbienti) » disse piano Bob, appoggiato in un angolo.

Brian, che da sempre tentava di offrire loro tutte le comodità possibili, ma senza sapere come permettersele, lasciò scemare via la rabbia dal viso, sostituendola con senso di colpa. «Oh»

Frank chiuse gli occhi e si concentrò sul ritmo del respiro, evitando di rigettare a causa del dolore. Sentì una mano posarsi sulla sua spalla.

«Posso portarti io» si offrì Bob.

***

Alla fine, invece, venne Mikey e Bob li lasciò andare - si era offerto di cancellare l'appuntamento del pomeriggio, ma l'altro ragazzo gli aveva ricordato che quel cliente sarebbe partito per l'Africa settimana prossima, e che quindi non poteva disdire.

«Hai bisogno di qualcosa?» domandò Mikey a Frank, una volta aver riempito i moduli per lui, mentre aspettavano nella fila infinita tra ubriachi e straccioni in pessime condizioni di salute.

«Tuo fratello,» rispose Frank, senza pensare affatto, e poi desiderò mordersi la lingua. Che cazzo aveva intenzione di dire adesso, "perché tuo fratello ha mani con fottuti poteri magici e se i polsi non smettono di farmi male collasserò piangendo"?'

Mikey, tuttavia, non sembrò neppure molto sorpreso. Si limitò a sospirare: «Amico, aspetta, c'è una cosa che devi sapere su Gerard. Lui è-- »

«Gesù Cristo!» disse una voce, e Frank sollevò lo sguardo per trovare un viso fin troppo familiare intento a fissarlo con un'espressione esasperata. «Frank, che cazzo, pensavo fossimo d'accordo che non avrei più dovuto rivedere la tua faccia per almeno un mese»

Frank sorrise debolmente. «Salve, Dottor Durning»

Durning roteò gli occhi e gesticolò verso Frank. «Vieni, coglione, vediamo di fare in fretta. Ci sono anche altre persone in questo posto che hanno bisogno di cure, sai?»

«Mi sei mancato, che posso dirti?» Frank attese che Mikey raccogliesse la loro roba, poi seguì Durning in una delle stanze dell'ospedale.

Durning disse a Frank di sdraiarsi sul lettino, poi si mise un paio di guanti. «Cosa c'è 'sta volta, gli alieni fra le tue ossa o i troll delle caverne nello stomaco?»

«Uh,» Frank lanciò un'occhiata a Mikey, ma lui sembrò soltanto incuriosito. «Niente di tutto ciò, in realtà. E' che – mi fanno male i polsi»

Durning spostò lo sgabello così da essere di fronte a Frank, e accese la luce sopra le loro teste. «Male del tipo "Maratona di seghe" o del tipo "droidi che rubano calcio dalle tue ossa"?»

«Droidi con delle bombe» ribatté Frank. Strinse i denti e spostò lo sguardo quando il dottor Durning gli prese le mano e gentilmente gli fece distendere il braccio. «Ha cominciato due giorni fa»

«Qualche trauma che tu sappia? Ti sei mica buttato giù da un palazzo?»

Frank roteò gli occhi, per poi sibilare, quando Duning premette il pollice contro una delle sue vene. «Figlio di puttana, è successo solo una volta, okay, smettila di – cazzo, fa male – ripeterlo»

«Si è fatto un nuovo tatuaggio sulla mano» intervenne Mikey, ignorando l'occhiataccia che gli lanciò Frank. «E continua a metterci su questa strana schifezza»
Durning diede a Frank un'intensa occhiata, poi si voltò di nuovo verso Mikey. «L'hai portata?»

«Certo» Mikey la tirò fuori dallo zaino di Frank e la passò al dottore. «Tra l'altro, gli è scappato il cane, gli sono entrati i ladri in casa e potrebbe aver fatto letteralmente cadere le palle a un tizio»

«Mikey!» strillò Frank. «Ti ammazzo di botte!»

Mikey rimase imperturbabile. «Lo stress può manifestarsi in modi strani» disse, con aria consapevole.

Durning annusò la pomata, facendo una smorfia. «Puzza come mia nonna.»

«Ha detto la stessa cosa anche Bob» gli disse Mikey.

