II

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La macchia sul portone mi lascia perplessa, ma decido di non rimuginarci troppo e, dopo aver pranzato, esco nuovamente per andare in centro e acquistare i colori di cui ho bisogno. Mi comporto come se nulla fosse accaduto: torno a casa, salgo le scale e vado in camera mia, non curandomi affatto dell'ingresso impiastricciato.

Estraggo gli acrilici dalla busta di carta del negozio e inizio a diluirli per dar vita alla tela che mi è stata commissionata qualche giorno fa.

Adoro dipingere.

Dal momento in cui immergo le setole del pennello nella tinta dall'odore forte al momento in cui ripongo l'oggetto nel suo astuccio, la mente viaggia lontana, lasciando l'anima libera da ogni tipo di preoccupazione.

Mi prefisso l'obiettivo di fermarmi soltanto nel momento in cui il lavoro sarà a metà, così intingo per l'ultima volta il pennello alle undici di sera e lo adagio delicatamente sulla tela arida. Ripongo i miei preziosi strumenti da lavoro e mi dirigo in cucina per cenare velocemente e poi andare a dormire.


Prendo l'ultima forchettata di tonno dal piatto e osservo ancora un po' fuori dalla finestra, ammirando il cielo blu scuro senza stelle e senza nuvole, come fosse quasi un velo di seta, qualcosa che si potrebbe toccare.

Di nuovo in camera mia, mi infilo il pigiama e ormai stremata, mi accascio tra le coperte.

Avrei potuto dipingere ancora, ma non l'ho fatto perché non voglio rischiare di superare la mezzanotte. È capitato soltanto una volta, che per terminare un quadro, mi sono spinta oltre quest'orario e non mi ha portato niente di buono; quindi, ho deciso che non accadrà mai più.

Nonostante la stanchezza, mi rigiro tra le lenzuola e non riuscendo a dormire, mi alzo a prendere un bicchiere d'acqua, approfittando per guardare l'ora.

Caspita. L'una e quaranta. Sono passate quasi due ore da quando mi sono messa a letto.

Mi fermo a pensare col bicchiere d'acqua in mano e la mente torna a quella macchia, quando a un tratto sento un tonfo.

Possibile che provenga dalla cucina?

Vado a vedere.

Afferro la mazza da baseball che ho comprato qualche mese fa, proprio per queste situazioni inquietanti, e mi sfilo le pantofole. Apro la porta e cammino lentamente, soltanto con i miei soffici calzini bianchi.

Sembra quasi che sia io l'intrusa in casa mia.

Coraggio.

Piano.

Sono quasi in cucina, ma quando sto per entrarci, sento un rumore ancora più forte.

Mi fermo.

Il battito del mio cuore inizia a stabilizzarsi. Varco la soglia, accendo la luce dall'interruttore alla mia sinistra e guardo in basso.

Mi sono spaventata per niente.

Ormai mi succede almeno una o due volte al mese: il colpevole di questi rumori è sempre Happy, il mio coniglio, e io mi dimentico sempre della sua esistenza durante la notte.

Happy mi ha reso davvero molto felice da quando è con me; perciò, ho scelto questo nome per lui.

Quando a vent'anni mi trasferii dal piccolo paesino in cui ho trascorso l'adolescenza, Happy è stato il primo e unico amico che ho portato dal passato. La mia è una famiglia benestante che vive a Londra, ma dopo che mio nonno morì, i miei genitori mi affidarono a mia nonna italiana, così da poterle fare compagnia.

Avevo già quattordici anni quando mi ritrovai tra i verdi prati di un paesino sperduto della Puglia, ma non feci molta fatica ad ambientarmi: gli italiani sono molto socievoli e di conseguenza lo sono anch'io essendo figlia di un uomo del sud.

Mia nonna aveva molti animali e tra questi c'era una decina di conigli, così, quando decisi di trasferirmi qui ad Ancona, mi regalò un cucciolo di colore grigio-blu. Solo per le sfumature del suo pelo, eravamo destinati l'uno all'altra fin dal primo momento, perciò acquistai un trasportino e lo portai con me, gli comprai una bella gabbietta capiente in cui farlo giocare la notte e da tre anni mi fa compagnia ogni giorno, nonostante non mi lasci dormire in pace.

Sono tornata in camera dopo essermi scolata un altro bel bicchiere d'acqua e mi sono messa di nuovo a letto. Purtroppo, penso costantemente a quella dannata macchia sul portone di casa: a come sia finita lì, se possa essere stata io stessa a imprimerla ieri sera.

Che angoscia.

Non voglio, ma so che se non scendessi a vedere, non chiuderei occhio.

Riaccendo la luce, mi infilo le Converse rosse, impugno nuovamente la mazza da baseball e scendo giù per le scale. Apro il portone ed esco per guardarne l'esterno.

Eccola.

Questa maledetta macchia. Cavolo, è proprio blu. Non un blu elettrico, direi quasi tendente al grigio.

Non posso essere stata io, non saprei proprio come avrei fatto a lasciarla, non mi viene in mente nulla di questo colore.

Provo a toccarla?

Magari riesco a farla andare via sfregando un po' con i polpastrelli e domattina potrei pulire il portone. Che schifo però, non so nemmeno cos'è.

Coraggio.

Lo faccio.

Mi bagno la punta dell'indice, del medio e dell'anulare, poiché la chiazza è bella grossa e un dito solo non basterebbe a farla andare via, infine avvicino la mano al portone.

Lo tocco.

Non appena la mia mano si poggia sul blu ammaliante, alle mie spalle succede qualcosa. Mi giro di scatto, tolgo la mano dal portone e impugno saldamente la mia arma con entrambe le mani. Tento anche uno sguardo minaccioso, ma mi tremano le gambe e non sembro per nulla una di cui aver paura. Vedo un'ombra, una sagoma spostarsi veloce da davanti al cancello e andare via.

Al diavolo, ho troppa paura.

Chiudo il portone dietro di me, salgo a due a due gli scalini, serro la porta d'ingresso con due mandate e filo in camera. Chiudo a chiave anche la porta della mia stanza e ci metto davanti la sedia della scrivania.

Aspetto, ma sento solo il battito del mio cuore che tamburella nelle mie orecchie.

Mi tolgo le scarpe, mi siedo sul letto e lascio l'arma minacciosa di fianco al comodino pronta per essere brandita.

Chi era? Che cos'era? Mi stava osservando?

Troppe domande.

Credo proprio che questa notte la passerò in bianco e domattina dovrò tentare di rimuovere quella schifezza dall'ingresso prima che possa vederla la padrona di casa. Se l'ho notata io quella macchia, la vedrà sicuramente anche lei, mi accuserà di aver sporcato il suo bel portone in frassino e mi spillerà dei soldi dall'affitto. Non posso permettermelo.

Domani pulirò.

Domani pulirò

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La Speranza Dei Draghi - Le lacrime del dragoWhere stories live. Discover now