Il colore giallo

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Ovunque poggi il mio sguardo scorgo distese di ocra, giallo acceso, marrone chiaro, sfumature paglierine che si mescolano indistintamente con pennellate generose di curcuma e zafferano.

Il verde emerge timidamente qua e là, dileguandosi in fretta. La strada non svolta più, pare disegnata con un righello infinito e instancabile.

Da qualche parte qualcosa arde silenziosamente e un lieve odore di bruciato si infila nelle mie narici piazzandovisi comodamente. Per oltre venti minuti va intensificandosi, finché a poche centinaia di metri si scorge distintamente una massa di fumo bianco che sale verso il cielo in una marcia lenta e densa.

Gli incendi da queste parti sono piuttosto frequenti, capita  così che il rosso si mescoli col blu sopra il sacro sfondo giallo.

Da quando sono arrivato una settimana fa il sole non è mai stato impensierito da una sola nuvola. Al contrario, i miei pensieri si sono più volte lasciati perturbare da strani cumulonembi, che giungevano da ogni dove come a ricordarmi che nella vita di tutti i giorni non può brillare sempre il sole.

Ritorno a guardare dal finestrino e vedo distintamente la sagoma scintillante del mare che spunta oltre le colline. Era da mesi che non vedevo il mare da così vicino. La voce delle onde sembra quasi trapassare i limiti invalicabili delle colline per sussurrare dolcemente alle mie orecchie.

"Ci siamo quasi ragazzi" urla il conducente entusiasta, come se le tre ore di viaggio alle spalle non l'avessero neppure scalfito.

Si chiama Salvatore, è uno zio di quelli alla lontana, il cui legame con la mia famiglia sembra perdersi nei corridoi bui e torpidi delle storie familiari.

È un tipo solare e pasciuto, tiene sempre bene aperti gli occhi come fosse avido di tutto: scoprire, ritrovare, di scorgere anche solo di sfuggita e di sbirciare di nascosto.

La sua forza vitale si trasmette in ognuna della azioni che compie. Inoltre è alto abbastanza da risultare una figura imponente. Ormai da molti anni è sposato con una donna minuta e silenziosa.

La moglie sta seduta al posto del passeggero e spesso si volta indietro dispensando sorrisi a tutti. Si tratta di una donna ancora attraente, non più avanti dei quaranta.

Ha due occhi piccoli, chiarissimi e dal taglio elegante e intelligente, i lunghi capelli biondo cenere le ricadono leggermente arricciati sulle spalle, si chiama Enrica.

Sono l'uno l'esatto opposto dell'altro, lui con i suoi occhi scuri e grandi e i capelli corti e neri e lei con quell'aspetto diafano e l'incarnato quasi opalescente. Non hanno figli.

Mentre l'auto supera l'ennesima pianta di cactus, mi torna in mente un episodio di tre anni fa.

Permea rapido e scivola liscio attraverso i ricordi fino a raggiungere la mia coscienza. Una sensazione curiosamente ibrida e amorfa si impadronisce di me.

Seguo il filo del ricordo.

Ho ancora diciott'anni e sono a scuola. Come sempre mi siedo in fondo all'aula e prendo posto vicino alla finestra che dà sul cortile interno.

La campanella suona e dalla porta entra l'insegnante. Ha una scatola in mano e senza dire nulla l'appoggia sulla cattedra.

Il chiacchiericcio subito si dilegua, più per curiosità che per deferenza. Immediatamente l'uomo ne estrae un sacchetto di plastica, nel quale si scorge qualcosa di scuro sul fondo.

Con sguardo grave e movenze sempre più lente, l'insegnante sposta dalla cattedra la scatola, adagiandola a terra.

Nell'aula l'aria si fa pesante. La solennità con cui l'uomo esegue ogni suo gesto sembra presagire qualcosa di molto importante, ma allo stesso tempo affatto rassicurante.

La mia partenza era dettata da cause alquanto infelici. In primo luogo uno degli zii di mio padre era venuto a mancare la settimana precedente.

Era un uomo sulla sessantina, che non avevo visto che in foto.

Nel tempo libero si dedicava al lavoro nei campi. Aveva mani e piedi carnosi e sproporzionati come di chi ha passato la vita a svolgere lavori di fatica.
Ben noto in famiglia era il suo sguardo perennemente serio a incorniciare il muso imbronciato.

Mio padre, appresa la notizia sbiancò: vi era molto legato e ripeteva che non era possibile, lo zio sprizzava salute, non aveva mai dato segni di malessere. La sua morte avvenne tanto improvvisamente quanto in maniera inaspettata.

Lo trovarono riverso bocconi sulla terra gialla, nel campo dove coltivava le fragole. Un attacco di cuore.

L'altra circostanza non tanto felice che mi obbligò a partire al posto di mio padre fu di natura economica.

Purtroppo non poteva assolutamente assentarsi dal lavoro. Così, un po' controvoglia ho cercato un volo e nel giro di tre giorni sono partito.

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