Durning agitò il barattolino verso di Frank. «Chi te l'ha data?»

«E' solo per il tatuaggio,» disse Frank, contorcendo nervosamente le dita con il bisogno di riprendersi il barattolino. «L'ha fatta il tizio che mi tatuato»

«Conoscevi questo tizio?» chiese Durning a Mikey.

«Nessuno lo conosceva,» Mikey scosse la testa. «Bob ci ha dato matto»

«Chi è Bob?»

«Il nostro tatuatore» Mikey scoccò a Frank uno sguardo quasi ferito. «Non dovremmo andare da nessun altro tatuatore, figurarsi da uno sconosciuto»

«Frank,» Durning scosse la testa. «Hai il sistema immunitario di un muffin al mirtillo, davvero, è già abbastanza stupido riempirti di schifo la pelle, il naso e Dio solo sa cos'altro, e adesso ti spalmi addosso anche un miscuglio fatto da un tizio che neppure conosci?»

«Sono solo erbe» disse Frank, stringendo i denti.

«Non sai che cosa sia» Durning prese una specie di cotton fioc, immergendolo nella sostanza, per poi gettare il piccolo arnese in un contenitore sterile. «Vedo se riesco a farmi fare un favore dal laboratorio, per analizzarlo. Le piante possono essere molto pericolose, Frank»

Frank roteò nuovamente gli occhi. «Non ho bisogni di un botanico, dottore, ma di dei cazzo di antidolorifici.»

«I tuoi polsi non sono neppure gonfi» disse Durning, alzandosi e levandosi i guantini. «Prova con impacchi caldi o freddi, riposo e movimento, e del Tylenol (n/t: paracetamolo)»

«Il Tylenol non fa un cazzo,» disse Frank, scendendo dal lettino. «Mi serve qualcosa di più forte, tipo Vicodin, qualcosa del genere, Oxy-- »

«OxyContin?» Durning incrociò le braccia sul petto. «Pensi davvero che ti prescriverei del fottuto OxyContin solo perché mi fai gli occhi dolci? Lavoro qui da quattordici anni, Frank, non sono uno stupido novellino.»

«E io non sono un fottuto tossico!» scattò su Frank. «Non riesco a lavorare in queste condizioni, andiamo»

Durning scrollò le spalle. «Il tuo amico ha detto che potresti solo essere sotto stress, perché non ti prendi qualche giorno di risposo?»

«Perderei il mio lavoro!» esclamò Frank bloccando la porta, quando Durning si voltò per andarsene. «Pensi davvero che sarei in questo buco schifoso se potessi permettermi dei giorni di riposo? Andiamo, tu mi conosci, Durning, per favore

La sua voce si ruppe sull'ultima parola e dovette abbassare lo sguardo, sentendosi accaldato e imbarazzato. La stanza rimase silenziosa, eccetto per il ronzio della lampada. Frank riusciva a scorgere le scarpe di Mikey, sul pavimento.

«Solo per due giorni» disse Durning finalmente. «E di Viodin, non Oxy. E' tutto ciò che posso fare.»

«Grazie,» mormorò Frank, resistendo all'impulso di abbracciare Durning. «Grazie.»

«Smetti di mettere quella schifezza sui polsi,» ordinò Durning, mentre se ne andava. «E non voglio più vederti per due mesi questa volta, intesi?»

«Intesi» affermò Frank.

Mikey tenne le pillole finché non arrivarono all'appartamento di Frank, impedendogli di prenderne una prima che fosse sdraiato a letto. «Altrimenti sarebbero scomparse»

Mikey andò in bagno, poi fece una chiamata nell'altra stanza. Quando ritornò, il Vicodin stava cominciando a fare finalmente effetto, diminuendo almeno un po' il dolore pulsante sotto la pelle di Frank. Frank aveva deciso di aspettare Mikey prima di infilarsi sotto le coperte, così si limitò a rotolargli più vicino, a pancia in giù.

Mikey gli spostò i capelli dal volto, avvolgendogli la spalla con un braccio magro. «Stai bene?»

