4. Il primo passo verso la salvezza

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Era lì, proprio davanti a me, il primo ragazzo che avrei dovuto aiutare per poter ritornare a vivere veramente. Non capii se il nostro incontro mi facesse uno strano effetto oppure no, ma mi sentivo come se adesso la vita di Ray fosse nelle mie mani, e in un certo senso anche la mia era nelle sue.Mi avvicinai lentamente al ragazzo, mentre Ed faceva i suoi comodi e continuava a riempire il carrello.
«Ti consiglio di prendere una scala» gli suggerii gentilmente. «Anche se sei alto non ce la farai mai.»
Ray si rigò di scatto per vedere chi avesse parlato e mi fece quasi cadere per lo spavento.
«Scusa» fece. «Non ti avevo visto, cioè ti avevo sentito, ma non visto.»
Mossi la mano in un gesto di noncuranza. «Fa niente, è colpa mia che ti sono piombato da dietro.»
Mi sorrise e mi porse una mano. «Sono Ray.»
Io gli stinsi la mano. «Piacere, Gerard.»
«Comunque hai ragione» constatò. «Senza una scaletta o qualcosa del genere non ce la farò mai a mettere questi biscotti lassù.»
Si guardò un attimo intorno, poi si rivolse a me. «Scusa un attimo.»
Scomparve dalla mia vista e quando ritornò teneva con il braccio una piccola scaletta. La posizionò appena sotto lo scaffale, e ci montò sopra. «Senti» cominciò, «visto che sei lì senza fare nulla, mi puoi passare i pacchi di biscotti, per favore?» Indicò la scatola dove stava la merce.
«Oh, sì.» Gli passai lentamente tutto il contenuto della scatola, mentre lui posizionava con cura i prodotti sullo scaffale.
«Non sei di qui, vero?» mi chiese.
«Ehm...» titubai un attimo. «No, mi sono appena trasferito con mio zio.» Dissi la prima cosa che mi venne in mente. Non sapevo se Ray ci avrebbe creduto o meno, ma io rimasi indifferente e lui sembrò cascarci.
«Ah» esclamò, «non ti avevo mai visto qui e allora mi sono incuriosito.» Aveva appena finito di sistemare lo scaffale, così scese dalla scaletta.
«Gerard, vero?» Annuii. «Io finisco il turno alle otto, magari ci possiamo trovare stasera e andiamo a prendere qualcosa, che ne dici?»
Entrai nel panico, cosa dovevo rispondere? Potevo andare? Forse sì, insomma, se dovevo aiutare quel ragazzo ci dovevamo frequentare, mica lo potevo "salvare" se non ci vedevamo mai.
La parte più impulsiva di me prese il sopravvento. «Oh, sarebbe fantastico!»
«Perfetto!» esclamò tutto soddisfatto. «Hai la patente?» mi domandò pensieroso.
«Ehm, no.»
«Allora ci troviamo qui davanti, stasera alle dieci. Va bene?» propose. «Magari non so, se ti può portare tuo zio...»
«Sì, certo, va bene. Alle dieci stasera qui davanti, perfetto. Sì, mio zio...» borbottai.
«Grandioso. A stasera!»
Mi allontanai impacciato. Forse, tutto sommato, avevo fatto la cosa giusta ad accettare l'invito di Ray, anzi, avevo certamente fatto la cosa giusta.
Cercai Ed per tutto il supermercato, quando lo trovai al reparto bevande.
«Hai conosciuto Ray?» chiese.
«Ehm, sì» risposi.
«E come è andata?» domandò mentre leggeva concentrato l'etichetta di una bottiglia.
«Penso bene.»
«Che vuol dire "penso bene"?» Stava ancora studiando quella dannata etichetta. Odiavo parlare con persone che non mi guardava in faccia.
«Nel senso che stasera usciamo» esclamai spazientito.
Ed mise la bottiglia nel carrello e finalmente mi degnò di uno sguardo. «Oh, fantastico!»
«Bene, allora mi devi riportare qui alle dieci» annunciai mentre cominciavo a guardare cosa avesse messo nel carrello.
«Sì, certo. Sono qui apposta.» Cercai una nota sarcastica nella sua voce, ma non trovai nulla: diceva sul serio.
