CAPITOLO 21

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RIVELAZIONI


«Finalmente siete usciti!» disse un bambino dalla pelle bianca come farina, non appena io e Matilda crollammo a terra «Avevo paura che non ce l'avreste fatta.»

Tuttavia non registrai subito la voce, perché ero ancora perso dentro a quello che avevo visto. O meglio, quello che ricordavo di aver visto, perché ero certo di essere stato, per qualche attimo, nient'altro che percezione. Sì, per un periodo di tempo che non mi era dato identificare ero stato soltanto vista, un senso come tanti altri, senza altro scopo che raccogliere ed immagazzinare senza poter capire.

Adesso che il mio cervello era tornato ad essere collegato ai miei occhi potevo ricordare. Senza memoria, senza possibilità di interpretare quello che avevo osservato, era come se avessi cessato di esistere. Ero stato cieco pur essendo vista. Non c'era sensazione più sbalorditiva di quella.

Per un terribile secondo la mia mente venne bombardata da una sequela di immagini a cui avevo assistito senza saperlo. Distolsi lo sguardo da quelle informazioni che arrivavano tutte assieme, troppe in troppo poco tempo, anche se sapevo di non poterlo fare, perché quelle immagini ormai erano dentro alla mia testa.

incrociai l'espressione attonita di Matilda, e fu quasi come se vedessi riflesse nei suoi occhi le cose che io stesso avevo visto.

Quelle immagini storte e ubriache di una festa senza suoni, l'ondeggiare caotico di persone che ballavano, ma che senza neppure la musica umana del respiro sembravano solo grotteschi burattini. La porta, in fondo alle scale. Il buio fumoso della stanza, e poi più niente, per tanto tempo. Poi sequenze accavallate di storie, luoghi, persone, dettagli di una vita, inestricabili l'uno dall'altro, fino a quando il ritmo non aveva rallentato nuovamente per farci vedere quella scena, quell'unica terribile scena.

La ricordai nel momento in cui vidi Matilda ricordarla. Ebbe un tremito, perché anche lei l'aveva vissuta.

L'enorme sala che doveva essere ben illuminata, ma che filtrata attraverso uno sguardo impaurito sembrava minacciosa e scura, come un cielo che promette un temporale.

Uomini di cui riuscivo a ricordare il volto soltanto con grande sforzo, come se fossero appannati. Erano seduti ad un austero banco semicircolare, impettiti sui loro scranni, ed erano tesi. C'era anche mio padre, lui sembrava davvero preoccupato. Il Consiglio.

Le loro bocche si muovevano senza emettere alcun suono, e guardavano nella direzione dove c'era la mia vista, con severità ed ansia. Poi l'interno di un cappuccio rosso che sapeva di paura, e una lunga camminata.

La stessa che avevamo fatto nel tunnel.

Infine la sensazione di essere strappati via da sé stessi, mentre invece si ritornava in sé stessi. La prima sensazione dopo tanto tempo. Era stato da lì che la mia mente aveva ricominciato a funzionare, e dopo c'era solo il ringraziare per essere ancora tutto intero.

Fu solo dopo essermi assicurato che tutti i tasselli fossero al loro posto e seguissero un filo logico, seppure ancora senza un perché, che mi azzardai ad alzare lo sguardo.

Ormai non ero più in condizione di stupirmi di qualcosa, nemmeno di quello strano essere dagli occhi saggi, dalla voce secca da vecchio e dall'aspetto da moccioso che mi fissava con curiosità e circospezione, come se il fenomeno da baraccone fossi io e non lui.

I capelli neri, lunghi fino alle spalle, non riuscivano a celare un paio di orecchie a punta piene di orecchini, non molto grosse ma decisamente improbabili, e portava una tunica rossa bordata d'oro che decisamente stonava con i pesanti stivaloni che indossava. A dire il vero, erano gli stivaloni a stonare con tutto.

Il mondo attraverso lo specchio [Completa]Where stories live. Discover now