«Non lo so» rispose Frank. Mikey sospirò a bocca chiusa, sfregandogli un po' la schiena. «Brian urlerà parecchio»

«Non urlerà» lo rassicurò Mikey. «Bob era davvero preoccupato. Brian non urlerà.»

«Urlerà» insisté Frank. «Mi urlerà addosso davanti a tutti, e sarà la cosa peggiore»

Mikey gli toccò la nuca. «Sei strafatto,» disse con affetto, ritirando il braccio. «E' meglio se dormi»

«Grazie per essere rimasto,» farfugliò Frank. «Hey, che volevi dirmi a proposito di-- »

Ci fu una frazione di secondo, tra l'impatto e il dolore, come essere colpiti da qualcosa di incredibilmente pesante; il suo respiro uscì prepotentemente dai polmoni, poi l'aria tornò dolorosamente a circolare, mentre sentiva la schiena in fiamme.

«Ma che cazzo...» disse con voce strozzata, e poi non riuscì più nemmeno a parlare, perché ormai, stava urlando.

Le ondate di dolore arrivarono una dopo l'altra , senza mai lasciare abbastanza tempo perché Frank riuscisse a recuperare il respiro. A malapena riusciva a respirare, in ogni caso – c'era qualcosa dietro di lui, qualcuno, che lo teneva giù, premendogli la testa contro il materasso, poteva sentirne le dita contro la pelle. Quel dolore era qualcosa che Frank non aveva mai provato prima di allora; era qualcosa che non veniva da dentro di lui, ma gravava su di lui, pesante, tagliente e grande, colpendolo dalla spalle alle ginocchia, su e giù, ancora e ancora e ancora. Tentò di girarsi, di muoversi, di sollevarsi dalle lenzuola e spostarsi, ma c'era quella mano sulla sua testa, e il suoi polsi erano legati, ora poteva sentirla, la corda, lacerare la sua carne ogni volta che si contorceva per liberarsi.

Poteva sentire Mikey urlare il suo nome, e Frank pensò, "Merda, merda, Mikey, scappa via da qui", ma un'altra dolorosa sferzata cadde tra la sue scapole, e sentì la propria pelle lacerarsi, con un grande, umida fitta, come tagliata profondamente da un pugnale.

E tutto questo non si fermò. Non si fermò affatto, stava sanguinando e ancora lo picchiavano, forse fino al punto di scuoiarlo vivo. Il dolore non era come un'onda o come aveva mai letto dovesse essere, adesso era costante, andava avanti e avanti, continuava, e lui ci stava affogando in mezzo, mentre gli riempiva il naso e le orecchie e la bocca, entrandogli dentro, perché lo sentiva ovunque, e non c'era posto in cui rifugiarsi. Provò a urlare, a chiedere aiuto, a pregare perché si fermassero, ma la sua voce era soffocata dal materasso e intasata di lacrime, usciva rauca fuori dalla sua gola, dolorane per le urla, e ogni suono che riuscisse ad emettere era coperto dai rumori esterni, come se vi fossero centinaia di persone, lì a mormorare l'una con l'altra.

"Come possono restare a guardare tutto questo?" pensò, "mi odiano", e poi un altro colpo cadde, un tagliente, disgustoso rumore sordo vicino al suo orecchio, e Frank sentì l'oscurità risalire fino a lui, entrargli dentro, nel profondo.

***

Quando si svegliò, vide il viso di Mikey, bianco come un cencio e rigato da lacrime asciutte, sporco di sangue.

«Merda,» gracchiò Frank, la gola asciutta e scorticata. «Mikey, ti hanno ferito? Ti hanno fatto del male?»

Mikey scosse piano la testa. Gli stava tenendo stretta la mano.

«Se ne sono andati?» volle sapere Frank, fissando attentamente le lenzuola rosse sotto il suo braccio. Ed erano bianche, prima.

Mikey scosse nuovamente la testa. La sua bocca era premuta in una sottile, pallida linea, come se stesso provando a non vomitare o a non scoppiare a piangere.
Frank prese alcuni profondi, lenti respiri, lottando a sua volta contro l'impulso di rigettare lì sul letto. «Mikey, chi era? Sono ancora qui? Chi era?»

