Capitolo 3

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Sospirai e battei le nocche sul legno della porta. Entrai e mi guardai subito attorno: ragazzi e ragazze seduti nei vari banchi che mi fissavano come se fossi un alieno.
«Oh tempismo perfetto: stavo parlando di te ai tuoi compagni. Ragazzi, lei è Naomi Campbell. Naomi, loro sono i tuoi compagni» disse la prof, avvicinandosi a me e mettendomi una mano sulla spalla. «E io sono la professoressa Brook.»

«Uhm si, piacere di conoscervi» risposi forzando un sorriso, se possiamo chiamarlo così.
Senza proferire parola, andai verso un banco vuoto al primo posto. Mi sentivo molto a disagio lì, se fossi stata seduta all'ultimo banco nessuno mi avrebbe guardata, ma purtroppo era praticamente l'unico libero.
«Si presenti pure ai suoi compagni» mi incoraggiò la Brook, battendo una mano sulla cattedra. Mi alzai deglutendo e mi diressi verso di lei. Una cosa che odiavo del cambiare scuola era il doverti presentare davanti a tutti a disagio.
«Mi chiamo Naomi come già sapete, vengo da Manhattan e ho diciassette anni» dissi tutto d'un fiato.

«E hai un culone poderoso» disse una voce maschile e tutti scoppiarono a ridere.
Mi guardai attorno per capire chi fosse stato a fare quel commento.
Un ragazzo, capelli e occhi castani, muscoloso e apparentemente molto alto. Corpo asciutto e carnagione abbronzata.

Era. Davvero. Qualcosa. Di. Stupefacente.
Mi rivolse un ghigno, si leccò le labbra in modo provocante al quale feci una smorfia di disgusto e lui rise divertito, anche se di divertente non c'era proprio niente. «Dallas! Un altro commento del genere e la mando dritto in presidenza» gridò la prof indicando con un dito la porta bianca.
Tutti risero come se avesse detto un'assurdità.

Lui ridacchiò, ma non disse altro e in quel momento mi immaginavo mentalmente in ginocchio a lodare la prof che ora mi aveva fatto cenno di sedermi e così feci.

Davvero bell'inizio come primo giorno di scuola.
Tutti si presentarono e scoprii che lui si chiamava Cameron; un nome raro.
Non appena cercai di sedermi, qualcuno tiro la mia sedia e caddi a terra sbattendo la testa sullo spigolo del banco dietro al mio. Misi subito una mano sulla mia testa e gemetti per il dolore.
Mi voltai e vidi che era stato esattamente quel Dallas a tirare la mia sedia. Quando portai la mano, con cui avevo tenuto la mia testa dolorante, davanti gli occhi notai un pò di sangue sui polpastrelli. Ma che razza di persona orribile! Certo, poteva essere anche un Dio Greco per il suo aspetti, ma che fosse stronzo e non c'era dubbio.

«Adesso basta! Dallas vada in presidenza e accompagni la sua compagna in infermeria.» urlò la professoressa alzandosi e procurando nel frattempo con la sedia un rumore assordante che mi fece quasi tappare le orecchie.
Mi alzai aggrappandomi al banco e uscii dalla porta seguita dal ragazzo.
Wow!

Il primo giorno di scuola con la testa quasi spaccata per colpa di un deficiente.

Ridussi i passi permettendogli di passare avanti e guidarmi dato che non sapevo dove si trovasse.
Arrivammo davanti una porta verde scuro e bussò ma nessuno rispose così entrammo...non c'era nessuno.
«Ops, non c'è nessuno e questo vuol dire che sarò io a curare la tua ferita.» mi riferì marcando la parola io.
«Va' al diavolo.» dissi cercando di uscire dalla stanza, ma mi afferrò il polso attirandomi a lui. «Senti...mi dispiace, non era mia intenzione.» fece una pausa di qualche secondo, sospirando. «Ovviamente parlo per l'averti fatta cadere, non per il commento sul tuo culone poderoso.» facendo un sorrisetto perverso. Troppo strano per essere vero. Giuro che avevo un po' creduto a quando mi aveva detto che gli dispiaceva. «Vaffanculo» tagliai corto dimenandomi, ma la sua presa era troppo forte e aumentava di secondo in secondo fino a farmi quasi male. «Non devi prendertela, è pur sempre un complimento.» ghignò leccandosi il labbro superiore.
Quando gli diedi una gomitata nelle sue parti lasciò la presa. Il braccio aveva un segno rosso ovviamente per la sua stretta. Lo guardai mentre gemeva dal dolore poggiando una mano sul cavallo dei pantaloni.
Ecco, ero timida ma non mi lasciavo mettere le mani addosso, poi soprattutto da uno come lui.

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