Tornammo a casa e mangiammo, poi feci una doccia veloce e mi misi in attesa.
Arrivammo davanti al supermercato esattamente cinque minuti prima delle dieci.
«Gerard» fece Ed prima che andassi, «sta attento.»
«Sì, certo» lo rassicurai. Non mi avrebbero rapito gli alieni, almeno non quella sera.
Mi porse un portafoglio e un cellulare. «Tienili con te, e se hai bisogno di qualcosa chiama, il mio numero è l'unico in rubrica.»
Infilai il tutto nelle tasche posteriori dei jeans e poi uscii dalla macchina. «A dopo» lo salutai.
«Sei sicuro di poter tornare a casa da solo?» mi domandò mentre ero già sceso.
«Non ti preoccupare, semmai chiedo a Ray» gli gridai in modo che mi sentisse.
Mi fece un cenno con la mano e ingranò la retromarcia, per poi tornare a casa.
Ray arrivò quasi subito. Camminava lentamente. «Ehi!» gli feci. «Ma sei venuto a piedi?»
«Sì» rispose, «non abito lontano. Andiamo?»
Io non risposi e lo seguii mentre si avviava verso una meta sconosciuta.
Arrivammo davanti a un pub, dall'esterno sembrava piuttosto carino. Quando entrammo l'odore di fumo e alcol ci investì. Ray mi presentò qualcuno, ma dimenticai immediatamente i loro nomi.
Ci sedemmo al bancone e ordinammo da bere. Feci per prendere il portafoglio che mi aveva dato Ed, ma Ray mi bloccò. «Il primo giro lo offro io.»
Il primo giro? Quanto aveva intenzione di bere? Se fossi tornato a casa ubriaco Ed mi avrebbe ucciso. Okay, tecnicamente ero morto anche se ero vivo, ma lui di sicuro conosceva un modo per farmi fuori definitivamente.
«Allora» fece Ray, «come mai ti sei trasferito qui con tuo zio?»
Mi aspettavo quella domanda, infatti Ed e io a cena avevamo inventato una copertura per il periodo che saremmo rimasti lì.
«I miei genitori si sono trasferiti in Messico quando avevo dodici anni, e io da quel momento ho sempre abitato con mio zio. Lui è uno scrittore e gli piace girare, non stiamo più di tanto nello stesso posto. E visto che siamo praticamente entrambi soli, viviamo insieme. Certe volte penso di volermene andarmene per conto mio, ma è come un padre.»
Non pensavo di essere così bravo a raccontare bugie. Mi complimentai con me stesso.
«Oh, è una storia interessante» commentò.
«E tu invece?» domandai. «Cosa fai?»
Sorrise. «Come hai visto lavoro in quel supermercato anche se mi sono iscritto alla facoltà di regia. Ho finito lo scorso anno il liceo, ma vivo ancora con i miei genitori.»
Ricordai quello che mi aveva detto Ed: lo dovevo aiutare a trovare la sua strada. Quella era l'occasione giusta per indagare. «E cosa ti piacerebbe fare nella vita?» chiesi.
«Non lo so» alzò le spalle. «Non ho ancora capito cosa voglio fare. E i miei genitori non sono certo d'aiuto.»
Mi ero fatto un quadro generale della vita di Ray: lavorava in un supermercato, non aveva aspirazioni, da quello che avevo capito non andava d'accordo con la sua famiglia.
Il pub si stava lentamente riempiendo. A causa della musica che c'era in sottofondo e delle chiacchere della gente, io e Ray alzammo la voce per poter continuare a parlare.
«Tu invece cosa vorresti fare nella vita?» Ray volse a me la domanda che gli avevo fatto. Per fortuna mi ero preparato una risposta anche a questo. «Mi piace disegnare, e sto lavorando ad un fumetto, ma per ora non faccio molto. Mio zio guadagna piuttosto bene per entrambi.» Non era proprio una bugia dall'inizio alla fine.
«Oh, che fortuna, io per andare avanti devo lavorare. Sta diventando un problema anche trovare i soldi per l'università...»
«Non ti preoccupare» lo tranquillizzai. «Uno modo lo trovi.»
Notai che era distratto. Cercai di capire cosa stesse guardando. Poi capii. C'erano due ragazzi che stavano cercando di portare con la forza una ragazza fuori dal locale.
