La tana del Lupo

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Capitolo 10

Il vento soffiava da nord, costringendo i grandi alberi secolari a piegarsi dinanzi a tale forza. I rami più alti scricchiolavano, e la pioggia leggera di poco prima iniziò a diradarsi.

L'unica luce, in quel buio, era la torcia di Evelyn, che disegnava un piccolo cerchio a terra. Quel posto le avrebbe dovuto incutere paura, ma in quel momento riusciva a pensare soltanto a suo zio; non poteva essere morto, era impossibile. Scioccamente, lo aveva sempre reputato un essere quasi immortale.
Con lo zaino in spalla e gli occhi arrossati dal pianto, continuò a camminare senza scorgere nessuna casa, e se avesse preso la strada sbagliata? Proprio mentre stava per formulare pensieri negativi, intravide una costruzione poco lontana. Il primo obbiettivo era stata raggiunto, almeno una cosa positiva.
Affrettò il passo, sperando che Noah fosse in casa e che e l'ascoltasse senza fare troppe storie. Aveva bisogno del suo aiuto e forse del suo conforto; lui conosceva i suoi simili e, forse, poteva dirle cosa ne fosse stato di suo zio.
«Cosa ci fai qui?»

Evelyn si voltò lentamente, interrompendo le sue riflessione, capendo istintivamente di chi fosse quella voce cavernosa. Era Noah, proprio davanti a lei, immobile e in tutta la sua superba altezza. Era così bello da farle male. Solo in quel momento si sentì davvero al sicuro; le sue braccia muscolose avrebbero potuto sostenerla, confortarla, stringerla a sé fino a farle mancare il fiato. Non seppe resistere e corse verso di lui, balzandogli addosso, abbracciandolo con tutta la forza che aveva.

L'altro sorpreso da quel gesto improvviso, tenne le braccia lungo i fianchi, senza ricambiare la stretta.
«Lo hanno preso! Lo hanno preso!» urlò lei iniziando nuovamente a piangere.
«Chi? Cosa è successo?»
«Mio zio! Sono stati i Rossi, non ho dubbi» biascicò Evelyn in preda ai singhiozzi. Noah si allontanò da lei, guardandola duramente.
«Cosa hai fatto?»
«Io... niente, non ho fatto niente»
L'altro sospirò, incamminandosi verso la casa. Evelyn, non sapendo cosa fare e incapace di muoversi, rimase immobile, fissando la schiena perfettamente dritta di lui. Camminava in modo deciso, la testa alta e le spalle larghe. Anche lui la stava abbandonando, non avrebbe mai più rivisto suo zio e, molto probabilmente sarebbe rimasta in quel bosco a vagare senza una meta.
Stupida! Stupida!
Poi, dopo qualche metro, Noah si voltò. «Seguimi» disse con un cenno del capo.
Evelyn non se lo fece ripetere due volte; corse verso di lui sfiorandogli appena il braccio, sentendo un brivido di piacere percorrlerle la schiena.



Quando giunsero nella piccola radura dove si trovava la casa, Willow li osservò palesemente sbigottita.
«E lei cosa ci fa qui?» chiese con una smorfia di disgusto.
Evelyn non rispose, non aveva voglia di litigare con la bionda. Poi sentì Noah che le toglieva di dosso lo zaino e, spingendola verso il basso, la costrinse a sedersi su uno dei gradini del portico.
«Perché lo zaino? Credi che sia stupido?» dopo aver parlato prese la torcia che la ragazza teneva ancora tra le mani e la scagliò in un cespuglio, poi continuò.
«Non verrai con noi.»
Evelyn lo guardò distrattamente, non aveva bisogno di qualcuno che le urlasse contro. Si trattava di suo zio, l'unica persona che le era rimasta al mondo. «Ehi, è soltanto colpa tua se mi trovo in questa situazione! Sei venuto a casa mia e loro ti hanno seguito. Mi porterete con voi e aiuterete mio zio» proruppe alzandosi in piedi.
Noah camminò nervosamente in cerchio per poi tornarle vicino. Abbassò leggermente il viso per poterla guardare bene negli occhi. «Molto probabilmente tuo zio è già morto, lo capisci?»
Gli occhi di Evelyn divennero due fessure. Odiava quell'atteggiamento da duro, da persona priva di sentimenti, quelle parole avrebbero dovuto ferirla, ma in realtà, non fecero altro che aumentare la sua rabbia. «Non sei il mio capo o il mio alfa, o qualsiasi altra cosa tu voglia essere!»
Willow, che aveva assistito alla scena, si avvicinò ai due. «Dammi l'ordine e la faccio fuori»
Evelyn si voltò verso di lei, gli occhi fiammeggianti di ira, i pugni stretti. «Tu sta zitta! Perché non vai a farti fotte...»
Il suono di un cellulare interruppe la discussione.
«È il mio...» sussurrò Willow tastando la tasca della giacca. Evelyn alzò un sopracciglio; non credeva che anche i licantropi avessero dei telefoni. «Avanti, rispondi» la esortò stizzita.
La bionda la fissò torva e poi rispose. Per un attimo sembrò aver paura, o quanto meno sembrò smarrita al suono di quella voce. Dopo pochi secondi passò il telefono a suo fratello con sguardo interrogativo.

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