Lysandros, capitolo 14.

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-Ermete dovrà occuparsi anche di lei. – dissi avvicinandomi al corpo della donna ormai esanime.

Lysandros immerso nel buio mi dava le spalle, piegato su sé stesso ed immobile come se a morire fosse stato lui – Cosa vi prende? – lui si alzò in silenzio e si immerse nel buio per potermi parlare, mentre fuori dalla finestra un brusco temporale imperversava violento, con rumorosi tuoni e luminosissimi lampi – Vi avevo chiesto di restarne fuori, non dovevate impicciarvi. – rispose secco – Vi ringrazio Corin per avermi salvato la vita. – imitai la sua voce stizzita abbozzando un inchino riverente, avevo appena sventato il suo assassinio e l'unica cosa che era in grado di fare era criticarmi?

Non era un individuo particolare, era del tutto fuori di testa.

- Voi non capite, non potete capire e pretendete di sapere tutto quando non sapete, non sapete niente! – urlò in preda alla collera. Istintivamente portai una mano sul petto spaventata dal suo urlare improvviso – Lysandros, volevo solo salvarvi la vita, non avrei sopportato il non potervi più vedere. – ammisi avvicinandomi lentamente, lui non sembrò muoversi – Avreste continuato la vostra vita liberamente. – la sua frase suonò come una confessione, come se cercava di dirmi qualcosa che non riuscii a comprendere. - No. – ammisi decisa avvicinandomi ancora, sarei andata via quella notte, sarei andata via proprio in quell'istante. Lui non mi voleva più lì, avrebbe preferito morire e qualcosa mi diceva che la causa della sua decisione fossi io. Avevo promesso che dopo il ballo avrei lasciato il castello, ma non dopo avergli detto la verità – Se voi foste morto sarei morta anche io, non vi ho mai visto in volto ma poco mi importa, vi riconoscerei tra mille perché voi siete Lysandros ed io senza di voi non sarei più Corin. – mi avvicinai fin quasi a sfiorarlo in uno slancio di coraggio che non m'era mai appartenuto. Lui si scostò e corse alle mie spalle, sicuro di non essere visto.

Un lampo illuminò la stanza, ma questa volta nel riflesso della finestra non vidi solo il mio volto.

Ma anche il suo.

Un'immagine sfocata e troppo sfuggente per poterne cogliere i particolari ma i suoi capelli arruffati e le sue mascelle ed il suo naso e la sua espressione spaventata e sorpresa tanto quanto la mia furono quei dettagli che mi colpirono dritta al cuore come la più veloce delle frecce e il più affilato del pugnali. Il cuore iniziò la sua corsa galoppante aumentando la sua velocità ad ogni istante, la mia bocca socchiusa in un'espressione sorpresa era ferma come i miei arti, immobili e congelati alla sua vista, meravigliosa e bellissima.

- Corin vi prego... - iniziò lui ma lo bloccai – Mi spiace io non volevo è stato un errore. – balbettai e scappai prima che lui potesse fermarmi, prima che potesse dire altro.
Dovevo andarmene, sentivo qualcosa distruggersi dentro di me, avevo la consapevolezza che la sua visione avrebbe portato ad una valanga insormontabile di disgrazie ma non ne capivo il motivo, avevo voglia di piangere ed andare via.
Avevo visto la sua bellezza e ne ero rimasta folgorata, come se uno di quei fulmini mi avesse colpita in pieno petto, dritta al cuore, mentre lui non mi voleva al suo fianco e mi considerava una matta.
Questo pensiero mi assillava e rimbombava forte nella mente come i tuoni che si susseguivano nel cielo squarciandolo con fragorosi boati.

Presi un mantello dalle mie stanze e sollevai il pesante cappuccio, poi corsi verso l'uscita del castello senza nemmeno passare dalle stalle, volevo solo allontanarmi da quel posto e dimenticare Lysandros, anche se questo mi avrebbe distrutta.

Sentivo urlare il mio nome da quella voce dolce che mi aveva da sempre riempito il cuore di gioia ma non potevo assecondarla, sapevo di dover andare via, ed in fretta.
Non capivo cosa mi stesse accadendo, non riuscivo a capacitarmene, ma sentivo di dover scappare. Forse ero impaurita per via della sua vista, forse tutta quella serata mi aveva scossa ed avevo raggiunto il limite, forse avrei raggiunto la mia amica nella Terra del Sole e con lei avrei ricominciato per la seconda volta a vivere, anche senza avere la sua dolce voce a scaldarmi il cuore. Forse il Sole di quelle calde terre rossastre l'avrebbe sostituita.
Pioveva a dirotto e a stento riuscivo a capire dove fosse il cancello e dove il muro, tutto coperto da una fitta pioggia con violente gocce d'acqua che mi bagnavano il viso. Corsi disperata verso il grande cancello e tentai invano di aprirlo scoprendolo bloccato. Scossi più volte il ferro disperata. Lo sentii arroventarsi sotto le mani fino a quando non diventò infuocato e dovetti lasciare la presa dolorante.

Come era possibile?

Massaggiandomi le mani raggiunsi il muro che circondava il castello, i mattoni lo rendevano facilmente scavalcabile ma, non appena lo raggiunsi, assistetti ad una scena che mi sbalordì; vari rampicanti ricoperti di pungenti rovi ricoprirono tutto il muro di cinta creando un tappeto verde impossibile da scavalcare. Pensai che le ferite sarebbero passate, prima o poi, e nella disperazione mi lanciai verso quelle strane piante rampicanti cercando di scavalcarle, ma queste sembravano voler impedire la mia fuga ricoprendomi le mani di spessi rovi ed infilzandomi la carne facendomi urlare di dolore.

Sentii delle mani cingermi i fianchi e portarmi via da lì con forza nonostante io scalciassi e mi dimenassi. Mi lasciò andare solo una volta lontani dall'entrata o da eventuali muri prendendomi poi per le spalle e facendomi voltare.

Piangevo disperata e confusa senza sapere cosa stesse accadendo. Lui mi prese il volto fra le mani e mi costrinse a guardarlo, lasciando che i suoi occhi si confondessero con i miei, scuri come una notte senza luna – Ormai è troppo tardi per scappare. – ammise prima di far unire le nostre labbra in un bacio disperato. Una sua mano scivolò verso la mia schiena costringendomi ad avvicinarmi a lui rendendo ancora più profondo quel gioco di labbra che mi aveva trovata del tutto impreparata ed inesperta, ma che scoprii essere infinitamente migliore del vino con cui avevo stretto un profondo legame nel corso degli anni.
Lacrime calde continuavano a rigarmi il volto mentre il cuore urlava di gioia impazzendo ad ogni nuovo contatto.
- Venite Corin, siete fradicia ed avete bisogno di essere medicata. – disse lui staccandosi da me, riemerso da un mondo solo a noi conosciuto – E' ora che veniate a conoscenza di ciò che vi aspetta. – ammise sconfitto.

Mi portò in una piccolo salotto che non avevo mai visto, con un camino acceso e due divanetti rossi, il tappeto di un di qualche tono più scuro rispetto a loro ed un piccolo tavolino al centro. Il ragazzo mi porse una coperta asciutta che accettai volentieri al posto del mantello reso ancor più pesante dall'acqua e mi indicò le mani pronto a medicare le ferite – Di cosa dovrei venire a conoscenza? – chiesi mentre studiavo il suo volto concentrato in silenzio.

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