«La conosci?» Ray sembrava preoccupato.
«Più o meno, veniva a scuola con me. Vieni.»
Ci alzammo entrambi, mentre i due ragazzi e la ragazza erano già all'esterno del locale. Li seguimmo.
La strada era deserta e in un angolo vedemmo i due che avevo spinto lei contro un muro. Piangeva.
Ray si avvicinò. «Lasciatela stare!»
I due ragazzi si voltarono verso di noi e si misero a ridere. «E perché?»
«Lasciatela stare e basta» sibilò.
I due ignorarono completamente Ray e uno per tutta risposta le diede un bacio sul collo. La ragazza cercò di scostarlo, ma lui la teneva incollata al muro.
Ray non ci vide più, prese per il colletto della felpa quello che aveva baciato la ragazza e lo sbatté violentemente al muro.
«Ho detto di lasciarla stare» gli intimò. «Hai capito?»
L'altro ragazzo prese Ray per le spalle e gli tirò un pugno in pieno viso. Quello provò a tirargli un calcio, ma io lo afferrai da dietro e lo gettai a terra. Fu colto alla sprovvista e non fece nemmeno in tempo scansarsi quando mi misi a cavalcioni sopra di lui e lo colpii sulla mascella. Cercai di tenerlo fermo mentre Ray se la vedeva con l'altro, che era anche più grosso, ma anche Ray lo era più di me.
Mi alzi solo quando Ray mi fece cenno di farlo. «Non finisce qui Toro» disse uno dei due. «E nemmeno con te» mi minacciò.
Mi ricordai della ragazza e la cercai con lo guardo. Era dove l'avevano lasciata quei due idioti e stava ancora piangendo. Ray stava parlando con lei, mi avvicinai.
La ragazza mi vide e mi sorrise, ricambiai. «Grazie» mi fece.
«Ma di cosa?» replicai.
«Sono Eve» si presentò.
«Gerard» mi presentai a mia volta.
Ray non disse niente, forse conosceva già il suo nome. «Senti» le disse, «non puoi andare a casa così. Se vuoi puoi venire da me, ti dai una sciacquata e poi io e Gerard ti accompagniamo a casa.»
La ragazza ci guardò entrambi. Sembrava combattuta. Non la biasimavo dopo quello che era successo.
Alla fine sembrò decidersi. «Va bene.»
Non ci volle molto ad arrivare a casa di Ray. Abitava in un palazzo messo piuttosto male, ma tutto sommato vivibile.
Salimmo le scale del condominio e quando arrivammo ad una delle porte che stavano al terzo piano, Ray ci si piazzò davanti e tirò fuori dalla tasca dei jeans un chiave. Armeggiò per qualche secondo con la vecchia serratura, poi la porta si aprì e ci fece entrare. L'appartamento non era un granché, ma era accogliente.
Ray si rivolse a Eve. «Se vuoi ti puoi fare una doccia. Posso prestarti i vestiti di mia madre, a lei non dispiacerà.» Finì con un sorriso, tanto per rassicurare la ragazza, che ricambiò e annuì.
Ray si avviò frettolosamente verso quella che doveva essere la stanza di sua madre perché ne uscì con un paio di jeans e un maglione rosa. Porse il tutto a Eve e poi le indicò il bagno.
«Fa' con calma» le disse.
La ragazza si chiuse nel bagno e dopo poco io e Ray cominciammo a sentire lo scroscio dell'acqua.
Ray mi fece cenno di andare con lui verso la cucina. «Ti posso offrire qualcosa?» domandò gentilmente. «Non so, una birra...»
Lo interruppi subito. «Se non è un problema un caffè, grazie.»
«Un caffè a quest'ora?» chiese stupito.
«Sì, per favore.»
Ray mi guardò un'ultima volta per assicurarsi che fossi sicuro della mia scelta, poi si voltò e cominciò a fare il caffè.
Era così strano che volessi un caffè a quell'ora? A me non sembrava.
Aspettai con calma il mio caffè e alla fine Ray mi porse una tazza fumante. Lui si prese dal frigo una birra e poi andammo a sederci sul divano del salotto.
Rimasi un po' in silenzio, cominciando a sorseggiare quella bevanda calda che mi riscaldò piacevolmente lo stomaco.