«Non era nessuno,» rispose Mikey, la voce spezzata. «Non era – tu stavi urlando, ti dibattevi e poi, poi sanguinavi, e non c'era nessuno, qui»

Ci fu silenzio, per alcuni minuti. Il sangue nella vene di Frank pulsava a ritmo con il dolore palpitante che sentiva sulla schiena.

«Dovremmo chiamare un'ambulanza,» disse Mikey, alzandosi. «Dovremmo – merda, Frank, tu stai praticamente morendo dissanguato e io me ne resto seduto qui-- »

«Sto bene,» disse Frank. Mikey fece una specie di risata strozzata. «No, davvero, sto – penso di stare bene»

Era la verità. Faceva male, certo, a Frank sembrava di aver lottato contro una gigantesca grattugia per formaggio e di aver anche perso, ma non faceva male come – beh, come avrebbe dovuto. Mosse un poco le braccia e le gambe, cautamente: il movimento si ripercosse sulla schiena, ma non era insopportabile. «Mi daresti una mano ad alzarmi?»

«Non penso che dovresti muoverti» disse Mikey, ma venne verso di Frank comunque, mettendo le mani sotto le sue ascelle, aiutandolo a mettersi a sedere.

Muoversi era in effetti peggio, gli sembrò di avere la pelle tenuta insieme da ragnatele o qualcosa del genere, che avrebbero potuto strapparsi e cadere se si fosse mosso nel modo sbagliato. Ma andarono piano, e Mikey lo aiutò, finché Frank non riuscì a tentare di alzarsi dal letto, stringendo forte gli avambracci dell'altro ragazzo.

«Amico, tutto questo è incredibile» disse Mikey. «Tu sei incredibile.»

Frank ridacchiò piano, stringendo più forte la presa quando le ginocchia vacillarono sotto il suo peso. Mikey lo accompagnò fino al bagno, e il procedimento prese loro parecchio tempo ed impegno, e non era un viaggio che Frank voleva ripetere di nuovo. Si aggrappò al lavandino, provando a regolare il respiro. «Riesci a dare un'occhiata?»

Frank si preparò al peggio quando Mikey cominciò a sfilargli la maglietta, tirandogliela su fino alla testa, mormorando scuse ogni volta che Frank sibilava e trasaliva.

Allargò la cintura dei pantaloni di Frank, per poi abbassare anche quelli, facendogli sollevare i piedi per toglierli del tutto. Frank intravide un tagliuzzato, umido lembo di stoffa e chiuse gli occhi, ingoiando per tenere giù la nausea e l'acido che sentiva in gola. «Beh?»

Mikey non disse nulla per un secondo. Frank sentii i suoi polpastrelli freddi seguire la linea delle spalle, poi giù lungo la colonna vertebrale, un tocco attento sulla coscia. Poi disse, «Non stai sanguinando»

«Come?» Frank tentò di girare la testa per guardare, ma si bloccò quando la pelle tirò dolorosamente, sgridandolo. «Mikey, c'è sangue ovunque»

«Lo so,» disse brevemente Mikey. «E sei ridotto a un disastro, amico, sei – sei un casino, ma non stai sanguinando. Voglio dire, non più»

Frank appoggiò la fronte allo specchio sopra il lavandino. «Tutto questo è un casino»

«Anche quello,» disse l'altro, con apprensione.

Mikey lo aiutò ad entrare nella doccia, per poi entrare a sua volta, ancora in maglietta e boxer. Frank si aggrappò a lui e piegò la testa sotto il getto d'acqua, che pizzicò dolosamente sulla sua pelle, sicché dovette premere la faccia contro la spalla ossuta di Mikey e concentrarsi sul ritmo del proprio respiro.

Divenne una specie di Zen, dopo un po', se si concentrava sui piedi dell'amico ammollo nell'acqua, e non sul liquido color ruggine che spariva nello scarico. Mikey inizialmente tenne il getto fresco, per poi far scaldare l'acqua piano piano. «Fammi dare ancora un'occhiata,» disse, girando Frank perché si appoggiasse al muro.

Frank ci si accosciò contro, premendo il viso in fiamme contro le piastrelle fredde. «Davvero c'è rimasta ancora della pelle a cui dare un'occhiata?»