«Senti Ray» iniziai, «la conosci quella ragazza?»
«Mi hai già fatto questa domanda e io ti ho già risposto»
«A me non sembra che tu la conosca così così» obiettai, «anzi, sembra vi conosciate bene bene.»
Ray mi guardò con aria di supplica, come per dire "lascia perdere, ti prego lascia perdere". Beh, non mi importava, ero curioso e se volevo davvero aiutarlo dovevo conoscere più cose possibili su di lui.
Quindi continuai a fissarlo con aria curiosa.
Alla fine mollò sbuffando. «E va bene! Era la mia ragazza qualche anno fa, poi lei ha cominciato a uscire con altre persone e mi ha lasciato. Contento adesso?»
Sorrisi soddisfatto e annuii. «Quindi l'hai aiutata per quel motivo?»
Ray si grattò la testa. «Sì, anche. Ma avrei aiutato anche una sconosciuta se si fosse trovata in quella situazione.»
«Giusto.»
Sorseggiai con calma il mio caffè. Ray aveva già finito la sua birra da un pezzo quando finalmente Eve uscì dal bagno con i vestiti della mamma di Ray.
Io e Ray ci alzammo e le andammo incontro.
«Ti accompagniamo a casa» disse Ray rivolto a Eve.
Ritornammo sulla strada. «Mi sa che dovremo andarci a piedi» fece Ray.
«Per me non è un problema» disse Eve. Io annuii, anche per me non era un problema.
Ci incamminammo nell'oscurità, solo pochi lampioni a rischiarare l'asfalto.
Eve sembrava un po' a disagio, ma dopo che Ray mi aveva raccontato la loro storia capii che non era per lo shock dell'accaduto, era semplicemente imbarazzata dalla presenza del ragazzo.
«Ehm» fece lei, «io vi volevo ringraziare, davvero. Non so come avrei fatto senza di voi.»
Ray sorrise. «Non ci devi ringraziare, l'avrebbe fatto chiunque.»
Eve lo guardò e sorrise di rimando. No, non l'avrebbe fatto chiunque, ne ero certo. Ma Ray era davvero un bravo ragazzo e di certo non avrebbe lasciato alla mercé di due idioti una ragazza indifesa.
Anche se era luglio, l'aria era fresca. Eve abbassò le maniche del maglione rosa fino a farlo arrivare alle punta delle dita, io feci lo stesso con la mia felpa.
Ray sembrava l'unico a non aver freddo. Aveva un aria serena, sembrava quasi imbambolato. Per un momento pensai che gli avessero messo qualcosa in quello che aveva bevuto al locale.
«Ray» lo chiamai, lui si voltò verso di me, «stai bene?»
Lui mi guardò con aria felice. «Certo!»
La sua reazione fu leggermente strana. Ma feci finta di niente; dopotutto c'era Eve, avremmo parlato più tardi.
Camminammo più di venti minuti, quando arrivammo ad una casa bellissima. Era molto più grande di quella che avevamo io e Ed, e circondata da un giardino curatissimo.
«Tu abiti qui?» le chiesi a bocca aperta.
Lei abbassò lo sguardo, come se ci fosse qualcosa di male nell'avere una cosa del genere. Beh, forse c'era, nel mondo la gente moriva di fame e c'era chi poteva permettersi delle case del genere, comunque Eve non aveva nessuna colpa se i suoi genitori erano ricchi, a dirla tutta non ne avevano nemmeno loro.
«Grazie ancora» disse lei. «Non so come ringraziarvi. Volete entrare?»
Aspettai che rispondesse Ray, per fortuna lo fece. «Non ti preoccupare, va' a dormire.»
La ragazza non cercò di convincerci e dopo aver sorriso a entrambi percorse il vialetto fino alla porta d'entrata. Restammo lì fino a quando non fu al sicuro dentro la casa.
Dopo che fu scomparsa dalla nostra vista mi accorsi che Ray guardava ancora verso la casa, come se aspettasse qualcosa.
Gli diedi una piccola spinta, lui si voltò a guardarmi come se non fosse successo nulla. «Ehi!» feci, «Ma cosa hai?»
Mi guardò con aria interrogativa. «Scusa, ma cosa dovrei avere?»
«Da quando siamo arrivati a casa tua hai un'aria persa...»
«Non è vero» fece sulla difensiva. «Sto benissimo, davvero.»
Lo guardai di sbieco, poi rinunciai. Dopotutto lo conoscevo da un giorno scarso, anche se apparentemente sembrava ci conoscessimo da sempre.
Ci incamminammo verso casa mia. Per la strada guardai un attimo il telefono che mi aveva dato Ed per vedere se mi avesse cercato. No, niente. Però notai che erano le due di notte passate. Pensai che tutto sommato non fosse così tardi.
Percorremmo la strada con tutta la calma del mondo.
Quando arrivammo alla porta di casa "mia", suonai il campanello e Ed venne quasi subito ad aprire la porta.
«Sbaglio o è un po' presto?» chiese lui sorridendo.
«Ehm» dovevo trovare le parole giuste. «Abbiamo avuto un imprevisto e siamo tornati adesso.»
«Oh, fa lo stesso» disse con noncuranza Ed. Poi si voltò verso Ray. «Piacere, sono lo zio di Gerard, Ed.»
I due si stinsero la mano e anche Ray si presentò.
«Senti Ray» iniziò Ed, «che ne dici se domani vieni a cena da noi. Io sarò via per lavoro e avrete la casa tutta per voi.»
Io guardai Ray in attesa che rispondesse. «Sarebbe fantastico!» disse entusiasta. Comunque, diciamola tutta, in quel momento sarebbe stato entusiasta anche se gli avessero detto che il giorno dopo sarebbe finito il mondo.
«Bene» dissi io. «Allora ci vediamo domani.»
Ray mi sorrise. «Senti, mi dai il tuo numero di telefono?»
«Ho cambiato numero da poco, non lo ricordo a mente.» Mi voltai verso Ed. «Poi dare il mio numero a Ray?»
Ed prese dalla tasca il suo cellulare e dettò velocemente il mio numero a Ray.
Dopo un ultimo saluto, Ray se ne andò e io entrai in casa.
Mi lasciai cadere sul divano e Ed si sedette accanto a me. «Tutto okay?»
Io annuii. «Sì, tutto okay.»
«Quale è stato l'imprevisto di cui parlavi prima?»
Alzai le spalle. «Abbiamo aiutato una ragazza, le stavano dando fastidio.»
Ed sembrò capire e assunse un'espressione impassibile. «Avete fatto bene» osservò dopo qualche secondo di silenzio.
«Grazie» risposi io. Anche se non ero sicuro che "grazie" fosse la risposta giusta.
Poi mi venne in mente una cosa. «Dove vai domani sera?»
«Sarò via tutta la notte.» Non mi aveva risposto.
Lo guardai. «Dove?» ripetei.
«Devo parlare con chi ti ha dato questa seconda occasione.»
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» Adesso ero preoccupato di aver fatto qualche sciocchezza, anche se a me non era sembrato.
Ed scosse la testa. «No, non ti preoccupare. È una specie di normalissima riunione, niente di ché.»
«Oh, capisco» feci. «Io andrei anche di sopra se non ha nient'altro da dirmi.»
Feci per alzarmi ma mi bloccò con una mano. «Sei andato bene anche se era solo il tuo primo giorno. Vedi di non far cazzate e di usare bene il tempo che hai a disposizione.»
Annuii convinto. Lo sapevo, se volevo tornare davvero a vivere non potevo permettermi errori, avevo solo il tempo per fare la cosa giusta al momento giusto.
Salii le scale di corsa e quando arrivai nella mia stanza mi levai le scarpe e le gettai di lato, poi mi infilai sotto le coperte ancora vestito.
Ero stanco, non sapevo perché, forse era normale era poco che ero ritornato sulla Terra. Ma la cosa che mi dava davvero fastidio era che non ricordassi nulla della mia vita prima, della mia famiglia. E poi c'era una domanda che mi tormentava da quando ero là.
Se avessi superato quella "missione" e avessi avuto la possibilità di tornare a vivere la vita di prima, come l'avrebbero presa le persone che mi ritenevano morto e sepolto?
Forse nessuno me l'aveva detto perché la risposta era scontata, ma io ancora non l'avevo trovata.
Prima di cadere nel sonno mi appuntai mentalmente di domandarlo a Ed.

The AfterglowWhere stories live. Discover now