«Sì, amico, è davvero strano» Mikey premette il palmo della mano contro la sua nuca. «Non ci crederei se non avessi – è già praticamente guarita»

«Non mi sembra affatto fottutamente guarita,» disse Frank, incredulo. Poi gli venne un orribile pensiero: «Oh, dannazione, come sono conciati i tatuaggi?»

Ci fu silenzio.

«Fanculo,» mormorò Frank, sbattendo la fronte contro la parete con un tonfo.

«Bhe, almeno stai mantenendo il tuo senso della prospettiva» disse Mikey, secco, uscendo dalla doccia. Si tolse le calze, ovviamente bagnate. «Non muoverti, prendo un asciugamano»

«Non quello giallo, pizzica» esclamò Frank, alle sue spalle. Si sentiva abbastanza in forze per muoversi da solo, quindi camminò cautamente sul pavimento, piazzandosi nuovamente davanti al lavandino. «Mikey, riesci a portarmi lo specchio che c'è di là?»

Mikey ritornò con lo specchio richiesto e due asciugamani rosa. «Amico,» disse dubbiosamente, quando vide dove stava Frank. «Non sono sicuro che dovresti –»
«Voglio vedere,» lo interruppe Frank. «Tienilo su»

Mikey esitò per un secondo, poi roteò gli occhi e tenne su lo specchio davanti a Frank, così che potesse vedere il proprio riflesso in quello sopra il lavandino.
«Oh,» disse Frank. «Oh, merda.»

Non era male come si sarebbe aspettato – in realtà, non sapeva neanche che aspettarsi, ma si era sentito come se lo avessero scorticato fin all'osso, quindi lo spiazzò vedere solo segni così sottili, la pelle grossomodo ricucita da lunghe, pallide cicatrici, ognuna lievemente rialzata e arrossata ai lati, come se qualcuno le avesse colorate con dell'ombretto rosso. Il suo "Keep the Faith" era illeggibile, la zucca sembrava essere stata distrutta con un seghetto (no, con una fottuta frusta, rise una malvagia, isterica voce nella sua mente) e le cicatrici simili a graffi scendevano lungo il suo corpo, oltre il sedere e le cosce, fino all'ultimo segno, nella piega del ginocchio.

Ma non stava sanguinando. Le ferite non erano aperte. Erano davvero praticamente guarite.

«Come è successo al tuo tatuaggio,» disse piano Mikey, mettendo giù lo specchio e porgendo un asciugamano a Frank, perché se lo legasse in vita. «Il tatuaggio sulla mano»

In quel momento Frank si rese conto che il dolore nei suoi polsi era del tutto svanito.

***

La camera da letto era un macello. Le lenzuola erano rovinate, macchiate di uno sporco, profondo colore rosso-arancio, e altro sangue era colato sul pavimento e schizzato sul muro.

«Come puoi non essere morto?» mormorò Mikey, per poi chiudere velocemente la bocca quando Frank sollevò le sopracciglia. «Non intendevo – è solo che ce n'è così tanto,come, bhe...»

«Come se qualcuno fosse morto dissanguato,» puntualizzò per lui Frank. Si sentì esausto tutt'a un tratto, troppo stanco per pensare a cosa fosse accaduto, al dolore, a come si era sentito, alla sensazione di essere odiato, la consapevolezza che nessuno l'avrebbe mai aiutato. «Ho bisogno di dormire.»

«Il tizio dell'appartamento qui affianco è venuto qui, prima» disse Mikey, avvicinandosi al guardaroba di Frank ed aprendolo. «Ti ha sentito urlare. Gli ho detto che stavamo guardando un film.»

Frank lasciò cadere l'asciugamano e permise che Mikey lo aiutasse a mettersi dei pantaloni di tuta e una maglietta morbida, che in genere usava solo per dormire. «Un fottuto film...»

«Già.» Mikey vagò per la stanza, facendo su altri vestiti da infilare nella sacca di Frank. Si levò la maglia fradicia e indossò uno dei jeans di Frank, che gli stavano parecchio larghi ed anche ridicolmente corti, poi si rimise la propria felpa. «Andiamo, puoi dormire a casa mia.»  

[ITA] I Have Been All Things Unholy - {Traduzione}Where stories live. Discover now